​Un maxi sequestro di cocaina a Rosario, in Argentina
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Inchieste

L'alleanza per legalizzare la droga

In Sudamerica c’è chi vuole liberalizzare la «roba» come una merce tra le tante e il giornale inglese The Economist propone di equiparare cocaina e sigarette... Così i «cartelli» si possono arricchire sempre di più e il numero delle vittime aumenta.

Legalizzate le droghe, cominciando con la cocaina, e imponete un monopolio statale come con le sigarette». No, a parlare non è Pablo Escobar, il defunto boss del cartello colombiano di Medellín, bensì la politicamente corretta rivista settimanale The Economist. La consorella di La Stampa, Repubblica e Secolo XIX (tutti di proprietà della holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia Agnelli, il cui a.d. è John Elkann), mercoledì 12 ottobre se n’è uscita con un dettagliato articolo in difesa della totale legalizzazione della cocaina, dal consumo alla produzione finanche alla commercializzazione, perché «il proibizionismo non funziona, e questo lo si vede in modo chiarissimo».

La «bibbia» britannica del capitalismo critica anche Biden che ha concesso la grazia federale ai condannati in possesso di marijuana, perché la sua decisione sarebbe «ancora troppo timida». Per la rivista la vera risposta va anche oltre gli sproloqui del neo presidente della Colombia Gustavo Petro, che alle Nazioni Unite, il settembre scorso, ha denunciato che il riscaldamento climatico a suo dire è causato non solo dal petrolio ma pure dalla guerra contro la droga, difendendo una «legalizzazione sperimentale». Ne abbiamo scritto su Panorama un mese fa, e che Petro ci tenga molto lo dimostra che su Twitter il suo discorso all’Onu sia fissato in cima, affinché tutti lo possano ascoltare, in primis Mariana Mazzucato, l’economista italo-statunitense di riferimento sua e di Papa Francesco.

The Economist, tuttavia, va oltre e difende a spada tratta «la piena legalizzazione, che consentirebbe ai non criminali di fornire un prodotto rigorosamente regolamentato e tassato, proprio come fanno i produttori di whisky e di sigarette». A dire dell’«Ecommunist», come hanno ribattezzato la rivista molti brasiliani visto l’appoggio sfegatato che ha dato al rientro al potere dell’ex condannato per corruzione e riciclaggio Luiz Inácio Lula da Silva, la «cocaina legale è meno pericolosa, dal momento che i produttori legittimi non la adultererebbero con altre sostanze e il dosaggio sarebbe chiaramente etichettato, come sulle bottiglie di whisky».

Una posizione a dir poco allucinante, anzi allucinogena, basti guardare all’esperimento di legalizzazione statale della cannabis in Uruguay. Nelle parole dell’ex presidente ed ex guerrigliero tupamaro José «Pepe» Mujica, doveva servire a ridurre il crimine e la violenza. A quasi 10 anni da quella decisione presentata come «storica» dai media progressisti e appoggiata da George Soros e David Rockefeller, che Mujica incontrò per un paio di giorni a New York nel settembre 2013 per discutere della legalizzazione sostenuta dai due magnati, il risultato concreto è il disastro, anche se nessuno oggi ne scrive. La violenza, il riciclaggio e i crimini dei narcos sono ai massimi livelli e in Uruguay il mercato legale della cannabis non è riuscito a fermare quello illegale. Al contrario, il mercato criminale è decuplicato perché i consumatori chiedono una cannabis con THC, il principio attivo, più alto di quello consentito dalla cannabis di Stato. E poi perché l’offerta pubblica non è sufficiente, come dimostrano i dati: solo il 27 per cento dei consumatori uruguaiani si è rifornito sul mercato legale nel 2021.

Il paradosso è che il governo prevede di aumentare il livello di THC e la varietà di cannabis offerta nelle farmacie autorizzate entro fine 2022. Infine c’è un ultimo ostacolo che rema contro la legalizzazione: la registrazione obbligatoria che molti consumatori vogliono evitare, anche se il governo assicura che i dati raccolti vengono usati solo per «studi sugli utilizzatori». Di tutto questo tace The Economist. Così come dei tanti anni di lotta a narcotraffico e mafie e il sangue che molti magistrati nel mondo hanno pagato per contrastarlo. In compenso la rivista offre sponda ai narcos che non aspettano altro per potersi proporre a prezzi concorrenziali con principi attivi fortissimi. Come già successo in California, la legalizzazione della marijuana non solo non ha eliminato il mercato narcos ma lo ha potenziato perché i cartelli vendono a un costo più basso, e anche ai minorenni, una sostanza psicotropa sempre più concentrata e pericolosa.

Con la legalizzazione della coca negli Stati Uniti crescerebbero i morti, aggiungendosi alla strage silenziosa che sta uccidendo una generazione, provocata dell’oppiaceo sintetico fentanyl, spesso accoppiato alle dosi di cocaina e cannabis. E sui social si è aperto un dibattito, per fortuna ancora non ufficiale, sul rendere libero anche il fentanyl, che solo nel 2021 ha ucciso per overdose oltre 70 mila americani. Dopo gli Stati Uniti, il Brasile è oggi il secondo Paese al mondo per consumo di cocaina mentre Perú, Colombia e Bolivia continuano a produrne in enorme quantità. Nel 2021 in Colombia ne sono state sequestrate oltre 500 tonnellate, in Perù si è raggiunto il record di coltivazioni, 88 mila ettari, in Bolivia il boom ha superato i 40 mila ettari. Solo di cocaina, da questi tre Paesi e transitando anche via Brasile, Messico, Ecuador, Argentina, Uruguay e Centro America, membri dell’intelligence antinarcotici statunitense stimano siano arrivate circa mille tonnellate nell’Unione europea, per restare all’ultimo anno.

Senza parlare del nuovo business della marijuana sintetica, soprattutto a New York, dove l’acquisto per strada di quello che noi italiani possiamo pensare essere semplice «fumo» sta causando morti per overdose. Disastrosa la situazione anche a Rosario, in Argentina, dove la violenza legata al traffico di droga controllato da quattro fazioni contrapposte del cartello de Los Monos ha fatto precipitare la città nel caos. Risulta emblematica la domanda fatta a fine ottobre da Papa Francesco all’arcivescovo della città, Eduardo Martín, responsabile della diocesi: «È sopravvissuto a Rosario?». Al di là delle freddure il tema è molto serio, come dettaglia a Panorama uno dei massimi esperti degli effetti delle droghe in Brasile, Matheus Cheibub, psichiatra che guida il Centro per l’alcol e le droghe dell’Ospedale Siro-libanese, il migliore dell’America latina. «La legalizzazione può portare a un aumento della trasmissione di malattie come Aids ed epatite C, co-patologie comuni tra i consumatori di cocaina per via parenterale, oltre che a un aumento dell’incidenza di disturbi psichiatrici, suicidi e ricoveri».

Per Matheus, che gestisce con i colleghi il Programma di recupero tossicodipendenze del comune di San Paolo, «secondo il World drug report 2022 dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, l’Unodc, la legalizzazione della cannabis in alcune parti del mondo tende a indicare un aumento del consumo e dei relativi impatti sulla salute». Inoltre «il rapporto denuncia anche un incremento record della produzione globale di cocaina, l’espansione delle droghe sintetiche in nuovi mercati e le crescenti lacune nella disponibilità di cure per i tossicodipendenti, soprattutto per le donne e i più giovani». Unico dato positivo, a suo avviso, è che «la legalizzazione della cannabis in America del Nord ha aumentato le entrate fiscali federali e, in generale, ha ridotto i tassi di arresto per il possesso della sostanza psicotropa».

In Brasile, continua Matheus che collabora anche con il Gruppo di studi sull’alcol e le altre droghe dell’Ospedale das Clínicas e della Facoltà di medicina dell’USP, l’Università di San Paolo, «la questione della legalizzazione è complessa, poiché non esiste una rete sociale né un’infrastruttura adeguata per gestire i casi gravi, come avviene nei Paesi sviluppati, dove c’è un’alta prevalenza di consumo di oppioidi, come eroina e droghe sintetiche. Il trattamento delle malattie derivanti dall’uso di tali sostanze richiede l’introduzione di farmaci analoghi con effetti simili alla droga ma con maggiore sicurezza, assistiti da un professionista sanitario. In seguito, il farmaco viene completamente ritirato, non appena passa l’astinenza».

Il principale problema del Brasile è che «qui la droga più diffusa è il crack, che invece non ha un farmaco con cui sostituirlo» conclude Matheus, aggiungendo un dato inquietante: «Le droghe sintetiche sono in crescita, soprattutto tra i giovani e gli studenti universitari, e purtroppo sono associate a un’elevata mortalità in questa fascia di popolazione». n

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Paolo Manzo