Valeria Piccini: «Gli italiani stanno riscoprendo le vecchie tradizioni»
Valeria Piccini

Valeria Piccini: «Gli italiani stanno riscoprendo le vecchie tradizioni»

Ho intervistato Valeria Piccini, chef di fama internazionale, il cui ristorante Caino, a Montemerano, si fregia da oltre 22 anni di due stelle Michelin. Passione, umiltà, competenza, intuito, creatività, la accompagnano dal 1972 quando, a 14 anni, si è fidanzata con Maurizio, figlio di Caino, proprio nello stesso posto dove ora tutti vengono per degustare creazioni uniche e piatti poveri rielaborati in chiave gourmet.

Lei che è da oltre venti anni pluristellata, considerata una delle migliori 10 chef d'Italia, in questo momento storico che consigli si sente di dare ai giovani che fanno il suo stesso lavoro e che sono duramente colpiti da questa pandemia?

«Sicuramente, pur essendo questo uno dei peggiori momenti di sempre per la ristorazione e, conseguentemente, per tutti noi cuochi, è bene che i giovani prendano questo momento come pausa di riflessione e di studio, cercando di concentrare la loro attenzione sulla materia prima e sulle tecniche da applicare a ciascun ingrediente.

Ai nostri giovani consiglierei di andare nei mercati, testando, toccando la materia, di andare nei campi per poterne comprendere le variazioni e le rotazioni delle stagioni che scandiscono il tempo e sono le uniche che intervengono e influenzano il processo creativo di un cuoco, che per essere tale deve seguire inevitabilmente i dettami della natura. È bene che i nostri giovani vadano nel profondo delle cose e comprendano che tra fare il cuoco ed esserlo vi è un abisso. Bisogna capire che è un mestiere in cui le minuziosità e i dettagli fanno sempre la differenza, e per poter comprendere tutto ciò bisogna saper vedere e non guardare».

In un piatto quanta tradizione, qualità, scenografia e innovazione ci devono essere? Se fosse una ricetta, in che percentuali?

«In primis non vi è regola alcuna per cui un piatto debba necessariamente avere tutto ciò. Un piatto nasce spontaneamente, senza troppi vincoli, il processo creativo di un cuoco è estremamente libero; ovviamente l'idea necessita di essere filtrata attraverso dei parametri fondamentali per cui un piatto debba essere completo sotto l'aspetto del gusto, del senso estetico e del rigore stilistico. L'unica cosa imprescindibile nella creazione di un piatto è la materia prima e con essa la ricerca di una qualità ottima, senza la quale non si può cominciare a pensare a un piatto».

Lei che è un'esperta delle materie prime di qualità cosa ne pensa del fatto che queste incidano sul costo di un piatto generalmente poco rispetto a tutti gli altri costi che purtroppo ci sono oggi nel nostro paese? Come ne possiamo uscire?

«Indubbiamente i costi di un ristorante sono molto alti, e gli enti e lo Stato Italiano non tutelano al massimo i lavoratori e gli imprenditori, penalizzandoli spesso, pertanto è difficile poter attutire i costi che derivano soprattutto da una ristorazione di livello in cui i servizi sono molteplici e indubbiamente richiedono uno sforzo pecuniario notevole».

Secondo lei questa pandemia ha cambiato e cambierà le abitudini degli Italiani a tavola?

«Sicuramente ha fatto riflettere molto, ma una delle poche certezze che noi Italiani abbiamo è proprio la tavola e il mangiare bene. Nonostante che in questo periodo siamo stati privati della possibilità di sedersi attorno ad un tavolo e godere al massimo il buon cibo e il buon vino, il cibo resta evidentemente una certezza incommensurabile, che nonostante il periodo pandemico, rimane un motivo di gioia e di unione; il cibo come nutrimento, come medicina per l'anima. Quando tutto viene meno, il cibo diviene mezzo di comunicazione, di grande aggregazione, un motivo per essere felici, quando di felicità non ce n'è traccia. A livello di abitudini gli italiani hanno riscoperto vecchie tradizioni, piatti ormai posti nel dimenticatoio, piatti rassicuranti…. dalle torte della nonna, ai sughi corposi, agli intingoli slegati, in contrapposizione però ci si è mossi anche verso le nuove tendenze culinarie, passando dall'intramontabile fusion, ai tex mex, sino ai panini più disparati, pertanto si può dedurre che il cibo continui e continuerà sempre a parlare di una storia e di un territorio anche quando tutto intorno è fermo come in questo momento».

Quale formule si sente di consigliare ai giovani per superare questo momento drammatico?

«Sicuramente lo studio in primis, studiare e ricercare è la chiave di tutto, il sapere va coltivato sempre, è un qualcosa in continuo movimento, vive in una condizione di grande dinamismo e pertanto richiede di essere alimentato costantemente, per poterlo concretizzare poi nella realizzazione dei piatti. Il mestiere del cuoco poi è un mestiere infinito, in cui la conoscenza non è mai esaustiva, un mestiere in cui l'avanguardia diviene tradizione, e per fare tradizione bisogna sapere guardare avanti, per fare ciò è necessario conoscere ogni cosa in profondità, senza fermarsi, come spesso accade, in superficie».

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Federico Minghi