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(Ansa)
Difesa e Aerospazio

Il mercato d'armi in Europa è in mano alla Francia

Nel 2019 l'Eliseo ha venduto armi (dappertutto) per 98 mld. L'Italia solo 4

L'Islam ce l'ha con la Francia, ma Parigi non è un bersaglio soltanto perché difende la laicità dello stato e consente la pubblicazione di giornali ritenuti blasfemi, ma anche perché in Europa è il primo esportatore di armi e il secondo al mondo dopo gli Usa, e vende a nazioni come Qatar, Arabia Saudita, Egitto, Algeria, India e a un'altra trentina di paesi tra i quali Togo, Niger, Nigeria, Marocco.

Qualche giorno fa il Servizio europeo per l'azione esterna (Eeas), ovvero l'ufficio diplomatico dell'Unione europea che dovrebbe aiutare l'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza a svolgere i suoi compiti, ha pubblicato una banca dati online. Consultandola è possibile capire dove finiscono gli armamenti prodotti nei Paesi membri dal 2013 al 2019.

Andando a guardare si scopre che l'esportazione militare dell'Eliseo lo scorso anno ha reso quasi cento miliardi di euro (98), una montagna di quattrini se paragonati a quelli incassati dall'Italia, meno di 4, con i transalpini che coprono il 70% del mercato estero di armi di tutta l'Unione, che ne totalizza 138. Molti meno mezzi militari e ordigni esportano Germania e Regno Unito, ma sempre più di noi. I migliori clienti dei francesi sono gli egiziani, che hanno staccato un assegno da 16 miliardi, mentre noi siamo crollati una volta terminata la commessa da quasi 8 miliardi per la fornitura di velivoli Eurofighter al Kuwait, firmata nel 2016. Se l'anno d'oro per la Francia è stato il 2019, anche la Germania non ha scherzato con poco più di 8 miliardi di euro, ma le destinazioni di questi armamenti sono Ungheria, Algeria ed Egitto. Dietro la Francia troviamo la Spagna, con circa 10 miliardi di armi che finiscono in Olanda, regno Unito e in Corea del Sud.

Seguendo la destinazione delle armi, dopo l'Egitto troviamo Emirati e Arabia Saudita, da dove gli armamenti pare si perdano troppe volte in mille rivoli per riapparire, insieme a quelle russe, nei teatri caldi, incluso quello del Nagorno-Karabakh e naturalmente in Libia. Dunque se gli estremisti c l'hanno con Parigi non è soltanto questione di vignette e di banlieu, ma anche di un foraggiamento continuo di armi in nazioni instabili o con rapporti poco chiari con paesi canaglia.

Quando nell'ottobre scorso la Francia consegnò il primo dei 36 caccia Rafale all'India, una commessa che da sola valeva 8,8 miliardi, a ruota ci fu la comunicazione del contratto con la Romania per 1,3 miliardi e si capì immediatamente che Parigi avrebbe scalato la classifica degli esportatori mondiali, pur rimanendo ben sotto gli Usa, primo esportatore al mondo, ma superando entro il 2020 anche i contratti firmati da Putin. Ora grazie al database della Eeas potremo controllare, ma sta di fatto che negli ultimi cinque anni la Francia ha continuato ad aumentare le vendite di armamenti per rallentare – ma vedremo se si tratta di una pausa o di un'inversione di politica estera - soltanto nel 2020.

Di certo sappiamo che il sistema industriale della Difesa francese è stabile, solido e di alto livello, soprattutto se consideriamo che è l'unica nazione UE dotata di armi nucleari, dopo che il Regno Unito (che comunque le ha in prestito dagli Usa), ha lasciato l'Unione. Storicamente Parigi sostiene l'indipendenza e questa cultura si riflette profondamente anche nell'industria militare fin dai tempi di Charles de Gaulle, quando proclamarono la loro indipendenza – in quel caso dalla tecnologia americana - all'interno della Nato, alleanza della quale comunque fanno parte anche se per bocca di Macron ne hanno dichiarato la "morte cerebrale" già due anni fa. Se cerchiamo i motivi di questa posizione non bisogna dimenticare che negli anni Cinquanta la Francia visse un'esperienza dolorosa, quando proprio gli Usa bloccarono il trasferimento tecnologico verso Parigi impedendo loro di diventare una potenza nucleare. Oggi gli Stati Uniti stanno rivedendo il meccanismo di "acquisizione di tecnologia dell'informazione" e questo rischia di portare restrizioni alle esportazioni e indirettamente a un controllo politico, pertanto la Francia è impegnata a diventare l'unica potenza dell'industria militare europea in grado di sviluppare e produrre autonomamente aerei da combattimento, carri armati, sottomarini nucleari, missili e testate nucleari, portaerei e navi da guerra. E di questo sono riusciti a farne un biglietto da visita nel mondo. Con due caratteristiche. La prima: le armi francesi hanno un concetto di design avanzato, prestazioni di combattimento eccezionali e un rapporto costo-prestazioni elevato, rivelandosi estremamente versatili. Se consideriamo il famoso (e vecchio) jet da combattimento Mirage, esso può ancora svolgere compiti a tutto tondo come il combattimento aereo, l'attacco al suolo e la ricognizione. Il concetto di design avanzato dell'industria militare francese ha ridotto i costi e il prezzo finale, e questo regala ai suoi prodotti militari un forte vantaggio comparativo nel mercato internazionale delle armi, da sempre altamente competitivo. La seconda: la politica di vendita di armi del governo francese è proattiva, flessibile e stabile. I suoi contratti di vendita di armi con i paesi importatori sono meno interferiti da altri fattori e mai dai cambi di governo. Sotto il forte marketing del governo francese, i caccia Rafale sono stati commissionati con più successo dei nostri Eurofighter, spingendo le vendite oltre l'Africa nella vasta regione Asia-Pacifico. Sfugge infatti alla memoria europea che i francesi hanno venduto un sommergibile nucleare persino agli Australiani per 30 miliardi, commessa che si è trascinata dietro una nuvola di sotto commesse per armi leggere.

Mentre ciò accade gli Stati membri dell'UE hanno rafforzato sempre più la cooperazione in materia di difesa nel contesto della politica "America first" dell'amministrazione Trump e la pressione costante sui suoi alleati europei in campo militare. Essendo i due principali paesi dell'UE, Francia e Germania stanno attualmente promuovendo attivamente una stretta cooperazione e coordinamento in termini di politiche di vendita di armi delle due parti. Secondo l'ultimo Trattato di Aquisgrana, i due paesi hanno anche compiuto sforzi in tal senso per creare un percorso comune di esportazione di armi, ma devono ancora affrontare molti ostacoli per riuscirci: la cultura strategica tra i due paesi è diversa, la Francia considera il successo delle esportazioni militari come una gloria e un vanto nazionale, la Germania nel dopoguerra dovette ricostruire la sua credibilità di pacifismo e per questo si è posta molte restrizioni sulle vendite. Il volume totale delle esportazioni dell'economia tedesca è maggiore di quello francese e quindi Berlino non si aspetta benefici extra dalla "torta" delle vendite di armi. Nel 2019 la Germania ha smesso di vendere armi all'Arabia Saudita e da parte francese è salita la lamentela di non poter fare soldi con commesse complementari, e questo sta influendo sulla cooperazione in materia di difesa all'interno dell'Unione. Ci sono quindi molti ostacoli affinché Francia e Germania possano portare avanti un percorso comune di esportazione di armi. Inoltre, pur sostenendo la propria grandeur, la Francia potrebbe doversi preoccupare maggiormente dei suoi partner europei che vogliono recuperare mercato. L'Italia? Cambiamo idea a ogni governo, possiamo anche fare prodotti competitivi, ma poi ci tiriamo regolarmente la zappa sui piedi. Come l'insensata vicenda giudiziaria nata per gli elicotteri all'India insegna, fino alla questione delle fregate da non dare all'Egitto a causa del caso Regeni.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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