I veleni e la lobby gay
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I veleni e la lobby gay

Da quando Papa Francesco ha parlato di gruppi di pressione omosessuali in Vaticano, fra le sacre mura sono ripartiti dossier e lettere anonime. Per fermare carriere e consumare vendette. Il loro obiettivo? Mettere in difficoltà il nuovo corso del Pontefice e rallentare le sue riforme

I corvi tornano a volare sulla Basilica di San Pietro. La luna di miele della curia con Papa Francesco è già terminata. O forse, per qualcuno, non è mai iniziata. Lettere anonime e dossier riservati hanno ripreso ad avvelenare le stanze del Palazzo apostolico, destinazione Domus Santa Marta, il residence per i sacerdoti dove Bergoglio ha deciso di vivere per stare il più vicino possibile alla gente e il più lontano dai giochi di potere.

Ma non esiste curia senza manovre di palazzo, come non esiste porporato che non sia maestro nell’arte della dissimulazione. Perciò nei sacri palazzi distinguere lo spiffero della maldicenza dal vento della purificazione è quasi impossibile. Certo è che nelle ultime settimane nel mirino dei corvi sono finiti ancora una volta gli omosessuali, o presunti tali, della curia.

Alcune decine, addirittura centinaia si sostiene forse esagerando. Molti nascosti, altri ben saldi in posti chiave e qualcuno finito persino a ricoprire ruoli di grande evidenza e responsabilità. Sono filiere e gruppi di potere cementati da ricatti e passioni inconfessabili, che si fanno forza del segreto come strumento di potere e della morale come arma di pressione.

Le lettere parlano di capidicastero e di collaboratori, sui quali erano già state svolte indagini in passato che li avevano scagionati; coinvolgono vescovi e arcivescovi; toccano questioni di affari e giri di denaro di chi, al riguardo, è già stato sottoposto a procedimento disciplinare, ma punta a nuove promozioni.

Si citano fatti, pochi, e molti sentito dire. Ma al Papa arrivato dalla «fine del mondo» dossier anonimi e si dice interessano poco. A Panorama risulta che è un intero capitolo quello dedicato alla «rete gay» nella «relatio» redatta dai tre cardinali detective incaricati da Benedetto XVI di indagare sulla curia: Julian Herranz, Salvatore De Giorgi e Jozef Tomko.

E Jorge Mario Bergoglio stesso vi ha fatto riferimento rivelando ai vertici della Confederazione latinoamericana dei religiosi l’esistenza di una «lobby gay» in Vaticano. Poche parole, ma sufficienti a riscoperchiare il vaso di Pandora nelle sacre stanze.

Tutti contro tutti, in attesa di capire quali saranno le prossime mosse del Pontefice. Nel frattempo nuove sorprese potrebbero arrivare dalla magistratura italiana sullo Ior già nei prossimi giorni, con un nuovo coinvolgimento dei vertici della banca e persino di un cardinale.

A complicare il quadro contribuisce la presenza del Papa emerito, Benedetto XVI, che come risulta a Panorama spesso viene fermato nei Giardini vaticani da ecclesiastici che desiderano parlare con lui, mentre già diversi porporati sono stati a trovarlo nel monastero Mater Ecclesiae dove si è ritirato.

E non è da escludere che qualcuno abbia approfittato di questi colloqui per esprimere perplessità e riserve sul nuovo corso. Le parole di Papa Francesco sulla lobby gay hanno diviso in due la curia. Per alcuni si è trattato di una frase infelice che rischierebbe addirittura di compromettere la tanto attesa operazione pulizia di Bergoglio. Perché a questo punto proprio la rete dei gay in curia sarebbe più compatta e più accorta, convinta che il Pontefice dopo quella frase difficilmente potrà spostare figure chiacchierate per non dare ulteriore adito alle voci.

Per altri invece è il segnale per iniziare una radicale opera di pulizia. In realtà Papa Francesco vuole che il Vaticano diventi una casa di vetro e di proposito rifiuta linguaggio e tatticismi curiali. Per questo fa già paura e suscita una rete sotterranea di resistenza e avversione. Nel capitolo della relatio dei tre cardinali dedicato alle abitudini sessuali della curia, si fanno nomi precisi, pare anche di qualche porporato, si elencano le cordate, si fa riferimento a fatti specifici rivelati sotto giuramento da altri ecclesiastici e messi a verbale.

Non esiste solo una cordata di gay in Vaticano, ma filiere diverse non di rado in lotta fra loro, alcune legate al vecchio corso wojtyliano, altre al pontificato di Joseph Ratzinger. Risultano anche gli appoggi garantiti da alcuni capidicastero a omosessuali per farli progredire nella carriera fuori dal Vaticano.

Ci sono poi le carte di Paolo Gabriele, il maggiordomo infedele di Benedetto XVI. Decine di scatoloni di fotocopie sequestrati nel suo appartamento e ora in possesso della gendarmeria vaticana. 

Solo una parte delle carte di Gabriele sono finite sui giornali. In altre potrebbero esserci riferimenti imbarazzanti e compromettenti, alcuni anche espliciti, a carico di alcuni ecclesiastici. Oppure semplici calunnie. Molti vorrebbero sapere che cosa celano le migliaia di fogli sequestrati alla principale fonte di Vatileaks. Però solo la gendarmeria ha accesso a quei faldoni.

Il problema dei preti gay chiama in causa direttamente anche la diocesi di Roma, guidata dal cardinale vicario Agostino Vallini, il porporato che Bergoglio ha voluto da subito accanto a sé. A Panorama risulta che il cardinale vicario abbia preso provvedimenti a carico di almeno una dozzina di preti romani messi sotto procedimento disciplinare o destinati ad altri incarichi.

Ma ci sarebbero ancora altri casi destinati a fare scandalo che si starebbero trascinando fin dai tempi in cui a guidare la diocesi di Roma era il cardinale Camillo Ruini. A quel periodo risalgono pure noti casi di pedofilia come quello di don Ruggero Conti, della diocesi suburbicaria di Porto Santa Rufina, condannato a 14 anni e 2 mesi di carcere per abusi su minorenni.

Vallini ha dovuto affrontare inoltre delicate questioni economiche di organismi legati al Vicariato di Roma come l’Opera romana pellegrinaggi, dove sono stati registrati pesanti ammanchi di denaro e dove avevano trovato accoglienza o avevano cercato di nascondersi sacerdoti con problemi legati proprio alla sfera sessuale.

Gli scandali di pedofilia tornano a lambire pure i vertici della curia romana e a riaccendere faide mai sopite: i fatti denunciati da Francesco Zanardi nella diocesi di Savona chiamano in causa le lentezze del presidente dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa), il cardinale Domenico Calcagno. Il porporato ligure è accusato di non essere intervenuto dopo le denunce quando era vescovo di Savona, ma lui ribatte affermando di avere scritto per tempo alla Congregazione per la dottrina della fede.

La vicenda di Savona viene agitata contro Calcagno che, oltre alla presidenza dell’Apsa, potrebbe assumere quella della Pontificia commissione della Città del Vaticano, se il cardinale Giuseppe Bertello, attuale governatore, diventerà segretario di Stato. Tuttavia deve fare i conti anche con uno dei suoi collaboratori, monsignor Nunzio Scarano, responsabile del servizio contabilità dell’Apsa, indagato per riciclaggio dalla Procura di Salerno.

Scandali sessuali e affari continuano a mescolarsi oltretevere come ai tempi del provveditore alle opere pubbliche del Lazio e gentiluomo di Sua santità, Angelo Balducci, coinvolto nell’inchiesta sulla «cricca» che aveva svelato un giro di incontri gay organizzati da un corista del Vaticano. Bergoglio ha deciso di sospendere la concessione delle onorificenze pontificie, creando malumore, dentro e fuori la curia. 

In questo clima di nuovi veleni pesa il fatto che il cardinale Tarcisio Bertone appaia più defilato, ma questo vuoto di potere al vertice della segreteria di Stato, se da un lato accresce il ruolo del sostituto, monsignor Angelo Becciu, dall’altro lascia campo sempre più libero agli scontri fra gruppi diversi. Becciu ha seguito passo passo la delicata questione dell’Idi, l’Istituto dermopatico dell’Immacolata, al centro di un’inchiesta giudiziaria e sull’orlo del fallimento.

A gestirne il commissariamento c’è il presidente della prefettura degli affari economici della Santa sede, il cardinale Giuseppe Versaldi, che però attende ancora di affrontare la questione con il Papa. A giorni si riunirà la commissione cardinalizia per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa sede: ne fanno parte 15 porporati che giungono dai cinque continenti. Presiede Bertone.

Non sarà una riunione facile: si dovrà approvare il bilancio consuntivo della sede apostolica e si dovrà affrontare il malumore dei cardinali che si sono sentiti espropriati delle competenze dal nuovo gruppo di lavoro selezionato da Bergoglio per la riforma del Vaticano. «Faccia presto, Santità» raccomandano diversi prelati che si recano in udienza da Papa Francesco, chiedendogli di sbrigarsi a creare una squadra che sostenga la sua azione. Così la rivoluzione di Bergoglio si sta rivelando una drammatica lotta contro il tempo.

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Ignazio Ingrao

Giornalista e vaticanista di Panorama, sono stato caporedattore dell’agenzia stampa Sir e diretto il bimestrale Coscienza. Sono conduttore e autore della trasmissione A Sua Immagine su RaiUno

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