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(Ansa)
Tecnologia

L'Italia frena sul nucleare, il mondo no

Mentre da noi siamo ancora alle prese con mille blocchi anche mentali all'energia legata all'atomo nel resto del pianeta si accelera

L'Italia prese la decisione di abbandonare il nucleare sull'onda di quanto era accaduto a Chernobyl meno di un anno prima. L'8 e il 9 novembre 1987 si andò alle urne per votare cinque referendum abrogativi dei quali tre riguardavano la situazione del nucleare in Italia. In quel momento in Italia erano presenti quattro (piccole) centrali: Latina dal 1964, Sessa Aurunca (Caserta) già disattivata nel 1978, Trino vercellese, accesa nel 1965, e Caorso (Piacenza), attivata soltanto nel 1981, la più potente in termini di potenza prodotta. Nei referendum, è bene ricordarlo, fu tolta al Cipe (Coordinamento economico) la facoltà di programmare la costruzione delle centrali, furono eliminati i fondi statali ai comuni che le ospitavano o le avrebbero ospitate e fu impedito all'Enel (che era pubblica) di partecipare alla costruzione delle infrastrutture. Gran parte di quell'80% di italiani che votarono "si" lo fecero ideologicamente grazie a una conoscenza sommaria e distorta di quanto era accaduto nel 1979 a Three Miles Island, in Pennsylvania, Usa, dove peraltro non ci furono vittime né feriti, un evento che tuttavia accese le proteste dei cittadini di Montalto (dove stava per sorgere la quinta centrale italiana), e portò a Roma 20.000 persone per protestare. Era il 1980, tempo in cui Maurizio Sacchi (Psi) e Chicco Testa fondarono Lega per l'Ambiente (oggi Legambiente).

Ma il colpo di grazia lo diede certamente il disastro di Chernobyl accaduto pochi mesi prima del voto, il primo incidente che portò gli italiani a modificare le abitudini, come a rinunciare al consumo di verdura e latte a causa della nube radioattiva che viaggiava sui cieli europei. E se chi rimaneva favorevole al nucleare temeva ripercussioni sul piano economico, gli anti-nuclearisti già spingevano per politiche di risparmio e sviluppo delle fonti rinnovabili, convinti che queste sarebbero state sufficienti a breve termine.

Così le nostre centrali furono dismesse, ma ben pochi italiani erano consci di rischi collaterali che si correvano con quella decisione, come dover ricorrere a modificare la nostra politica estera per garantirci gli approvvigionamenti, nonché abbandonare la ricerca e con lei il know-how che l'Italia aveva sviluppato nel settore.

Oggi nessuno pensa di tornare al nucleare convenzionale, ovvero quello della fissione e delle scorie da smaltire, ma è assurdo l'atteggiamento di chi manitiene un atteggiamento ideologico nei confronti della ricerca di nuove tecnologie per produrre energia sfruttando reazioni nucleari del tutto differenti da quelle di allora, senza più plutonio né i pericoli ad esso associati.

Oggi nel nostro Paese produciamo con le rinnovabili meno del 36% del fabbisogno (senza emettere CO2 nell'aria) e oltre il 60% con il gas naturale, che invece l'anidride carbonica la produce eccome. Percentuali che oscillano continuamente ma che danno l'idea di quanto ancora si debba lavorare per soddisfare la richiesta di energia. Proprio il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani l'estate scorsa aveva dichiarato che sarebbe necessario moltiplicare per dieci la produzione di energia da rinnovabili per soddisfare la conversione del parco automobilistico circolante, è bene ricordare chi nel mondo, e soprattutto quanto, ancora oggi produce energia dal nucleare

La "top ten" mondiale dei produttori di energia con l'atomo

Le prime dieci nazioni per capacità di produzione di energia dal nucleare sono: Stati Uniti (98,2 GW); Francia (63,1); Cina (47,5); Giappone (32); Russia (28,5); Corea del Sud (23.2); Canada (13,6); Ucraina (13.1); Regno Unito (8,9) e Svezia (7.7).

Gli Usa possiedono 96 reattori nucleari attivi che producono oltre il 30% del totale globale dell'energia. Ma nel mercato interno il nucleare concorre soltanto per il 22% della produzione necessaria, che si basa su carbone e gas naturale. I nostri vicini d'Oltralpe hanno 58 reattori e basano sul nucleare il 70% della loro produzione, utilizzando per il 17% combustibile nucleare riciclato e mantenendo un costo così basso da rendere Parigi il più grande esportatore di energia al mondo. Il governo Macron tuttavia ha annunciato di voler ridurre al 50% del totale l'energia prodotta dall'atomo antro il 2035. Nessuna riduzione del nucleare, ma anzi un deciso aumento avviene in Cina, dove a causa dell'inquinamento atmosferico generato dagli impianti a carbone si stanno costruendo le 16 nuove centrali del piano di sviluppo energetico che ne prevede 39, le quali che si sommeranno alle 50 già operative.

In Giappone funzionano 33 reattori nucleari con i quali viene generato circa il 30% del fabbisogno energetico. L'incidente di Fukushima (marzo 2011), ha causato la paralisi della produzione, e il Paese ha dovuto importare l'energia per oltre il 90% per almeno tre anni. Ora invece si pensa di riattivare completamente le centrali adeguate e rinnovate, e di realizzarne di nuove.

La Russia ha 38 reattori operativi con i quali produce circa il 20% del totale dell'energia generata, dopo che nel 2020 ha fermato due centrali non più ritenute allo stato dell'arte della sicurezza.

Il record della centrale più potente al mondo appartiene alla Corea del Sud, che a Kori possiede il più grande dei suoi 24 reattori, concentrati nel sudovest della nazione, vicino alle città di Gyeongju, Busan e Ulsan, ovvero u distretto molto popolato a causa della presenza di numerosi impianti industriali di produzione pesante. La nazione produce con l'atomo il 28% della sua elettricità totale

Il Canada ha quattro centrali al deuterio-uranio per un totale di 19 reattori in funzione, la maggior parte delle quali situata in Ontario, che producono il 15% della produzione d'energia del paese, quindi una quantità relativamente modesta. Il contrario dell'Ucraina, che con 15 reattori nucleari operativi mette in rete il 53,9% dell'elettricità totale prodotta nel Paese. Da notare che l'Ucraina per il combustibile nucleare dipende per l'80% dalla Russia anche se recentemente, proprio per ridurre questa percentuale, ha stretto accordi con l'americana Westinghouse.

Sono 15 i reattori nucleari di Sua Maestà britannica, con i quali viene prodotto il 15% dell'elettricità del paese. Di questi 8 saranno disattivati entro il 2035, ma entreranno in funzione due nuovi impianti che da soli produrranno il 7% del fabbisogno di elettricità del Regno Unito.

Infine la Svezia, che da 11 reattori ne conserva attivi 7 con i quali concorre per circa il 34% della sua produzione totale di elettricità. Una curiosità: nel Paese scandinavo è in vigore il divieto di estrazione dell'uranio, che viene quindi totalmente importato.

Oltre questa classifica è interessante capire che cosa avviene attorno ai nostri confini: la Svizzera non costruirà altre centrali oltre le 3 oggi attive e che forniscono il 35% dell'energia totale della Confederazione. La Slovenia ha un solo reattore attivo, quello di Krsko, a circa 80 km a est di Gorizia, ma nel luglio scorso il ministero delle Infrastrutture sloveno ha deliberato la possibilità di duplicare l'impianto esistente. Da notare che il 68% dell'energia prodotta nello Stato deriva dall'idroelettrico, e il nucleare rappresenta meno del 20%. L'Austria non produce dal nucleare, la sua energia prodotta internamente deriva per il 50% da fonti rinnovabili, ma resiste un 17% importato da fonti nucleari estere.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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