«Per gli amici tutto, per i nemici la legge». Il vecchio, cinico motto di Giovanni Giolitti nella versione adattata ai tempi grami di Tangentopoli non passa mai di moda. Anzi rimane un principio assoluto nella lotta politica da basso impero. Ieri è stato allegramente evocato dalla sinistra, impegnata a fingere di difendere «la dignità delle istituzioni». Lo ha fatto Ilaria Cucchi, infastidita dalla decisione della Giunta per le immunità del Senato di dare parere favorevole sull’esistenza di un conflitto di attribuzione a Milano nel processo al ministro Daniela Santanchè.
Ora la parola passa all’Aula che voterà il 30 settembre, ma la senatrice di Avs ha già espresso il pollice verso, accompagnandolo con motivazioni da vestale di diritto costituzionale, a metà strada fra Nilde Iotti e Tina Anselmi. «Il voto di oggi non riguarda la carriera politica della ministra Santanchè», ha tuonato Cucchi. «Ma la dignità delle istituzioni e il rispetto della giustizia. La maggioranza ha scelto di piegare la Costituzione per evitare il processo a un’esponente di governo accusata di frode ai danni dello Stato. Così si tradisce la fiducia dei cittadini e si difendono solo privilegi di parte».
La spiegazione è dadaista perché al momento dell’intervento non erano ancora trascorse 24 ore dalla festa mobile che la stessa parte politica aveva inscenato per la mancata autorizzazione a procedere della commissione Affari legali dell’Eurocamera nei confronti di Ilaria Salis, compagna di partito di lady Cucchi, salvata dal processo di Budapest per un voto determinato da accordicchi di corridoio. La dignità delle istituzioni e il rispetto della giustizia, prostrati da esecrabili attentati del governo cattivo il mercoledì, erano rimasti intatti nel loro fulgore democratico il martedì quando faceva comodo agli okkupatori di abitazioni altrui, nonché sprangatori di manifestanti ungheresi troppo di destra per i gusti dei leonka di turno.
Ilaria Cucchi va capita. Per lei e per la cultura da comitato centrale della sua parte politica, garantismo e giustizialismo, con oltre due secoli di storie e ragioni contrapposte, non esistono. Sarebbe troppo complicato argomentarne le differenze, coglierne le sfumature. Esiste invece qualcosa di più elementare: gli amici devono danzare liberi, i nemici devono marcire in galera. Venerdì di magro e sabato trippa. Così la «dignità delle istituzioni» diventa un menù à la carte e il Parlamento un ristorante nel quale si cucina qualsiasi cosa in nome dell’ideologia. Di conseguenza, secondo la più manichea delle visioni del mondo progressista, Santanchè non dovrebbe utilizzare nessuno strumento che la legge le mette a disposizione.
La ministra, accusata di falso ideologico e truffa ai danni dell’Inps, sostiene che l’acquisizione di mail, chat e registrazioni da parte dei pm milanesi sia avvenuta senza l’autorizzazione preventiva, richiesta per i parlamentari proprio dall’articolo 68 della Costituzione. «La Procura ha utilizzato la trascrizione di conversazioni registrate da un privato, nascostamente», ha sottolineato Erika Stefani, senatrice della Lega che ha illustrato la vicenda davanti alla Giunta per le immunità. In questo caso le comunicazioni digitali non dovrebbero far parte degli atti processuali, allungando i tempi dell’eventuale rinvio a giudizio. La prossima udienza, con interrogatorio di Santanchè, è fissata il 17 ottobre. Da parte dell’accusa si fa notare che le conversazioni registrate da un cittadino non dovrebbero essere considerate intercettazioni. Insomma, materia per la Corte costituzionale.
Impegnata a galleggiare nello stagno delle contraddizioni, la Cucchi non accetta ulteriori distinguo e calca la mano: «Ecco un’altra pagina nera per la nostra democrazia. La destra si presenta come paladina degli italiani, ma ha scelto di proteggere sé stessa e non il Paese. Noi diciamo no, perché crediamo che onestà e credibilità vengano prima di qualsiasi poltrona». Anche qui, in nome degli alti principi giuridici, siamo al balletto delle convenienze. Il condannato Mimmo Lucano (Avs) non avrebbe creato alcun problema alla «dignità delle istituzioni» se candidato ed eletto in Calabria. Il gatto con gli stivali Aboubakar Soumahoro (ex Avs) rimane un genio dell’agricoltura bio. Invece per gli stessi irreprensibili custodi della Carta, Matteo Salvini meritava i ceppi per aver contrastato l’immigrazione clandestina. E Giuseppe Conte? Un bandito quando era a Palazzo Chigi con la Lega, un fulgido esempio di correttezza istituzionale da quando passeggia dentro il recinto del campo largo.
È il Cucchi style, quello che fece cacciare Silvio Berlusconi dal Senato (il pianeta rosso votò in blocco, Matteo Renzi si esibì nel triste «game over») e impedisce il ripristino dell’immunità parlamentare. L’equivoco perseguimento del tornaconto immediato è un male della sinistra dai tempi di Mani pulite, quando si convinse che i pm erano suoi grandi elettori e cominciò ad accarezzarne il pelo per garantirsi un viatico politico per via giudiziaria. Da allora tifare sguaiatamente per le manette altrui è diventato il suo sport preferito. Quanto alle proprie, chi le evoca è un fascista. Un atteggiamento meschino in capo al quale vale un altro vecchio e cinico motto: accarezzare il coccodrillo nella speranza di essere mangiati per ultimi.
