Il cimitero delle illusioni
ANSA/ GIUSEPPE LAMI
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Il cimitero delle illusioni

Da Mario Monti a Matteo Renzi, la verità è diversa da quanto chi governa ci ha raccontato finora

Se avete deciso di leggere questo editoriale dopo aver mangiato, vi chiedo scusa. Perché per svolgere il mio ragionamento dovrò partire da Mario Monti e mi rendo conto che per molti di voi il solo evocarlo è causa di acidità. Per raccontare il cimitero delle illusioni, però, bisogna iniziare da colui che tre anni fa divenne senza voto popolare presidente del Consiglio dopo essere stato incoronato dal presidente della Repubblica senatore a vita con un atto unilaterale di inaudita generosità.

Giorgio Napolitano e Angela Merkel ci presero per la gola e ci trascinarono nell’illusione che il Professore fosse l’unico antidoto per evitare che il Paese finisse sotto scacco come la Grecia. Per raggiungere tale scopo ci fecero accettare il rigore, la sobrietà, l’inglese e perfino l’inguardabile loden. Fu un disastro e ancora oggi ne mostriamo le cicatrici. Arrivarono le elezioni nel febbraio 2013 e il Professore fece politicamente la fine che meritava: l’irrilevanza.

Venne così il turno di Enrico Letta, altro premier non indicato dai cittadini, che in piena epoca di bipolarismo trovò straordinariamente il modo di mettere insieme un governo con 12 partiti. E Angela Merkel ancora lì a dire che il programma riformatore di Letta era «impressionante». Effettivamente fu impressionante, bisogna riconoscerlo, ma in senso negativo. Al punto che, meno di dieci mesi dopo, i suoi stessi compagni di partito guidati da Matteo Renzi lo fecero fuori in un’assemblea del Pd e, con il benestare del Quirinale e in barba a qualsiasi regola democratica, presero il potere. Inutile dire che la Merkel anche stavolta manifestò la sua «impressione» dopo avere ascoltato il programma di Matteo.

Il tempo trascorso dall’insediamento ci ha fatto toccare con mano l’arroganza istituzionale, la supponenza, l’improvvisazione e il cinismo di questo ex sindaco che governa senza mandato popolare. D’accordo: sa comunicare, e soprattutto affabulare. Ma gli italiani scemi non sono. E il voto di sfiducia che è arrivato chiarissimo con le elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria è lì a dimostrarlo. Non si governa un Paese che diserta per due terzi le urne (come sosteneva a più riprese lo stesso Renzi con dati assai meno drammatici dopo le elezioni del 2010, 2012 e 2013) e che, nella rossa Emilia, manda a guidare la regione un candidato con uno scarso 19 per cento di tutti i voti.

Semplicemente Renzi non ha la maggioranza popolare, perché alla prova dei fatti ha fallito sul fronte dell’economia, del lavoro e della disoccupazione. L’Ocse, che sbaglia poco, sostiene che nel 2015 il Pil dell’Italia salirà di uno striminzito 0,2 per cento mentre nell’eurozona crescerà dell’1,1 per cento. Significa che il resto d’Europa ci batte 10 a 2. La disoccupazione resterà sopra il 12 per cento fino al 2016 e gli aumenti in busta paga, ammesso che arrivino, saranno modesti. Questa, piaccia o no, è la verità. Il resto lo troverete nel cimitero delle illusioni verso il quale si avviano anche le promesse fatte e non mantenute da Matteo Renzi.

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Giorgio Mulè