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Difesa e Aerospazio

Droni commerciali spie della Cina, gli Usa dichiarano guerra a Dji

Sono utilizzati usano per turismo, gioco e per rilevamenti fotografici sarebbero spie del governo cinese. Così gli Stati Uniti li mettono al bando. L'Europa? Neanche un dubbio

Al Congresso degli Stati Uniti il delegato Marco Rubio ha pronunciato questa frase: “I contribuenti statunitensi non dovrebbero acquistare gli stessi sistemi che il partito comunista cinese acquista per sorvegliare gli uiguri o che vengono usati uccidere gli ucraini”. Ce l’ha con i droni commerciali prodotti dal colosso cinese Dji oggetto di contromisure americane sempre più severe. Del resto, quei droni costano poco, funzionano bene e si trovano facilmente in tutto il mondo; soprattutto sono frutto di grandi finanziamenti da parte del governo cinese al suo settore high-tech. Ma i droni made in China, almeno secondo gli americani, sono forieri di problemi.

Il Dipartimento della Difesa e altre istituzioni federali hanno infatti ripetutamente sollevato preoccupazioni su come il governo cinese controlli anche società di proprietà private, potendo così obbligare le aziende a condividere i dati raccolti dalle unità vendute (decine di milioni), con il governo di Pechino come con il Partito Comunista cinese e con i militari dell’Esercito di liberazione. Biasimo è stato poi espresso dal Congresso Usa all’ambasciata cinese per la notizia che la tecnologia Dji venga utilizzata nella regione dello Xinjiang per controllare i movimenti degli uiguri.

Non soltanto: l’esperienza industriale e la grande mole di dati raccolti dai clienti Dji sono oggetto di studi – big data – da parte di centri di ricerca cinesi e costituirebbero, sempre secondo gli americani, un vantaggio industriale e militare nonché il metodo con il quale il Partito Comunista cinese raccoglierebbe dati sulle abitudini dei cittadini stranieri. In altre parole si teme che i droni commerciali cinesi possano fare da cavalli di Troia nella società occidentale e statunitense in particolare. Già nel 2020 il Dipartimento del Commercio Usa aveva inserito i droni DJI nel suo elenco di entità attenzionate, imponendo alcuni requisiti di licenza aggiuntivi per consentire la vendita, mentre l’anno successivo il Pentagono aveva rilasciato una dichiarazione speciale riaffermando la sua opinione secondo cui i sistemi Dji erano potenziali minacce alla sicurezza nazionale. Infine, nel dicembre dello stesso anno, complice la situazione di Taiwan, il Dipartimento del Tesoro aveva vietato gli investimenti statunitensi in Dji e avviando una serie di verifiche al termine delle quali l’azienda era stata inserita nella lista delle compagnie militari cinesi.

Di conseguenza, come avviene per tutte le realtà in elenco, queste vengono eliminate dalle catene di approvvigionamento statunitensi per rendere più sicura la base industriale della difesa degli Stati Uniti. I guai non finiscono qui: secondo alcuni analisti della Cia il software presente nei droni e compilato in Cina potrebbe essere violato o manipolato dal governo cinese come da altri avversari stranieri e ciò presenta un potenziale e grave problema di sicurezza e quindi di protezione per gli utenti americani. Secondo le analisi rese disponibili al Congresso, i droni Dji verrebbero spesso violati per consentire loro di aggirare le limitazioni dello spazio aereo, quindi operare anche nelle “no-fly zone” intorno a postazioni sensibili, ovvero disattivando il cosiddetto “geofencing”. E alcune di queste modifiche sono state spiegate pubblicando video dimostrativi sul canale Youtube. Ne deriva il pericolo che questi droni possano essere usati come piattaforme per lo spionaggio cinese.

Le telecamere ottiche e termiche ad alta risoluzione di cui sono dotati, i sensori avanzati, l'accesso alle reti di comunicazione, le dimensioni ridotte e l'elevata manovrabilità li rendono particolarmente efficaci proprio in questo tipo di operazioni. Attraverso i sorvoli sui siti di sicurezza nazionale e gli obiettivi high-tech, i droni cinesi possono mappare le infrastrutture critiche, identificare le vulnerabilità della rete per un potenziale sfruttamento, rubare la proprietà intellettuale e condurre atti di spionaggio e attacchi informatici.

Ovviamente non soltanto i droni possono contribuire a queste operazioni: riferendosi a queste minacce di controspionaggio, il senatore Marco Rubio, (Repubblicani), ha ricordato che “qualsiasi prodotto tecnologico d’origine cinese pone un potenziale o reale rischio e questo può essere sfruttato sia ora sia in un momento di conflitto.” A complicare le cose anche l’uso bellico dei droni Dji fatto in Afghanistan – dove venivano armati con decine di grammi di esplosivo – sia nella guerra russo-ucraina, dove le forze in campo li hanno usati per operazioni di ricognizione a corto raggio. Il prossimo passo dovrebbe essere quello di porre fine al loro utilizzo da parte delle agenzie federali civili, come il Dipartimento degli interni, insieme alle istituzioni statali e locali. In Europa, invece, tutto tace.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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