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ANSA / MATTEO BAZZI
Economia

Inchiesta Ubi banca, la Guardia di Finanza chiese di arrestare Giovanni Bazoli

Panorama rivela i retroscena dell'indagine che sollecitava misure cautelari per il più noto banchiere italiano. La risposta della procura di Bergamo

UPDATE: Dopo la pubblicazione dell'articolo "La finanza ai giudici: arrestate Bazoli" sul numero di Panorama in edicola da giovedì 1 dicembre, il Procuratore della repubblica di Bergamo Valter Mapelli ha inviato una lettera di smentita a cui il settimanale ha debitamente risposto. Pubblichiamo lettera e risposta dopo la sintesi dell'articolo.

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Arrestate Giovanni Bazoli, la figlia Francesca, e altre 14 persone di primo piano del gruppo Ubi Banca, la quarta banca italiana. La richiesta che conclude un'informativa di 181 pagine è stata inoltrata il 23 dicembre 2015 alla procura della Repubblica di Bergamo dalla Guardia di Finanza, a firma congiunta del generale Giuseppe Bottillo, comandante del Nucleo speciale polizia valutaria, e del colonnello Gabriele Procucci, responsabile del Terzo gruppo Sezione tutela del risparmio.

La misura della custodia cautelare è stata chiesta ai sensi dell'articolo 274 del codice di procedura penale, per il pericolo di reiterazione del reato - e, nel caso di Bazoli, per "un'indole delinquenziale particolarmente accentuata" (non viene specificato se si tratta del padre o della figlia, ndr), nell'ambito dell'inchiesta condotta dalla procura di Bergamo che il 17 novembre scorso ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari a 39 persone fra amministratori e dirigenti di Ubi Banca, della controllota Ubi Leasing, di due associazioni di azionisti e altri soggetti esterni al gruppo.

I magistrati evidentemente non hanno ritenuto di procedere con l'arresto delle 16 persone indicate dalla Guardia di Finanza: in quel caso avrebbe avuto un effetto dirompente con ripercussioni imprevedibili nei confronti dei circa 80 mila soci, 140 mila azionisti e quasi 18 mila dipendenti.

Nello specifico, la custodia cautelare era stata chiesta per Giovanni Bazoli (presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, e per gli investigatori "consigliere di sorveglianza "di fatto" del gruppo Ubi"), per Francesca Bazoli (consigliere di amministrazione del Banco di Brescia, consigliere di amministrazione di Ubiss e "consigliere di sorveglianza "di fatto" del gruppo Ubi"), per Emilio Zanetti ("consigliere di sorveglianza "di fatto" del gruppo Ubi"), per Victor Massiah (amministratore delegato di Ubi Banca), per Mario Cera (vice presidente vicario del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca), per Andrea Moltrasio (presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca), per Franco Polotti (presidente del consiglio di gestione di Ubi Banca), per Armando Santus (vice presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca), per Antonella Bardoni (consigliere di sorveglianza di Ubi Banca), per Pierpaolo Camadini (consigliere di sorveglianza di Ubi Banca), per Alberto Folonari (vice presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca), per Italo Lucchini (consigliere di gestione di Ubi Banca), per Federico Manzoni (consigliere di sorveglianza di Ubi Banca), per Mario Mazzoleni (consigliere di sorveglianza di Ubi Banca), per Enrico Minelli (consigliere di sorveglianza di Ubi Banca), per Flavio Pizzini (consigliere di gestione di Ubi Banca e vice presidente del consiglio di amministrazione di Ubiss)

I reati ipotizzatia vario titolo vanno da "illecita influenza sull'assemblea" a "ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza". Secondo gli inquirenti, due gruppi di potere riconducibili a Bazoli e Zanetti avrebbero istituito una sorta di "cabina di regia" che ha amministrato in modo occulto la banca prendendo le decisioni più importanti, dalla nomina dei vertici alle ingenti operazioni aziendali e finanziarie, fuori dagli organi e dalle sedi societarie.

Ma i guai giudiziari non si concludono qui. C'è una nuova inchiesta condotta dalla procura di Bergamo, che attraverso la Guardia di Finanza sta passando al setaccio tutte le maggiori operazioni finanziarie di Ubi Banca degli ultimi anni, per verificare se sono state commesse in violazione delle norme che regolano i conflitti di interesse. Sulle stesse operazioni e per le stesse ipotesi di illeciti, secondo fonti interpellate da Panorama, svolge accertamenti anche la Banca centrale europea, che nei mesi scorsi ha effettuato ispezioni contabili e amministrative "in tema di governance, remuneration, and internal controls", focalizzandosi in particolare "sulla gestione dei conflitti di interesse".

Non è finita. Perché Panorama ha scoperto che nell'ulteriore inchiesta portata avanti dalla procura di Milano in capo a "consiglieri ed ex consiglieri, dirigenti ed ex dirigenti" di Iw Bank, controllata da Ubi, sono stati recapitati avvisi di garanzia per gravi ipotesi di reato: associazione a delinquere, riciclaggio, concorso in riciclaggio, autoriciclaggio, concorso in autoriciclaggio, sottrazione fraudolenta di beni al pagamento delle imposte, violazione degli obblighi di adeguata verifica.

In questo filone di indagine, fonti di Panorama confermano un'attività ispettiva della Banca d'Italia, che in un rapporto riservato contesta a Ubi Banca "carenze nel governo dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo,e anomalie in materia di adeguata verifica e di alimentazione dell'archivio unico informatico". Al termine degli accertamenti, Bankitalia ha avviato "una procedura sanzionatoria amministrativa per carenze nell'organizzazione e nei controlli di settore e per anomalie nelle attività di adeguata verifica".

Una gestione "familistica e patronale", secondo Bergamo e gli ispettori della Bce, con il gruppo Ubi Banca che sembrerebbe operare sul mercato come un istituto intento a raccogliere denaro dai correntisti per dispensare favori agli amici attraverso alcune operazioni illecite. A cominciare dal grande capitolo delle consulenze esterne, per le quali sono stati spesi svariati milioni di euro fra le proteste dei sindacati interni, gestito attraverso il consorzio Ubiss (Ubi sistemi e servizi), nel quale emerge la figura di Elvio Sonnino, consigliere di amministrazione e direttore generale operativo.

Una grossa fetta di queste consulenze, secondo gli investigatori, sarebbe stata affidata a familiari, professionisti amici oltre che alla società Engineering, nella quale avrebbe ricoperto il ruolo di manager e "procuratrice speciale" la moglie di Sonnino: Cristina Lazzoni. Da qui, l'ipotesi di violazione delle norme sul conflitto di interessi.

Engineering registra fra i soci anche la Co.de.pa.mo.Sa, una società di diritto belga toccata da traversie finanziarie, secondo gli investigatori riconducibile a Luigi Bisignani. Fra le operazioni sulle quali si concentra l'attenzione degli uomini della Guardia di Finanza c'è l'affare Pandini, la famiglia dei più grandi costruttori di Bergamo travolti da difficoltà economiche. Nel giugno 2013 Giulio Pandini diventa consigliere di amministrazione della Banca popolare di Bergamo (gruppo Ubi). Circa un mese dopo la banca gli concede un mutuo fondiario del valore di 2 milioni e mezzo di euro, per il quale l'ingegnere Pandini ipoteca la casa di famiglia, tra le dimore più belle della città alta. Segno inequivocabile, per gli investigatori, della crisi finanziaria di Pandini. Che nonostante tutto ottiene subito dopo una linea di credito di 4,5 milioni di euro, di cui 2 milioni per anticipo fatture sulle quali fra l'altro pende una ulteriore inchiesta per "mendacio bancario".

In buona sostanza, l'ipotesi investigativa è che attraverso documenti "mendaci" Pandini abbia ottenuto finanziamenti dalla banca nel cui consiglio di amministrazione (presieduto da Emilio Zanetti) lui stesso siedeva e che mai avrebbe dovuto ricevere, tanto che poco dopo Pandini travolto dalla crisi di liquidità chiede il concordato preventivo. Tanti soldi, come quelli piovuti sul Brescia calcio, di cui Giovanni Bazoli è da sempre grande tifoso, che si è potuto iscrivere al campionato di serie B soltanto dopo che Ubi gli ha concesso una fidejussione di 4 milioni, oltre al contratto di sponsorizzazione che va avanti ininterrottamente da 20 anni.

Operazioni di difficile lettura commerciale, come nella gestione di Iw Bank, per la quale la procura di Milano ora ipotizza il reato di associazione a delinquere. Anche dentro Iw Bank la procura si è focalizzata su una operazione a rischio conflitto di interesse. Nell'agosto 2010 Iw Bank, banca d'investimento del gruppo Ubi, acquista una società di intermediazione mobiliare, Twice Sim, pagandola circa 35 milioni di euro, una cifra giudicata spropositata dagli analisti di mercato e da alcuni degli stessi amministratori di Iw Bank, che rassegnano le dimissioni.

Il presidente del consiglio di amministrazione di Iw Bank è Mario Cera, che da quel momento inizia la scalata ai vertici di Ubi, mentre Twice Sim è una merchant bank il cui presidente del consiglio di amministrazione è Mario Massari, professore della Bocconi che ha sposato Laura Zanetti, la figlia dell'ex numero uno di Ubi Emilio Zanetti. Per il quale la Guardia di Finanza aveva chiesto l'arresto.

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La lettera del Procuratore Mapelli - "Smentisco categoricamente che nel corso dell'inchiesta Ubi il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza abbia chiesto l'arresto del banchiere Giovanni Bazoli": è quanto dice il procuratore della Repubblica di Bergamo Valter Mapelli in relazione a quanto riportato nell'ultimo numero di Panorama.

Il settimanale ha scritto, tra l'altro, che "la custodia cautelare nei confronti di Bazoli, tuttora presidente emerito di Intesa Sanpaolo, era stata chiesta ai sensi dell'articolo 274 del codice di procedura penale sulla base del pericolo di reiterazione del reato. La conclusione con la sollecitazione delle misure cautelari, particolarmente avvertita dagli investigatori - prosegue Panorama - non è stata evidentemente condivisa dai magistrati". "La Gdf - spiega Mapelli - ha ritenuto di segnalare alla Procura che nei fatti sui quali aveva indagato poteva ravvisarsi la sussistenza di talune esigenze cautelari. Ma le esigenze cautelari sono cosa totalmente diverse da una misura cautelare, che mai è stata chiesta. Ribadisco ancora una volta, dunque - conclude il Procuratore di Bergamo - che la Gdf non ha mai chiesto l'arresto di Bazoli".

La risposta di Panorama - "Come Panorama ha correttamente riportato il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza ravvisò la sussistenza concreta delle esigenze cautelari nei confronti di Giovanni Bazoli e altre 15 persone indagate". Secondo Panorama, fu la Procura che "ritenne di non richiedere alcuna misura cautelare".

"La Finanza - sostiene in una nota il settimanale - fu assertiva sul punto scrivendo non già che poteva ravvisarsi la sussistenza di talune esigenze cautelari, come afferma il Procuratore bensì, come si legge a pagina 180 dell'informativa consegnata alla Procura di Bergamo, che sussistono, oltre ai gravi indizi di colpevolezza di cui si è fornito contezza nel corpo della presente informativa, anche le esigenze cautelari di cui all'art. 274, comma 1, lett. c) del c.p.p.'. E aggiunse: "Da ciò consegue il concreto e attuale pericolo che le stesse (persone) possano porre in essere delitti della stessa specie di quelli per cui si procede".

La Finanza dunque - prosegue Panorama - ravvisò la necessità che venisse adottato un provvedimento che fosse in grado di scongiurare il pericolo che gli indagati potessero commettere ancora i reati di associazione a delinquere e ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità di vigilanza sottolineando che, per quest'ultimo reato, "l'attualità del pericolo è particolarmente marcata" e che "la relativa azione delittuosa deve intendersi ancora in essere".

A carico di Polotti, Bazoli, Camadini, Zanetti, Moltrasio e Santus, aggiunge sempre la Gdf, secondo quanto riporta Panorama - "si ritiene altresì sussistente l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma 1, lett. a) del c.p,.p. per la spregiudicata condotta tenuta dinanzi ai funzionari Consob (...)". Questi soggetti (Polotti, Bazoli, Camadini, Zanetti, Moltrasio e Santus) a parere della Finanza evidenziarono con la loro condotta "un'indole delinquenziale particolarmente accentuata".

Le lettera "a" e "c" dell'articolo 274 del codice richiamate dalla Finanza - scrive Panorama nella nota - "riguardano le esigenze cautelari che sono presupposto per la richiesta di una misura cautelare che, come Panorama ha scritto, la Procura non ritenne di avanzare al giudice per le indagini preliminari nonostante le conclusioni della Finanza.

Il richiamo alle due lettere dell'art. 274 del codice di procedura penale che enuncia le esigenze cautelari (pericolo di inquinamento delle prove e pericolo di reiterazione del reato) fatto dalla Finanza unite al giudizio per sei persone sulla pretesa 'indole delinquenziale particolarmente accentuata' è presupposto acclarato per la richiesta di custodia cautelare in carcere o di arresti domiciliari. Ma, si ribadisce, la Finanza non avrebbe potuto farlo a norma di legge. Toccava alla Procura, semmai. Che, come ha scritto Panorama - conclude il settimanale - ritenne di non richiedere alcuna misura cautelare".

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