Paris Fashion Week: storie di donne
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Paris Fashion Week: storie di donne

Il commosso ricordo per Vivienne Westwood e il racconto della pittrice rinascimentale Artemisia Gentileschi rafforzano l'ideale di una nuova femminilità più consapevole

Forse la cosa più importante che tu mi abbia mai insegnato è mettere la donna su un piedistallo.

Andreas Kronthaler, Marzo 2023 Parigi

La prima sfilata del brand Vivienne Westwood dalla scomparsa della sua fondatrice (lo scorso dicembre) non si può che definire un atto d’amore verso una donna che ha dato così tanto al mondo della moda. Andreas Kronthaler, marito della Westwood da oltre 30 anni, è stato maestro di cerimonie di questo toccante tributo.

Dalla lettera d’amore per Vivienne, consegnata a ognuno degli invitati prima dello show, alla t-shirt con il suo viso, alle gonne create con i tessuti che avevano raccolto insieme negli anni, fino ad arrivare all’uscita finale, l’abito da sposa indossato dalla nipote Cora Corré, ogni dettaglio è stato in grado di raccontare la vita della leggendaria stilista.

Ed è la storia di un’altra donna a ispirare la collezione firmata Chloé. Il direttore creativo Gabriela Hearst ha scelto di rimarcare l’imperativa necessità che le storie delle donne e il loro contributo alla società - troppo spesso trascurati o soppressi - siano portati fuori dall'ombra, in modo da poter giocare un ruolo di primo piano nella visione del nostro futuro.

Per lanciare questo messaggio, Chloé identifica nella pittrice barocca del XVII secolo, Artemisia Gentileschi, la figura ideale. Una donna che ha superato una serie di ostacoli personali e sociali per emergere come una delle più celebri artiste del suo tempo.

È tanto la vita quando l’opera di Artemisia a essere musa della stagione. La maggior parte delle opere che ancora possediamo vedono infatti la presenza di donne, spesso raffigurate in una posizione più elevata rispetto agli uomini, una rappresentazione di dominanza inusuale per l’epoca. Quelle di Artemisia sono donne potenti, come Esther davanti ad Assuero (1629 circa). Il dipinto rappresenta la figura eroica di Esther come visione della verità e del potere, che rischia la vita per convincere il formidabile re Assuero, che aveva ordinato l'esecuzione di tutti gli ebrei dell'Impero persiano.

Nella collezione autunno/inverno 2023/2024, il Libro di Esther viene trasposto su abiti e borse come un arazzo grafico e multicolore, opera dello studio di ricamo Chanakya International di Mumbai che, attraverso la sua scuola di artigianato, offre alle donne delle comunità a basso reddito un'istruzione di alta qualità nel ricamo a mano.

Silhouette di ispirazione rinascimentale, tessuti innovativi e materiali inaspettati materiali inaspettati riflettono il potere femminile dei dipinti di Artemisia e la sua ferma convinzione. Una mantella a sbuffo con ruche lungo le cuciture è realizzata in nylon riciclato, a dimostrare l’attenzione di Gabriela Hearst per la sostenibilità (tema estremamente caro anche a Vivienne Westwood, fautrice del claim «Buy less, choose better»).

Cos’è lo stile francese? È la domanda «ambiziosa» (per ammissione dello stesso stilista) che riecheggia nei saloni a volta del Musée d’Orsay dove Nicholas Ghesquière torna a presentare la sua immagine di donna.

Il direttore artistico di Louis Vuitton - carica che riveste dal 2014 - per la sua collezione autunno/inverno ha deciso di dare vita a una sua personale interpretazione del je ne sais quoi della donna francese, raccontata per decenni dalla letteratura e dal cinema. E, più di recente con un pizzico di ironia, da Ines de la Fressange nella sua Parisienne.

Quello che Ghesquière ha portato in scena durante questa Paris Fashion Week è un viaggio - dopotutto Louis Vuitton ha da sempre avuto in sé l’Anima del Viaggio - tra i quartieri della città (la stessa passerella a opera di Philippe Parreno e James Chinlund ricorda un vicolo), tra i momenti della giornata (l’avanzare delle modelle è scandito dal traffico cittadino) e tra epoche. Un viaggio alla scoperta di questa donna dal fascino senza tempo, con quel’«ineffabile magnetismo che ancora intriga il mondo».

E se, come scriveva Philip Roth, «Noi siamo, dopotutto, la somma delle nostre esperienze» forse allora la risposta alla domanda di Nicholas Ghesquière sta tutta qui, nella tavolozza che va dal grigio fumo al grigio piombo proprio come i tetti di Parigi oppure nel blu, bianco e rosso che colora la tracolla GO 14 che per la stagione invernale diventa più morbida, quasi trapuntata, e i guanti in pelle.

La sartorialità - il savoir faire che ha reso Louis Vuitton un’icona nel mondo - è presente in maniera spiccata, specialmente negli abiti in lana bouclé con bustier, stretti in vita da una cintura sottile, in una nuova femminilità dilettantesca, come insegna l’allure francese.

Ma c’è anche quel tocco trèsGhesquière, rappresentato dagli occhiali a visiera luminosi che sembrano la versione fantascientifica di una maschera che proprio a Parigi ha trovato la sua casa 25 anni fa: quella del Fantasma dell’Opera.

In questo ultimo mese dedicato alle presentazioni, abbiamo assistito a tante narrazioni diverse. Una cosa ha però, unanimemente, accompagnato l’immagine della donna, una nuova femminilità più provocatoria e sensuale - talvolta accennata, talvolta gridata - ma soprattutto più consapevole. Le culotte che sfilano per Miu Miu, mentre un’entusiasta Miuccia Prada afferma «se fossi più giovane, uscirei in mutande!» ne sono un perfetto esempio.

In fondo, cosa c’è di più appropriato di un paio di culotte brillanti, indossate dall’attrice di The Crown Emma Corrin - per chiudere questo ciclo di sfilate? Ancora una volta Miuccia Prada, con la sua seconda linea, ci offre un importante spunto di riflessione sulla nostra società e la moda che verrà.

La collezione autunno/inverno 2023 è incentrata proprio sull’idea del guardare, suoi diversi modi di vedere e sul fatto che l’atto di osservare possa a sua volta trasformare l’oggetto della propria attenzione. Guardare è una finestra per pensare. I capi di abbigliamento (gonne al ginocchio, twin-set e felpe col cappuccio), che appaiono molto familiari si muovono intorno alla figura, caratterizzati da diversi punti di robustezza e fragilità attribuiti dal processo di fabbricazione.

È un invito a «riconsiderare» quello di Miuccia che, a sorpresa, porta in passerella anche l’uomo. Se infatti la figura della donna è cambiata, altrettanto si può dire dell’uomo. La mascolinità soft che sembra aver preso il sopravvento negli ultimi anni offrendo il fianco per una rinascita del «Miu Miu Boy» (il brand ha prodotto una linea di menswear in passato, dal 1999 al 2009, ndr) che gioca con capi dal sapore tipicamente femminile, in un’applicazione concreta del no-gender.

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Mariella Baroli