Tsipras, il pagliaccio che voleva essere tiranno
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Tsipras, il pagliaccio che voleva essere tiranno

Nessuna nobiltà rivoluzionaria nel referendum chiesto dal premier greco. Solo il goffo tentativo di dare dignità storica a qualcosa di molto mediocre

Chissà se c’è una convergenza astrale, ma è storia che a luglio i popoli si sollevino. Penso alle colonie americane che il 4 luglio 1776 approvarono quella magnifica dichiarazione di indipendenza ("Quando nel corso degli eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo (…) richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione"), all’assalto all’Hotel des Invalides che il 14 luglio 1789 marchiò il cammino umano con la rivoluzione francese e ancora alle «tre gloriose» giornate di Parigi del 1830 con il contagio indipendentista in Belgio per continuare con gli spagnoli che il 18 luglio 1836 dissero basta alla dittatura di Francisco Franco senza dimenticare l’Egitto del 1952 che spodestò Re Farouk.

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E insomma, tutte queste reminescenze si affastellano nella memoria in attesa del referendum annunciato per il 5 luglio in Grecia. Per quanto però mi sforzi di comprendere le ragioni di Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis, proprio non trovo una nobiltà rivoluzionaria in questo atto voluto dal governo greco. Mi sembra piuttosto l’ennesimo strappo di una tirannia populista, il goffo tentativo di dare dignità storica a qualcosa di politicamente molto mediocre. Se cioè non è insensato parlare, tutt’altro, di una tirannia dell’austerity che dall’inizio della Grande Crisi ha deviato il corso degli eventi in alcuni Stati dell’Unione Europea - Italia in testa - nel nome degli interessi particolari dei Paesi del Nord Europa - Germania in testa - è certamente un infingimento dipingere la Grecia come vittima di "una lunga serie di abusi e malversazioni" (tanto per citare ancora la Dichiarazione del 1776) da parte della Ue.
La Grecia si è impiccata al rischio default con una corda che essa stessa ha intrecciato negli anni. Perché si è illusa di poter mantenere a spese nostre un numero esorbitante di baby pensionati cinquantenni che non ha eguali in Europa, di sostenere un welfare che non riduce la povertà ma distribuisce elemosine, di comprimere e umiliare qualsiasi possibilità di crescita con una tassazione "monstre" a chi supera una soglia di reddito di 30 mila euro. E mi fermo solo alla superficie tralasciando ogni analisi sulla incapacità di attrarre investimenti, razionalizzare la spesa o riformare la giustizia (trovate tutto nei servizi da pagina 48).
Ai tiranni del populismo va benissimo così, ci mancherebbe. Il loro consenso poggia sulla grande finzione di dipingere un altro tiranno che, dopo aver limitato la sovranità economica con l’imposizione dei sacrifici, oggi vuole piegare la sovranità politica e popolare negando valore al referendum. Non è così: Tsipras non ha nulla di nobile nelle sue azioni. Alla fine di cinque mesi di trattative defatiganti, il premier poteva far appello all’unica risorsa rimasta al popolo greco: il "sacro onore". Ha preferito andare in tv, sabato 27 giugno, e recitare la parte del tiranno populista. Salvo poi tornare sui suoi passi, appena martedì 30 ha avuto sentore che il consenso gli veniva meno con il rischio di lasciare la poltrona in caso di vittoria del "Sì" al referendum, e cercare un accordo dell’ultima ora prima che la Ue chiudesse i rubinetti. E così anche il "sacro onore" è andato a farsi benedire. Con il tiranno che si è manifestato per quel che è: un pagliaccio.

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Giorgio Mulè