Taiwan
(Getty Images)
Difesa e Aerospazio

Venti di guerra Cina-Usa su Taiwan

Biden pronto a difendere il piccolo stato anche con le armi. Pechino studia piani di invasione

Difendere Taiwan, questo sono disposti a fare gli Stati Uniti sia per legge, in quanto è ancora in vigore l'accordo che impone a Washington di fornire all'isola armi e munizioni, sia perché la capitale Taipei controlla il 60% della produzione mondiale di microchip, che per ovvie ragioni non deve cadere nelle mani di Pechino. Niente petrolio stavolta, in gioco c'è la preziosa elettronica senza la quale l'industria non può marciare e il controllo di un settore geografico strategico per limitare l'influenza cinese nel Pacifico. Joe Biden lo ha dichiarato apertamente per la prima volta ieri sera in collegamento con la Cnn: gli Usa difenderanno Taiwan in caso di attacco cinese "Abbiamo l'obbligo di farlo", ha detto, specificando di essere contrario a una politica di "ambiguità strategica", ovvero di contribuire a costruire le difese dell'isola senza però impegnarsi a sostenere la propria idea di indipendenza, che comunque gli Usa non riconoscono. Nel suo discorso il presidente ha anche specificato: Gli Stati Uniti hanno preso un impegno sacro per difendere gli alleati della Nato in Canada e in Europa, lo stesso con il Giappone, così come con la Corea del Sud e Taiwan".

Nelle ore successive l'amministrazione ha affermato che non vi è alcun cambiamento di politica rispetto ai mesi appena trascorsi, ma è evidente, come ha sottolineato l'ambasciatore cinese a Washington Qin Gang, "che gli Stati Uniti non si fidano della Cina". Al tempo stesso la Casa Bianca ha chiarito alla stampa che la politica degli Stati Uniti su Taiwan non è cambiata: "Il rapporto di difesa degli Stati Uniti con Taiwan è guidato dal Taiwan Relations Act. Sosterremo il nostro impegno ai sensi dell'atto, continueremo a sostenere l'autodifesa di Taiwan e continueremo a opporci a qualsiasi cambiamento unilaterale allo status quo".

Scongiurare un'escalation con le conseguenti azioni militari resta lo scopo principale delle comunicazioni che avverranno nei prossimi giorni. Biden è consapevole della forza che può dispiegare attorno a Taiwan, ma anche che per nessun motivo sarebbe giustificabile un bombardamento dell'isola a reazione di uno sbarco cinese, sia perché causerebbe perdite umane, sia perché la distruzione delle infrastrutture e degli stabilimenti nei quali i componenti elettronici vengono realizzati causerebbe una crisi a livello mondiale a cominciare dalla finanza ad essa collegata.

"Oggi le tensioni tra Taiwan e la Cina sono le peggiori in oltre 40 anni di rapporti", ha affermato questo mese il ministro della Difesa di Taiwan, Chiu Kuo-cheng, che ha aggiunto: "la Cina sarebbe in grado di organizzare un'invasione su vasta scala entro il 2025". In realtà alcuni analisti militari legati al Pentagono hanno espresso l'idea che questi tempi potrebbero essere di gran lunga inferiori e che non ci sarebbe il tempo di organizzare militarmente le forze taiwanesi per resistere. Il presidente Biden ha anche dichiarato: "Non voglio una guerra fredda con la Cina. Voglio soltanto che Pechino capisca che non faremo un passo indietro, che non cambieremo nessuna delle nostre opinioni".

La dimostrazione sta proprio nella posizione tenuta dalle maggiori unità navali dell'US Navy, che attualmente stazionano nell'Oceano Indiano con la portaerei Carl Winson e in Giappone con la Ronald Reagan, in posizione equidistante da Taiwan.

Dal canto suo la Cina afferma che Taiwan è la questione più delicata e importante nei suoi legami con gli Stati Uniti e ha denunciato quella che chiama "collusione" tra Washington e Taipei. Parlando con i giornalisti all'inizio di giovedì, l'ambasciatore cinese delle Nazioni Unite, Zhang Jun, ha affermato che il Paese sta perseguendo una riunione pacifica con Taiwan e sta rispondendo ai tentativi separatisti del Partito Democratico Progressista al governo. "Non siamo noi i piantagrane", ha detto, "al contrario, alcuni paesi, in particolare gli Stati Uniti, stanno intraprendendo azioni pericolose, portando la situazione nello stretto di Taiwan in una direzione pericolosa. Trascinare Taiwan in una guerra sicuramente non è nell'interesse di nessuno".

La settimana scorsa gli Stati Uniti e il Canada hanno inviato ciascuno una nave da guerra attraverso lo stretto di Taiwan, lo specchio d'acqua largo circa 180 km che la separa dalla Cina. Pechino ha condannato la mossa affermando che Canada e Usa stavano "mettendo seriamente a repentaglio la pace e la stabilità" e ha reagito aumentando la pressione militare cinese inviando in quattro giorni un numero di aerei da guerra cinesi mai visto prima a sorvolare la zona di difesa aerea di Taiwan.

"Qui a Taiwan la gente è calma", dichiarano i residenti nell'isola ai media, "questo è soltanto l'ultimo di una lunga serie di atteggiamenti militari della Cina nei nostri confronti".

Ma si tratta di una calma da "stanchezza da allarme continuo" poiché la Cina dichiara da anni che prima o poi prenderà il controllo di Taiwan con la forza, ma non ha mai sferrato l'azione decisiva.

Buona parte della popolazione pensa che Pechino mostra i muscoli come parte di una strategia a lungo termine, cercando di mantenere l'intimidazione per tanto tempo e con tale intensità da far temere i tuoi nemici e li farà reagire in un modo irrazionale in modo da massimizzare il vantaggio.

Il presidente cinese Xi Jinping vuole riconquistare Taiwan per perseguire il suo programma di "ringiovanimento della grande Cina" entro il 2049, ma sa anche che se non ottiene significativi effetti entro la fine del decennio gli sarà impossibile riuscirci, e la maggiore preoccupazione resta la possibilità che gli Usa possano reagire. E un intervento militare americano attorno a Taiwan sarebbe molto complicato poiché le basi di appoggio sarebbero a mille chilometri di distanza, in Giappone, Corea del Sud e Guam, mentre nella ex Formosa, a Taipei, dal 1979 non ci sono più forze Usa, ovvero dalla chiusura dello United States Taiwan Defence Command. I satelliti militari di Biden intanto sono puntati sulle basi cinesi di Hong Kong, Yulin sull'isola di Hainan, Woody Island e nell'arcipelago delle isole Spratly, dove Pechino ha navi e caccia, circondando Taiwan in un raggio di 500-1.000 km. Da qui potrebbero partire gli attacchi verso l'isola e verso forze occidentali, attacchi che bisogna certamente evitare.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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