Quando Obama difese l'Italia e la Merkel pianse lacrime amare
News

Quando Obama difese l'Italia e la Merkel pianse lacrime amare

La ricostruzione del Financial Times della notte del 3 novembre 2011 quando, come raccontato anche da Panorama, la cancelliera tentò di imporre le condizioni del Fmi all'Italia e l'allora premier Silvio Berlusconi rifiutò sostenuto dal Presidente americano

"I think Silvio is right", "Penso che Silvio abbia ragione". L’uscita di Barack Obama soprende i presenti e gela Angela Merkel. Secondo il presidente americano, Berlusconi fa bene a rifiutare il piano del Fondo monetario internazionale perché le condizioni richieste sarebbero troppo dure per l’economia italiana. Obama propone una soluzione all’americana, aumentando la liquidità con l’emissione di nuovi diritti speciali di prelievo, la quasi moneta del Fmi basata su un paniere di valute (dollaro, euro, sterlina, yen). La Bundesbank lo esclude e la Merkel non è in grado di far cambiare idea a Jens Weidmann, il suo ex consigliere che presiede la banca centrale tedesca. "Non posso prendere questo rischio senza ottenere nulla dall’italia – esclama – Non mi suiciderò". E poi scoppia in lacrime. Sono le 21,30 del 3 novembre 2011, la notte più buia dell’euro.

Il Financial Times nel primo articolo di una serie su come è stata salvata la moneta unica europea, ha narrato i momenti fondamentali dell’annus horribilis e in particolare il vertice di Cannes. Il racconto conferma la ricostruzione pubblicata da Panorama sul numero del 19 febbraio scorso , con l’aggiunta di due particolari importanti: il ruolo di Obama e le lacrime di Angela.

la-congiura.jpg

Il G20 di Cannes comincia con la liquidazione di George Papandreou, il primo dei due bersagli tedeschi (l’altro è Berlusconi). Il primo ministro greco viene attaccato apertamente da Nicolas Sarkozy in toni bruschi e scortesi, ricordano i testimoni ascoltati dal quotidiano della City. Eppure il presidente francese in un precedente incontro faccia a faccia aveva lasciato capire a Papandreou che poteva fare il referendum chiedendo ai greci un sì o un no all’Unione europea o all’euro (cioè facendo capire che si poteva uscire dalla moneta unica senza lasciare l’Unione).

La Merkel è categorica: o tutto o niente, se si lascia l’euro si abbandona anche la Ue. E l’ipotesi di una “Grexit” , scrive il Financial Times, non dispiaceva a numerosi consiglieri, soprattutto quelli del ministro delle finanze Wolfgang Schaüble. A quel punto si inserisce Manuel Barroso, che proclama: "Dobbiamo uccidere questo referendum”. Il presidente della commissione europea aveva già chiamato Antonis Samaras, il capo dell’opposizione greca, il quale gli aveva detto che sarebbe stato pronto a fornare un governo di unità nazionale. Calando quest’asso, la Ue uccide non solo il referendum, ma lo stesso Papandreou.

Liquidata la Grecia, tocca all’Italia che però è un boccone ben più grande, anzi del tutto indigesto. "Non possiamo permetterci il collasso dell’Italia, nessuno può permetterselo, sarebbe la fine dell’eurozona": è la posizione del ministero della finanze francese. E la ex ministro, Christine Lagarde, ora al vertice del Fondo monetario internazionale, propone un sostegno pari a 80 miliardi di euro, una linea di credito accompagnata da un "monitoraggio" del piano di risanamento finanziario proposto dal governo Belrusconi. Ma controllare non basta: "L’Italia non ha nessuna credibilità" dice la Lagarde mostrando il livello dei tassi sui mercati. Quindi bisogna imporre una cura drastica. La Merkel è d’accordo. Berlusconi e Giulio Tremonti rifiutano. Il vertice finisce in un vicolo cieco.

Si riprende alle 21,30 e, tra la sorpresa generale, è Obama ad assumere la presidenza e a rilanciare sostenendo che l’Italia ha ragione. Tutti erano convinti che la serata sarebbe servita a convincere Berlusconi mettendolo con le spalle al muro, invece il presidente americano espone la sua proposta: emettere nuovi diritti speciali di prelievo che tecnicamente non sono moneta, ma consentono di accedere allo sportello del Fmi. "La nostra preferenza è che la Bce agisca un po’ più come la Federal Reserve", dice Obama. Anatema. La Bundesbank è furiosa, Weidmann (le banche centrali non sono invitate al G20) manda anche una lettera urgente alla Merkel perché non ceda.

La Cancelliera a quel punto insiste: l’Italia deve ingoiare l’amara medicina del Fmi. A quella condizione, fa capire, potrebbe anche andare di fronte al Bundestag per chiedere un aumento del fondo di salvataggio europeo, ma i diritti di prelievo quelli no, anche perché tecnicamente è la Bundesbank a doverli gestire. Berlusconi e Giulio Tremonti non mollano: "Possiamo accettare il monitoraggio del Fmi – dicono – Non di più". E Tremonti aggiunge: "Conosco modi migliori per suicidarmi". Obama dà ragione agli italiani. E a quel punto è la Merkel a evocare il suicido (politico). Dice "no" anche agli Stati Uniti e a quel punto la tensione è tale che scoppia in lacrime. Il Financial Times pubblica una foto, recuperata dall’archivio ma finora passata insosservata, che mostra la Cancelliera singhiozzante e Obama che l’abbraccia con fare consolatorio.

Il vertice si chiude senza soluzione. Il 9 novembre si dimette Papandreou estromesso dalla Ue con il consenso di Sarkozy e della Merkel. Tre giorni dopo toccherà a Berlusconi che aveva tenuto duro, rifiutando di cedere al diktat.  “Il fallimento di Cannes – scrive il Financial Times – fornì nuovo ossigeno al fuoco dell’eurozona”. E si andrà avanti così, tra alti e bassi fino all’estate del 2012 quando scende in campo Mario Draghi. Ma questa è un’altra storia, o meglio un’altra puntata della storia. L’appuntamento sul Financial Times è per giovedì prossimo in edicola.

I più letti

avatar-icon

Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

Read More