La dimessa sparizione di un partito di massa

Chi ha vissuto in un paio di regioni italiane (anzi, nella porzione di due regioni: le due province settentrionali delle Marche e la Romagna) negli anni della Prima Repubblica, anche solo in quelli finali, lo ricorda come fatto antropologico e …Leggi tutto

Chi ha vissuto in un paio di regioni italiane (anzi, nella porzione di due regioni: le due province settentrionali delle Marche e la Romagna) negli anni della Prima Repubblica, anche solo in quelli finali, lo ricorda come fatto antropologico e sociale; chi ci si è trovato solo in seguito ne ha visto solo le vestigia storiche e perfino architettoniche (le bacheche con la Voce Repubblicana, i vecchi stemmi smaltati fuori dalle sezioni vuote, addirittura la polisportiva Edera a Forlì). Voi che invece non avete mai vissuto da queste parti dovrete fidarvi di me: ci sono zone del Paese in cui il Partito Repubblicano Italiano ha avuto un’organizzazione e un consenso da partito di massa.

Adesso, stando ai dati definitivi della Camera, ottiene 7143 voti in tutta Italia (0,02%); anche se il partito si è presentato in pochissime circoscrizioni e i voti ricevuti sono, di fatto, quelli provenienti dall’Emilia-Romagna. Si segnala in particolare un lusinghiero 1,2 a Cesena, patria di quel Federico Comandini nella cui abitazione romana rinacque, nel 1942, il Partito d’Azione, destinato poi a confluire nel PRI con molti dei suoi uomini di punta.

Anche così, tuttavia, mi pare di poter concludere che per il partito di Nenni e Ugo La Malfa non ci saranno rinascite. Ed è, io credo, un peccato, non soltanto per quello che il PRI è stato nella storia d’Italia (il partito di Saffi, di Nenni e di quel comizio che portò alla Settimana Rossa, di Ugo La Malfa, del primo non democristiano – Spadolini – presidente del Consiglio); ma anche per la sua ambizione, che era quella, da piccolo partito, di avere un’organizzazione di massa, capillare e per così dire quotidiana, facendo politica sul territorio e nella vita di tutti i giorni.

Oggi, di fronte all’affermazione ormai definitiva di formazioni di massa quanto a numeri elettorali ma magrissime o evanescenti sul piano della struttura e della reale partecipazione, guardo all’Edera con qualche rimpianto; ma soprattutto credo che fosse sensata quell’ambizione, che, prima di ogni logica di parte, tradiva soprattutto una sconfinata fiducia nell’umanità, tutta, e nella sua capacità di governarsi, acculturarsi, migliorarsi. Tutta roba ottocentesca e un po’ da Libro Cuore, forse, ma non è che le iniezioni di cinismo che ci pratichiamo da decenni stiano guarendo le nostre malattie.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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