Trieste, la porcina e il festival fatto bene

Trieste, la porcina e il festival fatto bene

In epoca in cui ogni due mesi si canta la morte dei grandi festival (Roma inutile e costoso, Venezia disertato dalle grandi star, persino Sanremo troppo caro per i contribuenti, almeno secondo chi a differenza mia non ha liturgici …Leggi tutto

In epoca in cui ogni due mesi si canta la morte dei grandi festival (Roma inutile e costoso, Venezia disertato dalle grandi star, persino Sanremo troppo caro per i contribuenti, almeno secondo chi a differenza mia non ha liturgici gruppi d’ascolto), i piccoli resistono. A Trieste fanno bene il tocai, la porcina (più nota come porchetta) e le piazze che guardano il mare. Fanno bene anche i festival, se si pensa che quello in corso ora fino a mercoledì compie quest’anno un quarto di secolo, e coi tempi che corrono non era scontato arrivarci.

Sta nella cura, nell’attenzione, nel capire che chi hai davanti è importante. Al bar sulla piazza ti danno il bicerin di cioccolata col caffè, al Trieste Film Festival selezionano i film mitteleuropei (diciamo così), uno sguardo che va dall’est italiano a quello europeo (non necessariamente comunitario), tirando fuori una rosa di bei titoli che la gente del posto e non solo quella va a vedere con piacere e spirito critico acquisito col tempo (quasi mille paganti per film che vengono da terra ungherese, cosa che forse non capita manco in terra ungherese).

Ieri ho visto un film lituano (la gloriosa cinematografia lituana, penserete voi: l’ho pensato anch’io), titolo internazionale The Gambler, storia di giochi d’azzardo e capitalismi d’accatto nell’ex territorio rosso, ed era realizzato con una padronanza di mezzi da fare invidia a un qualunque giovane (solitamente trentanovenne) uscito dal Centro Sperimentale di Roma, con le presuntuose velleità di chi pensa di solcare la tradizione del Grande Cinema Italiano solo perché nato ai Parioli.

Un festival che tiene insieme premi Oscar (Danis Tanović, fu No Man’s Land, bella l’apertura col suo Un episodio nella vita di un raccoglitore di ferro, uscirà presto nelle sale) e Venerati Maestri (ma davvero: il Monicelli della Grande guerra, altro che Grande bellezza, girato qui cinquantacinque anni fa), e tanta altra roba scelta con la passione di chi vuole bene alle cose.

Ho già pianificato per domani di andare dallo storico Pepi a farmi confezionare per il viaggio un panino con la porcina. Realizzata, qui, con una padronanza di mezzi da fare invidia a qualunque porchettaro romano.

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Mattia Carzaniga

Nato nel 1983, giornalista, scrive per varie testate. Ha pubblicato i  libri «L'amore ai tempi di Facebook» (Baldini Castoldi Dalai, 2009) e  «Facce da schiaffi» (Add Editore, 2011). Guarda molti film, passa troppo  tempo on line, ruba pezzi di storie alle persone che incontra.

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