Nicolò Machiavelli andrebbe resuscitato e posto a capo della diplomazia mondiale nel momento in cui l’Onu si sfarina e diventa ostaggio di una parte contro un’altra. Nel Principe si trova scritto: «Dovete adunque sapere come sono dua generazione di combattere l’uno con le leggi, l’altro con la forza: quel primo è proprio dello uomo, quel secondo delle bestie: ma, perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo». È quanto capita nel mondo, eppure all’Onu sono convinti che con le leggi tutto si possa. Peccato che le leggi le facciano obbedendo a delle logiche di schieramento che Donald Trump ha immediatamente scompaginato. Nulla ha potuto l’Onu per fermare la crisi israelopalestinese: è un arbitro indulgente con i terroristi di Hamas. Basta contare le risoluzioni: 74 contro Israele negli ultimi vent’anni, nessuna contro lo stragismo finanziato dall’Iran e che si declina in Hezbollah, negli Huthi, nei macellai di Hamas, tutte filiazioni dei Fratelli Musulmani. Si aspetta ancora che si faccia chiarezza sulla partecipazione di dipendenti dell’Unrwa – sarebbe l’agenzia Onu per la Palestina – agli attentati del 7 ottobre 2023. Si sa solo che 12 di questi “funzionari” sono stati licenziati. I sospetti però si fanno sempre più consistenti.
L’ultimo episodio riguarda Francesca Albanese – l’inviata Onu che difende i palestinesi, ma forse più Hamas – che doveva parlare in una conferenza di Amnesty International all’Università di Berna, ma gli svizzeri hanno annullato l’appuntamento. Albanese a nome dell’Onu ha affermato che le stragi del 7 ottobre sono state compiute come «giusta risposta della popolazione palestinese alle violenze israeliane». La totale ininfluenza dell’Onu è certificata dai balbettii del suo segretario generale Antonio Guterres, incapace di mettere ordine in un’Assemblea delle Nazioni Unite dove è ormai certificata una maggioranza anti-occidentale: su 193 Paesi la Cina ne controlla direttamente, o indirettamente attraverso il debito, oltre la metà. Cina, Russia e Corea del Nord in seno all’Onu hanno insistito per la creazione di un nuovo organismo che si occupi dello sviluppo africano. La verità è che la Cina esporta nel continente per 160 miliardi di dollari, che riceve le terre rare, che ha in mano la cosiddetta “trappola del debito” (oltre 250 miliardi di dollari con un’ impennata tra il 2020 e il 2022) cui Guterres non ha saputo opporsi. La spinta di Donald Trump alla de-globalizzazione e al restauro delle aree d’influenza viene osteggiata da Pechino proprio attraverso l’Onu. Che in nessuno dei conflitti sta giocando un ruolo. Sull’Ucraina è totalmente paralizzata dai veti incrociati nel Consiglio di sicurezza. A parere di molti osservatori, ormai, il Palazzo di vetro è una succursale degli interessi di Pechino malgrado gli Stati Uniti restino il primo finanziatore.
Che questo sia il clima è dimostrato dall’Oms, dall’Aiea, l’agenzia che sorveglia sul nucleare, dalla Corte penale internazionale. L’imbarazzo dell’Aiea è stato evidentissimo nella questione iraniana. Doveva sorvegliare sui famosi accordi di Vienna del 2015, quando Teheran s’impegnò a non arricchire l’uranio in cambio dell’abolizione delle sanzioni che gli Usa avevano posto. Per dieci anni l’agenzia dell’Onu ha lasciato fare, salvo esprimere il 14 giugno forti preoccupazioni sui programmi di arricchimento dell’uranio da parte iraniana e denunciare difficoltà dei suoi osservatori ad avere informazioni. Nove giorni dopo, i bombardieri americani con un’operazione chirurgica hanno distrutto gli impianti degli ayatollah. Subito l’Aieia si è affrettata – forse su pressione cinese – a far sapere che non c’era un pericolo imminente che Teheran potesse dotarsi dell’arma nucleare per smentire tanto Tel Aviv quanto Washington e togliere legittimità all’azione dei B-2. Quando il presidente americano ha rivendicato la distruzione degli impianti di Ali Khamenei, Raffael Grossi – argentino, direttore dell’agenzia per il controllo nucleare dell’Onu – si è affrettato a dire che «entro pochi mesi gli iraniani potranno riprendere la produzione di uranio arricchito». Osserva Federico Rampini nella sua newsletter Global: «L’Onu è nata sotto spinta americana ed è stata per decenni uno strumento del mondo americano-centrico. Poi la Cina, esaltando il multilateralismo, lo ha infiltrato penetrando in tutti gli organismi internazionali. È fuor di dubbio che oggi sia pervasa da uno spirito anti-occidentale: la colpevolizzazione dell’Occidente trova terreno fertile nei Paesi africani e anche negli stessi Paesi del Nord del mondo dove woke e cancel culture hanno fatto breccia auto-colpevolizzandoli. Con l’avvento di Donald Trump la diffidenza americana verso l’Onu è diventata esplicita e la risposta è stata un repentino incremento di anti-americanismo».
Ancora più evidente è lo schieramento di altre strutture collegate all’Onu. Prima fra tutte la Corte di giustizia internazionale che commina condanne tanto altisonanti quanto inutili. Uno dei principali ricercati e Benjamin Netanyahu a cui si aggiunge Vladimir Putin, ma non c’è alcun pronunciamento contro la Cina. I giudici respingono le accuse di parzialità affermando che la Cina non ha aderito al trattato che istituisce la Corte. Però appare evidente che la Corte dell’Aia sia diventata anch’essa uno strumento di pressione politica. La dimostrazione si è avuta con il caso Al-Masri – il generale libico non arrestato in Italia – usato in Europa contro il nostro governo. Resta il fatto che dall’Aia non è mai arrivata una condanna contro i Paesi che praticano la pena capitale anche per reprimere le opposizioni. Amnesty ha contato, nel 2024, 1.518 esecuzioni con aumento del 32 per cento rispetto all’anno precedente; la maggior parte sono stato eseguite da Pechino, in Iran, in Arabia Saudita, in Iraq e nello Yemen, ma dall’Aia nessuno si è preoccupato. Perché non si può disturbare il vero manovratore dell’Onu, Xi Jinping. Che è anche colui il quale esercita pressioni formidabili sull’Oms.
Tedros Adhanom Ghebreyesus – che vuole in tutti i modi restare al vertice dell’organismo mondiale della sanità – si è ben guardato dal portare a termine l’indagine sul Covid. Mentre da parte americana fioccano i sospetti che il virus della Sars-Cov 2 sia stato “costruito” nei laboratori di Wuhan da cui è fuoriuscito non si sa se per errore o volutamente, l’Oms non ha mai rilasciato una sua ipotesi certa e del resto l’organismo sanitario è in balia sia di Big Pharma – Bill Gates è il suo principale finanziatore privato e insiste perché si vaccini tutta l’umanità – sia di chi comanda all’Onu. Ma lo stesso vale per la Fao, per l’Unicef: le agenzie delle Nazioni unite oggi appaiono permeate da un comandamento anti-occidentale. Per non dire dell’assoluta inanità dei caschi blu. Nessuna missione “dell’esercito della pace” è riuscita a incidere. Le operazioni di peace keeping in Congo, in Angola, ad Haiti sono naufragate con i caschi blu spesso infiltrati dalle bande locali. Così in Somalia, in Mozambico le missioni dell’Onu si sono trasformate in sostegno ai governi locali. Ci sono in corso 12 missioni nel mondo, con 60 mila uomini mobilitati e costi per 5 miliardi di dollari, dai risultati nulli. Senza dimenticare il marchio di vergogna indelebile per Srebrenica.L’ultima dimostrazione d’inefficienza si è avuta nella missione Unifil – sono coinvolti anche militari italiani – in Libano. Doveva sorvegliare sul confine con Israele ma ha finito per essere il bersaglio dei terroristi di Hezbollah che però sono stati abili ad accusare Israele di aver sparato addosso ai caschi blu. Il copione delle fake news è sempre lo stesso, e la firma è sempre dell’Onu che al contribuente italiano costa 100 milioni all’anno – siamo il settimo Paese finanziatore – a cui vanno aggiunti altri 115 milioni che versiamo tra Oms, Unicef e Fao (all’organizzazione alimentare che sta a Roma abbiamo anche ristrutturato la sede spendendo 10 milioni l’anno scorso), più un’altra trentina di milioni per le missioni umanitarie dell’Unhcr. E tutto per sentirci dire che siamo degli “sporchi occidentali”.
