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(Navy)
Difesa e Aerospazio

La Marina cinese supera quella Usa (e lo dicono gli americani)

Rapporto Usa sulla Marina cinese: per i militari Usa Washington è già in ritardo, persa la supremazia nel Pacifico occidentale

La portaerei a propulsione nucleare Uss George H.W. Bush (CVN 77, varata circa dieci anni fa), ha lasciato il bacino di carenaggio del cantiere navale di Norfolk nella giornata del 26 agosto dopo la conclusione di lavori d'aggiornamento e manutenzione durati 30 mesi. Ora inizierà le prove funzionali dei nuovi sistemi di bordo prendendo il mare, e dopo queste sarà dispiegata nuovamente in una zona operativa. Fonti ufficiose parlano di un primo incarico nel Mar Cinese meridionale, viaggio lungo ma necessario per validare la nuova trasmissione, il timone e la nuova gigantesca elica che spingono e dirigono il vascello. Tra le modifiche, nuove catapulte per il decollo dei velivoli, sistemi elettronici aggiornati e anche il rifacimento delle aree che ospitano le cabine dell'equipaggio e i servizi di ristorazione e sopravvivenza.

"All'inizio di questa impresa, durata due mesi più di quanto previsto, sapevamo che sarebbe stata una maratona a causa delle limitazioni poste dalla pandemia" ha dichiarato il sovrintendente del progetto Jeff Burchett, "all'inizio non avevamo idea di cosa avremmo dovuto affrontare ma l'ostacolo è stato superato." Fin qui potrebbe sembrare una semplice notizia del settore Difesa, in realtà con l'aggravarsi della crisi in Afghanistan, l'impegno crescente in Africa e la situazione calda nel Mar Cinese meridionale, la Marina Usa ha estremo bisogno che la Uss Bush torni in servizio. Il 3 agosto scorso il Congresso degli Stati Uniti ha ricevuto dalla Marina il rapporto sulle implicazioni per la flotta Usa derivanti dalla modernizzazione della flotta navale cinese (qui il documento), dal quale si evince che per gli Usa lo sforzo di Pechino sul piano militare è diventato l'obiettivo principale della pianificazione e del budget della propria Difesa. La Marina militare cinese, costantemente modernizzata dall'inizio degli anni '90, è oggi diventata una formidabile forza che si sta spingendo a compiere più manovre e operazioni in acque sempre più lontane, comprese quelle del Pacifico occidentale, dell'Oceano Indiano e di quelle che circondano l'Europa. Dunque una forza in grado di competere sulla supremazia del controllo delle acque internazionali dalla fine della Guerra Fredda e in particolare dal Pacifico occidentale, dominato da Washington dal 1945.

Questa situazione porta alcuni osservatori statunitensi a esprimere preoccupazione se non allarme per quanto riguarda il paragone tra le capacità offensive e difensive dei due schieramenti, che se da un lato hanno entrambi unità navali moderne e altre meno aggiornate, dall'altro appaiono diverse sul piano della velocità di ammodernamento con un vantaggio da parte di Pechino.

Non si tratta soltanto di tecnologia e prestazioni delle armi, la Cina pare decisamente miglioarat anche in fatto di manutenzione, logistica, dottrina, qualità del personale, istruzione e formazione e complessità delle esercitazioni svolte. Infine è ormai conclamato che starebbe lavorando per superare i limiti e le debolezze che ha riconosciuto di avere, cercando di eliminarli nel minor tempo possibile. A favorire questa crescita gli investimenti ma anche la necessitò di sviluppare le capacità belliche necessarie per affrontare militarmente la situazione con Taiwan qualora diventasse inevitabile un'azione di forza definita "definitiva" e la volontà di ottenere un maggiore grado di controllo (leggasi dominio) sui mari vicini alle proprie coste, in particolare proprio il Mar Cinese meridionale. Il governo guidato da Xi-Jinping ha non ha mai nascosto la volontà di affermare il suo diritto a regolamentare qualsivoglia attività militare straniera nella sua zona marittima economica esclusiva (Zee) ampia 200 miglia (370 km dalle spiagge) e per la difesa delle sue linee di comunicazione marittime commerciali, in particolare quelle che collegano la Cina al Golfo Persico.

Insomma il Dipartimento della Difesa ha di nuovo avvertito Washington che l'influenza degli Usa nel Pacifico occidentale è stata lentamente soppiantata da Pechino già mentre Bill Clinton, George Bush e Barack Obama erano alla Casa Bianca. E se Trump almeno faceva la voce grossa, ora che Joe Biden ha mostrato la sua debolezza in occasione del ritiro delle truppe dall'Afghanistan c'è il timore che la zona di influenza cinese possa aumentare senza più essere contrastata consacrando la crescita di Pechino da potenza continentale a mondiale. Coerentemente con questo obiettivo, gli osservatori ritengono che la Cina voglia che la sua marina sia in grado di agire come forza anti-accesso alle regioni interessate, una forza che può scoraggiare l'intervento degli Usa in un conflitto nei mari vicini. In primis potendo facilmente ritardare l'arrivo e l'efficacia delle forze statunitensi quanto basta per occupare territori neppure tanto velatamente contesi.

Missioni di sicurezza, Pechino imita Washington

Per muovere la flotta con disinvoltura Pechino usa gli argomenti tipici che gli occidentali hanno sempre fornito come giustificazione in questi casi, ovvero la conduzione di operazioni di sicurezza marittima (anti pirateria), l'evacuazione di cittadini cinesi da Paesi stranieri quando necessario e la conduzione di operazioni di assistenza umanitaria in risposta a disastri naturali e ambientali. Per arginare il fenomeno senza spendere soldi da giustificare all'opinione pubblica la Marina degli Stati Uniti negli ultimi anni ha intrapreso una serie di azioni come spostare una percentuale maggiore della sua flotta nel Pacifico, assegnare nuove navi, aerei e il suo miglior personale nel teatro del Pacifico. Ha anche aumentato il numero delle operazioni condotte e quindi rafforzato la presenza militare, l'addestramento, le esercitazioni internazionali e la cooperazione con le flotte alleate, come accaduto spesso nell'Indo-Pacifico. Ma soltanto da poco, con Donald Trump, la politica Usa ha deciso di aumentare la futura dimensione della Marina e avviato o accelerato numerosi programmi per lo sviluppo di nuove tecnologie militari nonché l'acquisizione di nuove navi, aerei, veicoli senza pilota e armi. Nel contempo l'Us Navy ha iniziato lo sviluppo di nuovi concetti operativi (cioè nuovi modi di impiegare le forze della Marina e del Corpo dei Marines), per poter un giorno contrastare le forze marittime cinesi. Infine è stato proposto che la Marina nei prossimi anni si trasformi assumendo un'architettura della flotta più distribuita che presenterà meno navi di grandi dimensioni e una quantità maggiore di unità più piccole, con un utilizzo maggiore di mezzi aerei e navali senza equipaggio. Ma oltre i progetti ora il problema è politico: il Congresso deve comprendere se la Marina degli Stati Uniti stia rispondendo in modo appropriato allo sforzo di modernizzazione navale della Cina o se, ormai non sia troppo tardi e non sia già necessario rincorrere Pechino.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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