Non c'è sicurezza senza responsabilità
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Non c'è sicurezza senza responsabilità

Il Palazzo di Giustizia di Milano era un colabrodo. Al bando le polemiche pretestuose e lo scaricabarile. Abbiamo bisogno di interventi

Il Palazzo di Giustizia di Milano era un colabrodo e questo oggi sembra incredibile. Facile elencare, il giorno dopo, tutte le falle. Chi ci lavora lo sapeva bene. Subito dopo l’impresa criminale di Giardiello, quei tre morti lasciati lungo un percorso di vendetta interno al tribunale e la fuga niente affatto rocambolesca in scooter, s’era sparsa la voce che il metal detector all’ingresso per avvocati e magistrati fosse rotto. Invece no. Non c’era, quel controllo era stato abolito. La responsabilità era passata a dipendenti di una società privata non armati, ormai si poteva filtrare sventolando una tessera qualsiasi, anche di una banca o un supermercato, nelle borse poteva esserci di tutto, comprese armi, come in effetti si è verificato (la Beretta di Giardiello con due caricatori dalla quale sono stati sparati 13 colpi).

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C’è che in Italia manca la cultura della sicurezza, perché manca la cultura della responsabilità. La dimostrazione di quanto siamo indifesi non ce lo dicono solo i fatti, ma i commenti a caldo. Come quello del procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, che ammette le falle ma avverte che fino a ieri i controlli avevano funzionato. Davvero? O, semplicemente, non si era finora presentato alle “barriere” un assassino? Le denunce di funzionari interni al tribunale, come quella un mese fa del capo dell’archivio, un ex carabiniere, erano rimaste inascoltate. In compenso, qualche ex magistrato ha pensato bene di spiegare l’attacco solitario di Giardiello a un supposto clima di denigrazione e “sottovalutazione” del ruolo delle toghe, quasi che i tribunali di tutta Italia non fossero per loro natura luoghi particolari, da difendere.

I primi a “sottovalutare” il ruolo delle toghe, per la verità, sono i magistrati stessi, se è vero che il metal detector al loro ingresso era stato tolto. Chi lo ha deciso? E perché? Passare attraverso i controlli fa perdere un po’ di tempo, è vero, e c’è forse chi ha una considerazione così alta del proprio ruolo, da ritenere di non doversi sottoporre alla fastidiosa trafila, un po’ come accade agli ingressi vip degli aeroporti. Se qualche magistrato avesse chiesto di eliminare quei controlli, peraltro già spuntati dal disarmo dei vigilanti, ci troveremmo di fronte altro che a una “sottovalutazione”. A una pesante responsabilità.

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Senza contare gli interrogativi che si pongono adesso per l’Expo, che partirà tra 70 giorni e creerà non pochi problemi per l’ordine pubblico. Problemi che non riguardano soltanto l’Expo. L’afflusso straordinario di forze dell’ordine a Milano rischia di sguarnire altri luoghi delicati (per esempio le porte d’ingresso all’Italia, i varchi doganali) e altri potenziali bersagli.

Premier, ministro dell’Interno, della Giustizia, vertici della magistratura nei Palazzi di Giustizia, tutta la piramide di coloro che dovrebbero essere responsabili della nostra sicurezza, devono in primo luogo avere chiaro il concetto che non c’è sicurezza senza responsabilità, mentre certi spettacoli di scaricabarile, certe polemiche pretestuose, certi arroccamenti arroganti o pretese di esenzione dai controlli per singole categorie, oltre alla dilagante indifferenza della pubblica opinione, sono una miscela esplosiva che non può farci sentire sicuri. Nelle denunce inascoltate di Milano si segnalava la facilità con la quale un’autobomba sarebbe potuta entrare fin nella pancia del Palazzo. Ora, qualcuno ne trarrà delle conseguenze non solo rispetto alla sicurezza, ma anche alle (o alla) responsabilità?

La strage al tribunale di Milano

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Controlli in tribunale dopo la strage di ieri, Milano, 10 aprile 2015

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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