La rivoluzione digitale della moda italiana
Hyphen
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La rivoluzione digitale della moda italiana

Settant'anni fa, Giovanni Battista Giorgini portava in scena la prima sfilata made in Italy. Oggi, a causa della pandemia, la moda trova sempre più necessario innovarsi, portando l'esperienza della Settimana della moda sul web. Ad accompagnare i grandi nomi della moda italiana in questa rivoluzione è Hyphen. L'azienda, fondata da Stefano Righetti, affianca brand come Ferragamo, Versace, Valentino, Bally, MaxMara, Canali a 360° nei loro percorsi di trasformazione digitale, sviluppando soluzioni “a valore" con particolare attenzione alle tematiche legate al change management e all'impatto della trasformazione digitale in ambiti ad alta complessità organizzativa.

Hyphen ha sedi ad Affi, Milano, Londra e New York e da oltre vent'anni è leader nel panorama della digital trasformation, specializzandosi nella costruzione dell'identità o gemello digitale di un prodotto. L'azienda ha chiuso il 2019 con un fatturato di otto milioni di euro.

Come nasce Hyphen e come in questi 20 anni di attività è diventata punto di riferimento per la trasformazione digitale?

«Hyphen nasce nel 1998 come software-house con un'anima consulenziale già molto forte, in particolare nell'ambito della gestione e organizzazione delle immagini e dei contenuti di prodotto. Fin da subito abbiamo iniziato a occuparci della prima vera trasformazione digitale - forse passata sotto traccia - che ha coinvolto e cambiato per sempre il mondo della stampa, della pre-stampa e dell'editoria più in generale. Quell'esperienza ci ha insegnato molto, e proprio dall'editoria provengono molti dei principi che ancora oggi guidano il nostro modello di trasformazione digitale, in particolare l'approccio editoriale alla “fabbrica dei contenuti" di prodotto. Oggi siamo presenti in cinque paesi con un'offerta integrata di consulenza, soluzioni software e servizi di produzione fotografica per la trasformazione dei processi di gestione e distribuzione dei contenuti digitali di brand e prodotto».

Cos'è e un virtual showroom?

«Virtual Showroom – che nel nostro caso è solo una delle soluzioni che proponiamo – è uno strumento che si propone, al pari del corrispettivo fisico, di presentare i prodotti e le collezioni di un'azienda al proprio pubblico di clienti b2b. Come nel caso dello showroom fisico, anche per quello digitale, sono a nostro avviso due gli elementi chiave da considerare: il primo è la dimensione relazionale tra venditore e cliente, che proprio perché in remoto deve essere agevolata e umanizzata quanto più possibile; il secondo ha invece a che fare con la qualità dei contenuti per una presentazione il più possibile completa e realistica del prodotto. Virtual Showroom è uno strumento operativo e di business rivolto ad un pubblico estremamente tecnico e preparato, ma molti in questi mesi hanno confuso la trasposizione dello showroom da fisico a digitale con la creazione di ambienti virtuali dal forte impatto creativo e di immagine ma poco funzionali all'obiettivo di business che lo showroom ha per definizione».

E come si crea?

«Innanzitutto serve chiedersi se sono disponibili i contenuti e le informazioni per la presentazione del prodotto. La creazione di un Virtual Showroom come di qualsiasi piattaforma di presentazione parte sempre dalla digitalizzazione del prodotto, che sia tramite la fotografia o la tecnologia 3D, per poi passare al collegamento tra i contenuti di prodotto e le relative informazioni come ad esempio materiali, taglie, prezzi, descrizioni editoriali, traduzioni. Creato questo collegamento e consolidato quindi il “gemello digitale" del prodotto, diventa fondamentale chiedersi quale rituale di vendita o di presentazione ci aspettiamo all'interno della piattaforma e quindi la dimensione più relazionale e di interazione tra venditore e cliente».

Che benefici in termini di vendita può portare un virtual showroom?

«Virtual Showroom è uno strumento che si è dimostrato vitale per molte aziende nel momento di crisi, rappresentando anche il 100% delle vendite di stagione. Nel medio e lungo termine si aggiungerà all'esperienza fisica permettendo da un lato di ridurre molti viaggi e relative emissioni di CO2, dall'altro di incontrare digitalmente potenziali clienti medi e piccoli che prima semplicemente non erano in grado di sostenere i costi per una visita di persona in showroom».


Stefano Righetti (Hyphen)


Perché il mondo della moda ha bisogno della tecnologia?

«Nell'ultimo anno il mondo della moda ha certamente avuto bisogno di accelerare i processi di digitalizzazione – da alcuni già intrapresi – per portare avanti i propri modelli di business in una situazione di emergenza globale. La tecnologia, in uno dei periodi più difficili per il settore, è stata certamente un'alleata, perché ha permesso ai brand di condurre e portare a termine le campagne vendita. Ma penso sia necessario fare un passo ulteriore: non limitiamoci al solo mondo del fashion e del lusso. Il momento storico ed economico che stiamo vivendo ha imposto un cambio di paradigma in tutti i settori: noi stessi stiamo lavorando con aziende del design, del food e dell'industria più in generale. La tecnologia diventa sempre più “facilitatore" di business, un “moltiplicatore" di potenziale per le società che la sfruttano».

Le sfilate sono ancora prevalentemente virtuali. Torneremo mai alla normalità?

«Nonostante la nostra sia un'azienda nativa digitale, ci auguriamo che la moda, come la nostra vita di tutti i giorni, torni quanto prima alla normalità, trovando il giusto equilibrio tra digitale e fisico. Non ci occuperemmo di made in Italy da oltre vent'anni se non fossimo innamorati dei prodotti che attraverso il digitale aiutiamo a raccontare e a vendere in tutto il mondo. Sarebbe sbagliato vedere fisico e digitale come due rette parallele: il ruolo del digitale non è quello di sostituire l'esperienza fisica e di relazione, ma di aumentarla e arricchirla».

Nel mondo della moda - e del beauty - si parla sempre più di AI. Che futuro ci aspetta?

«Quando si parla di Artificial Intelligence si entra in un campo sconfinato, caratterizzato da molteplici possibilità di utilizzo della tecnologia. È sicuramente necessario prestare attenzione però, e non farsi incantare dal canto delle sirene: l'intelligenza artificiale va gestita con attenzione, trovando il giusto equilibrio con la dimensione fisica del prodotto e quella creativa dell'ingegno umano, che non scompariranno mai. In Hyphen stiamo lavorando da tempo su tecnologie AI e con il nostro partner Madstreet abbiamo sviluppato un sistema di arricchimento automatico del gemello digitale del prodotto: un motore AI che a partire da un'immagine, aggiunge in maniera autonoma diversi tag al prodotto (es. colore, materiale, manica lunga, corta, disegni, grafiche), oltre ad una descrizione editoriale del prodotto e a diverse opzioni di styling e abbinamenti di look».

È difficile essere un'azienda d'innovazione in Italia?

«Il carico fiscale in Italia non aiuta certamente ma negli ultimi anni il Piano Industria 4.0 ha funzionato molto bene, permettendo ad aziende innovative di fare investimenti importanti per massimizzare il loro potenziale – ne abbiamo beneficiato direttamente in Hyphen e ne hanno beneficiato molti nostri clienti che proprio grazie al Piano hanno ricevuto un supporto concreto alla digitalizzazione. La prossima grande occasione saranno i piani di rilancio post Covid, che speriamo diano una forte accelerata all'innovazione nel nostro Paese, tema non più rinviabile, soprattutto considerando che dei 169 obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dalle Nazioni Unite per il prossimo decennio, 103 sono direttamente influenzati dalle tecnologie digitali. Il prossimo quinquennio sarà fondamentale proprio per comprendere e sfruttare il digitale a beneficio della creazione di nuovi modelli di business sostenibile. La naturale attitudine italiana al pensiero creativo poi è stata e sarà sempre il motore fondamentale anche per chi come noi fa innovazione digitale: la capacità di farsi le domande giuste e il pensiero laterale per trovare nuove risposte ai quesiti è ciò che ci muove e ci muoverà sempre».

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Mariella Baroli