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(Ansa)
Tecnologia

La Cina pronta a mangiarsi anche l’industria eolica europea

Anche su questa energia “pulita“ Pechino è avanti alla Ue che si sta facendo trovare impreparata (per l'ennesima volta)

Secondo Jochen Eickholt, amministratore delegato di Siemens Gamesa, la sovranità energetica europea è in pericolo imminente e chiede ai legislatori di conferire al settore eolico lo status di industria strategica oltre a porre in essere le opportune misure per garantire la tutela del settore e della sua catena di approvvigionamento.

La Germania, forza propulsiva dell’energia eolica europea con l’Energiewende, si affaccia sul mare del mare del Nord dove arrivano indisturbati i venti oceanici, e dispone di 60 GW di potenza eolica installata, circa 6 volte quella italiana. Eppure, come si rileva dai dati del Fraunhofer Institute, è frequente che la quota giornaliera dell’energia prodotta da fonte eolica sia inferiore al 10% del totale della domanda di energia elettrica tedesca: con questi numeri risulta difficile comprendere come possa contribuire a renderci indipendenti dal gas russo e quindi, ai fini della sicurezza energetica, al nostro paese, l’industria eolica serve a ben poco.

In realtà le affermazioni di Eickholt evidenziano come la concorrenza sulle materie prime e la crescita dei costi energetici stiano mettendo in crisi un’industria, che strategica non è, ma ha sempre goduto di un mercato estremamente favorevole, agevolato dagli incentivi europei alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

La Germania, sede di molti produttori europei di turbine eoliche, ha utilizzato gli obiettivi climatici, per il tramite della Commissione UE, per mere finalità mercantilistiche o per attuare grossolane politiche commerciali, (mal) celandole sotto il velame di politiche ambientalistiche.

Ad esempio per vendere a tutta l'Europa i propri aerogeneratori.

Ed era talmente impegnata a produrre turbine eoliche che, dopo aver insistito vigorosamente per convincere i Paesi del G20 ad adempiere all'accordo sul clima di Parigi, non è stata in grado di raggiungere i suoi obbiettivi climatici causa l'inaspettata forte crescita economica…

Ora la richiesta di adottare misure protezionistiche sul modello dell’Inflation reduction act statunitense potrebbe contribuire a portare il mondo verso un modello di Orwelliana memoria, diviso tra superpotenze, in un momento in cui l'ordine mondiale si sta nuovamente fratturando lungo linee ideologiche, politiche, militari ed economiche.

Certo l’Occidente sta vivendo una graduale presa di coscienza che i benefici della globalizzazione non sono quelli che pensava: la dipendenza sulle materie prime dall’Impero di Mezzo e la fragilità delle forniture europee di gas naturale hanno messo in discussione la visione di un'economia globalizzata.

In risposta è stato introdotto un nuovo termine nel lessico diplomatico: friend-shoring.

Il friend-shoring presuppone un mondo diviso tra economie di libero mercato e paesi allineati con i regimi autoritari. Abbiamo compreso che la delocalizzazione trasferiva la produzione (ed i posti di lavoro) all'estero per risparmiare denaro sulla manodopera e massimizzare i profitti. Abbiamo accolto l’onshoring, cioè l'idea di riportare la produzione sul territorio nazionale per ridurre le interruzioni della catena di approvvigionamento e recuperare i posti di lavoro. Ora il friend-shoring, è una versione estesa di quest’ultimo ai partner commerciali “affidabili”: concetto spiegato da Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione di quest’anno quando, nel prendere atto della debolezza strutturale delle supply chain europee sui metalli della transizione, ha previsto le future collaborazioni solo “con partner che condividono i nostri principi”.

Secondo i sostenitori del friend-shoring i suoi effetti positivi, il sostegno agli alleati, rafforzerebbero le economie Occidentali e la collaborazione consentirebbe di ridisegnare le catene di approvvigionamento e co-produrre prodotti high-tech nei settori emergenti oltre, ovviamente, a controllare il tentativo della Cina, e dei suoi alleati, Mosca in primis, di estendere il proprio modello, economico e politico, autoritario in tutto il mondo.

Naturalmente esiste un altro lato della medaglia…

Secondo Beata Javorcik, capo economista della European Bank for Reconstruction and Development, la creazione di un mondo a due blocchi porterebbe a una perdita del 5% della produzione economica globale in un periodo di 10-20 anni, equivalente a circa 4,4 trilioni di dollari. Friend-shoring significa andare contro i principi del libero scambio come il vantaggio comparativo: il commercio è guidato dall'idea che un paese dovrebbe produrre ed esportare solo beni che possono essere realizzati a un costo inferiore rispetto ai suoi concorrenti. I benefici di una catena di approvvigionamento globale derivano proprio dal fatto che coinvolge paesi con livelli di reddito molto diversi, consentendo a ciascuno di portare il proprio vantaggio comparativo al processo di produzione.

Il friend-shoring tenderebbe ad eliminare questa dinamica, aumentando così i costi di produzione e i prezzi al consumo.

Un altro aspetto da tenere in considerazione secondo Raghuram Rajan, ex capo economista del Fondo monetario internazionale, è che il friend-shoring tenderebbe ad escludere i paesi poveri, che hanno più bisogno del commercio globale per diventare più ricchi e democratici, con il concreto rischio che, una volta esclusi dal commercio con i paesi sviluppati, possano entrare in una spirale recessiva e diventare terreno fertile per il terrorismo. Inoltre questi paesi sarebbero probabilmente costretti a commerciare con gli stessi regimi che l'Occidente sta cercando di escludere: Cina e Russia.

Gli Stati Uniti e l'Europa si sono resi conto che non possono costruire catene di approvvigionamento puramente nazionali per soddisfare la domanda di materie prime della transizione energetica. La risposta la cercano quindi nel friend-shoring: se non puoi produrlo da solo, trova un paese amico che possa farlo.

Secondo questo principio l’insieme dei paesi amici dovrebbe avere abbastanza risorse per commerciare tra loro: sfortunatamente, la realtà è che la maggior parte delle riserve dei metalli per la transizione sono controllate da regimi a loro ostili.

Pertanto se i tuoi amici non hanno i minerali di cui hai bisogno e l'offerta esistente è controllata da Cina e Russia, gli USA dipendono da loro per 32 dei 47 minerali critici e l’Europa se la passa anche peggio, in questo contesto il friend-shoring non farà che peggiorare le carenze esistenti di metalli.

E se alcuni possono accogliere con favore la riduzione della concorrenza ed il conseguente aumento dei prezzi delle materie prime, molti altri se ne pentirebbero.

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Giovanni Brussato