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Il ruolo della donna nella jihad

Dall'attacco alle Torri Gemelle a oggi come è cambiato l'attivismo femminile all'interno delle organizzazioni terroristiche islamiche

Da vittima a carnefice, da schiava sessuale a organizzatrice e combattente. È profondamente cambiato il ruolo della donna nelle organizzazioni terroristiche islamiche. Apparentemente rimangono figure di secondo piano, ma nella realtà ricoprono ruoli strategici.

Da Lara Bombonati alias Kadija che incitava il marito ad uccidere a Maria Giulia Sergio, diventata Fatimadopo la conversione all'islam ed il matrimonio con un marocchino che incitava al jihad; da Sajida Al Rishawi militante nel ramo iracheno di Al Qaeda e attentatrice kamikaze ad Amman a Fatma Zouaghi, giovane studentessa di medicina appena ventenne che in Tunisia curando la propaganda dei salafiti di Ansar Al Sharia assunse il ruolo di prima assistente del leader del gruppo terroristico.

Come è cambiato il ruolo della donna

Negli ultimi 16 anni, dall'attacco alle Torri Gemelle, il ruolo della donna all’interno degli ambienti jihadisti ha subito un profondo cambiamento.

Molto, infatti, è cambiato dal 2001 quando Ayman Al-Zawahiri, leader di Al Qaeda sentenziò che non vi era spazio per le donne nel jihad e ancor meno nei ranghi della sua organizzazione.

Al-Zawahiri è stato smentito. Sono proprio le donne ad avere un ruolo sempre più strategico non tanto nei teatri di guerra ma spesso nei Paesi di origine dove si occupano della gestione delle cellule jihadiste locali. Non solo. La donna si è rivelata una risorsa fondamentale per il reclutamento, l’educazione, la gestione delle informazioni e dei contatti: dai teatri di combattimento alle carceri.

L’arresto a Tunisi nell’ottobre 2014, di Fatma Zouaghi, ha mostrato al mondo come veniva curava la propaganda dei salafiti di Ansar Al Sharia. Era lei, una donna, poco più che adolescente, a gestire il reclutamento giovanile e ad assicurare il raccordo tra questa organizzazione e il gruppo jihadistaKatiba Oqba Ibn Nafaa.  

Una donna kamikaze

Anche Sajida Al Rishawi ha smentito, solo 4 anni più tardi il leader di Al Qaeda: era lei, una donna, l’ attentatrice kamikaze negli attacchi dinamitardi del 2005 contro vari hotel della capitale giordana, Amman.

Le guerrigliere di Katiba Al-Khansaa

Sicuramente con l’avvento del Califfato Islamico di Siria e Iraq e con la nascita di una sorta di “battaglione femminile” di combattenti ovvero Katiba Al-Khansaa, si è avuta una maggiore percezione  sull’imponente adesione femminile al jihad.

È di soli pochi mesi fa, la vicenda di Valbona Berisha, la donna albanese della provincia di Lecco, che ha abbandonato il marito e le due figlie maggiori per andare in Siria, con il figlio minore, e arruolarsi tra i militanti dell'Isis.

Anche Lara Bombonati alias Kadija, ora in carecere in attesa della convalida del fermo, voleva tornare in Siria, utilizzando alcuni contatti in Belgio, per dare assistenza logistica, sanitaria e psicologica ai combattenti della jihad.

Comincazioni segrete sui social

Questo, infatti, sarebbe emerso nelle conversazioni sulla chat Skype delle 'sorelle musulmane', utenza 'jalvk'. Kadija  non usava nessun metodo convenzionale per comunicare ma soltanto piattaforme internet ritenute “sicure”, come Whatsapp, Facebook e Telegram. E proprio dalla ricostruzione delle chat sarebbero emersi importanti documenti sul gruppo combattente Ha'yat Tahrir Al-Sham, una propaggine qaedista del gruppo armato salafita Jabhat Al Nusra.

La terrorista italiana alcuni mesi fa era stata arrestata al confine con la Siria dalla polizia turca perché in possesso di documenti d'identità falsi ed era stata espulsa.

Donne combattenti, donne che si pentono

Al fianco delle combattenti, pronte a morire in nome di Allah e ad uccidere gli infedeli occidentali, ci sono anche donne come Meriem, ovvero “sorella Rim” che si pentono dell’adesione al Jihad.

La vicenda della studentessa marocchina di 19 anni residente a Arzegrande, in provincia di Padova, è rimbalzata sulle cronache italiane dopo che gli uomini dell’antiterrorismo dei Carabinieri del Ros hanno intercettato una sua telefonata ai familiari mentre chiedeva aiuto per scappare dalla Siria.

Meriem, diventa "sorella Rim", nome di battaglia scelto da lei stessa per divenire "soldatessa dell'esercito informatico" al servizio della jihad islamica, mentre frequentava la quarta superiore. Poi, la sua decisione di partire per i teatri di guerra ed infine il suo pentimento.

Meriem, nelle telefonate ai familiari, chiedeva di rientrare in Italia. In sostanza, chiedeva aiuto per riuscire a lasciare i territori della Siria, spogliarsi dei panni della sorella Rim e di rientrare in quelli di Meriem.

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Nadia Francalacci