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(Ansa)
Difesa e Aerospazio

Siamo a corto di armi e munizioni, e ci tocca recuperare con il piano europeo Asap

L'invio di aiuti militari all'Ucraina ci ha messo nei guai anche per colpa di decenni di mancati investimenti sulla difesa visti da una certa politica come il male assoluto

Quando si decise di inviare armi all’Ucraina, scatenando il solito derby all’italiana tra chi era a favore e chi contro, ben pochi furono quelli che ricordarono come l’industria bellica nazionale fosse impreparata ad affrontare un rapido incremento di produzione dopo trent’anni di cifre al ribasso. Ci consoli il fatto che eravamo in buona compagnia: Regno Unito, Germania, persino gli Usa e anche altre nazioni hanno avuto lo stesso problema, seppure con reazioni differenti riguardo i provvedimenti adottati per compensare lo svuotamento degli arsenali. Gli Stati Uniti, per esempio, che si sono trovati a dover scegliere se fornire taluni sistemi missilistici prima a Taipei oppure a Kiev, hanno approvato in fretta una legge federale per incrementare il volume delle produzioni, a cominciare dal mettere al sicuro la loro dotazione dei microchip.

In Italia, qualche giorno fa, ad illustrare in Senato i problemi che la fornitura all’Ucraina ha provocato è stato il capo di Stato maggiore della Difesa Giuseppe Cavo Dragone durante l’audizione alla commissione Difesa ed Esteri. L’ammiraglio ha ammesso che durante le riunioni con le nazioni alleate e appartenenti al “gruppo di contatto” con Kiev, tutti i presenti si sono detti preoccupati per l’attuale quantità disponibile delle scorte, che sono arrivate a lambire il livello d’allarme. Cavo Dragone ha spiegato che il tema delle forniture e degli approvvigionamenti di armi e munizioni dovrà essere affrontato anche a livello comunitario, poiché sulla situazione pesano quasi tre decenni nei quali l’utilizzo era limitato alle missioni di mantenimento della pace, lotta al terrorismo, mentre quanto accaduto tra Russia e Ucraina è uno scenario molto differente nel quale l’utilizzo è continuo e sta avvenendo da oltre un anno. Tale situazione impone quindi una differente politica industriale per la produzione, come ha spiegato senza mezze parole Cavo Dragone: “Non possiamo permetterci di commissionare sistemi d’arma, munizionamento o missili e averli tra venti mesi, perché non possiamo oggi sapere chi saranno i buoni e i cattivi, e quindi serve una chiara strategia di sicurezza nazionale”.

Lo stesso concetto espresso dal ministro della Difesa Guido Crosetto nel marzo scorso, quando aveva preannunciato questa necessità. In sede europea, dopo il provvedimento approvato per dare due miliardi di euro di munizioni all’Ucraina, concordato dal Consiglio affari esteri il 20 marzo, il 4 maggio scorso la Commissione dell’Unione europea ha però presentato il piano Asap (acronimo per Act in Support of Ammunition Production, ma anche la sigla As Soon As Possible - il più presto possibile), con l’obiettivo di realizzare entro il 2024 una capacità produttiva di un milione di munizioni per obici d’artiglieria l’anno, missili anticarro e antiaerei. La Commissione stanzierebbe 500 milioni di euro, dei quali 260 dal Fondo europeo per la Difesa e 240 dal futuro sistema per gli appalti comuni Edirpa, che però deve essere ancora finalizzato, più altri 500 milioni che potrebbero arrivare da ogni singolo Stato. A questi si aggiungerebbe un ulteriore miliardo prelevato dal Fondo Europeo per la Pace (Epf), ovvero lo stesso portafogli che ha stanziato già 4,6 miliardi di euro per l’Ucraina.

Il piano Asap servirebbe per aumentare, sostenendole, le capacità industriali europee in materia di munizioni, cannoni e missili, ma anche tenere sotto controllo le catene di approvvigionamento, in modo da non farsi cogliere impreparati a eventuali fenomeni di shortage, come quelli causati dalla pandemia prima e dalla crisi di Taiwan subito dopo. Per farlo tuttavia serve un cambio, seppure a tempo determinato, nelle normative, consentendo il finanziamento dell’iniziativa al 40% dall’Ue, al 60% dagli Stati membri o dalle imprese. Con la possibilità, per gli Stati dell’unione, di destinare a queste misure anche una parte del fondo di Coesione o dal Pnrr (anche se l’Italia ha negato di voler usare tali fondi per le armi). Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, ha spiegato: “Asap contribuirà all’ottimizzazione, all’espansione, all’ammodernamento, all’aggiornamento o alla riconversione delle capacità produttive esistenti; a creare nuove capacità produttive e di partenariati industriali transfrontalieri anche pubblico-privati, essenziali per garantire l’accesso a componenti strategici o materie prime, o la costituzione di loro scorte”. E in una nota diffusa dal Consiglio Ue successiva all’annuncio del piano Asap, è stato reso noto il finanziamento dell’accesso alle armi non letali e quello per erogare addestramento alle forze armate della Moldavia e della Georgia per “rafforzare la sicurezza nazionale di entrambi i Paesi”. Si tratta di altri 70 milioni di euro presi dal fondo Epf con i quali forniremo anche sistemi per la sorveglianza aerea, materiale sanitario e competenze di sicurezza cibernetica. Insomma, si chiamerebbe “economia di guerra”, e seppure la minaccia esistente la giustifichi, oppure anche “correre ai ripari” per eccesso di ottimismo pacifista, ma l’ipocrisia della Commissione Ursula, evidentemente vieta di dirlo.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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