Il Parlamento ha approvato definitivamente il ddl sul femminicidio, trasformandolo in legge e introducendo per la prima volta nel Codice penale un reato autonomo dedicato. Il nuovo articolo 577-bis segna una scelta politica precisa: superare l’approccio emergenziale e riconoscere che la violenza di genere è un fenomeno strutturale, che richiede strumenti altrettanto strutturali.
Nel testo, “femminicidio” non indica ogni omicidio che coinvolga una donna, ma l’uccisione della vittima in quanto donna: un atto motivato da odio, discriminazione, prevaricazione, controllo, possesso, dominio o, ancora, dal rifiuto di una relazione affettiva. La pena base prevista è l’ergastolo.
La legge interviene su decine di norme già esistenti, riordinandole e rafforzandole. Tra i punti più rilevanti, l’estensione del reato di maltrattamenti oltre l’ambito familiare, per colpire anche condotte persecutorie e violente che avvengono fuori dal perimetro domestico. Sul fronte delle procedure, vengono potenziati strumenti di prevenzione e tutela: misure più rapide, più coordinate, più severe per chi viola divieti o mette a rischio la persona esposta a violenza.
È un passo normativo che punta a rendere visibile ciò che per troppo tempo è rimasto sommerso: la dinamica strutturale della violenza sulle donne e la necessità di una risposta legislativa coerente, capace di proteggere, prevenire e – soprattutto – riconoscere.