Renzi l'incipriatore
ANSA/ ANGELO CARCONI
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Renzi l'incipriatore

L'effetto "cipria" sparso ovunque dal nostro presidente del Consiglio è ormai evidente in molti aspetti della vita del Paese

Si può nascondere la realtà, certo. La si può celare astutamente, ma fino a un certo punto. Perché prima o poi arriva sempre il momento del disvelamento e tutte le bugie vengono giù a cascata. Chiamiamolo "effetto cipria": serve per imbellettarsi o celare piccole imperfezioni. Se poi la cipria è usata in dosi massicce può perfino fare apparire una persona totalmente diversa dalla realtà. Ma alla verità non si può sfuggire a lungo. E allora non abbiamo avuto alcuna sorpresa nel leggere il titolo di un editoriale del Sole 24 Ore che martedì 14 aprile recitava: "Il bonus che non c’è: se il tesoretto è solo un’arma di distrazione di massa". O ancora gli editoriali puntuti sul Corriere della Sera sull’imbroglio della "spending review", oppure le intemerate di Eugenio Scalfari sul ducismo in salsa renziana. Sono tutte parti del grande libro dei bluff che Panorama aggiorna settimanalmente, anche in questo numero, con nuovi capitoli facendo leva sulla forza assoluta e insuperabile dei numeri.

Il grande incipriatore, Matteo Renzi, è sempre più la maschera di se stesso: il trucco c’è e si vede. Si vede benissimo sul Jobs act, che come certificato da Istat e Inps non produce alcun effetto concreto e si vede altrettanto bene sulla pressione fiscale che continua a salire in modo indecente. A questo proposito vale la pena segnalare un’analisi del centro studi di Unimpresa (l’associazione, molto lontana dalla politica, rappresenta la spina dorsale produttiva del Paese essendo portabandiera delle micro, piccole e medie imprese) che, dopo aver compulsato il Def varato dal governo, fissa la stangata fiscale in oltre 104 miliardi nei prossimi cinque anni e cioè il 13 per cento in più rispetto al 2014. Con l’aggravante che assisteremo al solito bluff sul taglio delle spese (sorvoliamo sulla scempiaggine di aumentare di 3 euro i biglietti aerei per far fronte ai finti tagli imposti ai Comuni) destinate invece ad aumentare fino a superare 864 miliardi nel quinquennio, il 4,58 per cento in più. "Ci sentiamo presi in giro: le tasse aumentano e gli sprechi del bilancio restano intatti", ha commentato amaro il presidente Paolo Longobardi. E la stessa espressione, "presa in giro", è quella utilizzata dall’attentissimo Sole 24 Ore a proposito del finto "tesoretto", che può serenamente definirsi una nuova, spudorata operazione di incipriatura pre-elettorale.

L’effetto cipria si rintraccia facilmente sullo stato ormai purulento della giustizia italiana, con l’illusione che con l’aumento delle pene e una spennellata di Raffaele Cantone qua e là si risolvano i problemi; sulle grandi opere passate dalle 419 previste dalla Legge obiettivo alle 30 sulle quali si concentreranno gli sforzi di Graziano Delrio dopo il suo arrivo in bicicletta (cipria a volontà) al ministero delle Infrastrutture; sulla rottamazione fasulla nei territori dove in occasione delle prossime regionali tutto rimane saldamente nelle mani callose delle vecchie consorterie elettorali del partito democratico. A ben pensare c’è però una riforma epocale, ed è l’Italicum: lo strumento che permetterebbe a questo premier senza legittimazione popolare d’impadronirsi dell’Italia. Ma c’è da sperare che, venute alla luce le rughe di un Paese abilmente camuffate dalla cipria renziana, il popolo faccia sentire la sua voce. Anche per evitare che alle inconcludenze già viste si aggiunga un irreparabile disastro: quello della nostra libertà democratica.

PS: mentre scrivevo questo articolo è giunta la notizia che la Corte europea dei diritti umani ha stracciato la condanna a 10 anni di carcere dell’ex poliziotto Bruno Contrada per concorso esterno in associazione mafiosa. Per un motivo banale: quel reato non poteva essergli contestato. Ribadisco quello che oramai scrivo più o meno in beata solitudine da oltre vent’anni su Contrada, arrestato alla vigilia di Natale del 1992: è un eroe nella lotta alle cosche, miracolosamente sfuggito alle pallottole di Cosa nostra ma non a quelle di una certa antimafia.

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Giorgio Mulè