Storia di Michele, architetto romano che non aveva lavoro da noi e ha scelto di emigrare nel grande Nord. E siccome «la vita ti capita mentre la vivi» dice, dopo gli inizi in cui si è arrangiato un po’, oggi ha un’agenzia di viaggi per portare in tour i turisti del Belpaese e viceversa.
«Di sé medesimi gli islandesi dicono: se vedi uno che comincia a correre senza sapere dove va, quello è uno di noi. In effetti, sono gli italiani del Polo Nord». Dalla trincea di basalto alta come un grattacielo che si allarga di tre centimetri all’anno, dove c’è l’incontro-scontro della placca continentale europea con quella nordamericana, stilla un’acqua di cristallo a ritmare il racconto di Michele Santucci: 30 anni, da cinque in fuga tra i ghiacci dall’impossibilità di costruirsi una vita non banale in Italia. Anche lui ha iniziato a correre senza sapere bene dove andare; un traguardo l’ha raggiunto: ha fondato a Reykjavík la sua agenzia di viaggi.
«I turisti italiani» confessa con un po’ di amarezza «sono la sola opportunità che l’Italia mi ha offerto». Siamo nel luogo simbolo per gli islandesi: Thingvellir. Lì si riuniva l’Alping, il parlamento più antico d’Europa: un anfiteatro di rocce dove fu sancita l’indipendenza 11 secoli fa. I caratteri runici restano graffiati sui sassi. È una tappa del Golden Circle attorno a Reykjavík: le cascate di Gullfoss potenti e bellissime, i geyser di Strokkur che sbuffano come il soffio delle balene di Akureyri, là dove si tocca il Nord con un dito nascosta al fondo dell’Eyjafjordur che è un fiume di mare, un infinito fiordo da cui s’immaginano pigliare il largo le navi vichinghe. L’Islanda divenuta di moda tra gli italiani – colpa del caldo di queste estati – è il nuovo mondo di un italiano stanco di porte in faccia.
Nostalgia? «Puoi staccare un romano da Roma, ma non puoi togliere Roma da un romano». Eppure questo ragazzo, barba incolta, magrissimo, tutto nervi e sogni, sembra felice qui dove il cielo si popola di ectoplasmi dal verde all’indaco nella malìa dell’aurora boreale. «Ci sono venuto l’anno scorso» racconta Michele «con due metri di neve; è da matti. Se la macchina non riparte ti ritrovano ibernato quando fa quell’accenno di giorno che connota gli indefiniti, gelati inverni islandesi, ma la voglia di fare le foto era troppa. Ammetto che sono ancora stupito da questo pezzo di mondo che è più acqua che terra: a volte ghiaccio a volte vapore».
Michele è partito da Roma con quattro amici il 14 agosto 2018. Obiettivo: fare il giro dell’Islanda in camper. Dodici giorni. Ma lui si è fatto un biglietto d’aereo posdatato, è rimasto mentre gli altri sono tornati. «La vita ti capita mentre la vivi» dice. Pensando alla sua laurea triennale in Architettura che in Italia non gli ha dato nessuna opportunità oltre fare fotocopie, pensando al suo inglese coltivato come un geranio alla finestra e inutile perché «anche se lo sai ti pigliano a fare il cameriere a giornata e se va bene fai 40 euro», pensando ai curriculum spediti ovunque e mai tornati indietro sotto forma di offerta lavoro, decide: se trovo casa e lavoro in fretta non torno.
E così è andata: «L’Islanda mi ha fatto un invito: resta! In tre giorni ho trovato una stanza e due lavori con contratto a tempo indeterminato. Ho fatto il lavapiatti, il cameriere e poi il barista a paga minima lavorando la notte (nei weekend fino alle 5 e 30 del mattino); la camera era un sottotetto di 6-7 metri quadrati con un futon come letto. Non potevo starci neanche in piedi, ma mi bastava. Già così avevo trovato l’opportunità che mi serviva per cominciare a costruire qualcosa. Non sapevo ancora cosa, ma qualcosa. Avevo trovato a 3 mila chilometri da famiglia e amici l’opportunità che la mia amata Italia non mi aveva dato».
Gli suggeriscono: iscriviti al sindacato. «È stato importante» spiega Michele «il sindacato qui ti aiuta in tutto: ti affittano le case vacanze a prezzo calmierato, ti anticipano le spese per i corsi di formazione. Con il sindacato ho preso la patente per guidare i pullman. Vigilano sul contratto e la paga: hanno strutturato il lavoro nei servizi con il 2, 2, 3: due giorni lavori 12 ore, due giorni ti riposi e tre giorni fai turni di sei ore. Guadagni sui 2.500 euro al mese e puoi salire».
Dopo due anni di questa vita, qualche lavoretto come architetto qua e là (ora sta co-progettando un albergo) Michele con la fine della pandemia si mette in proprio. «Ho deciso di avviare il tour operator Elysia Tour. Il nome deriva dai campi Elisi equivalente al Valhalla delle culture pagane norrene. Ho costruito tutto da zero: ho creato il logo, il sito, ho progettato i tour. L’idea è fare da ponte tra le culture, trasmettendo il mio amore per questa terra, in lingua italiana agli italiani».
Ma anche gli islandesi amano l’Italia e così Michele ha imbarcato due soci: Þórlindur Viktor Hlynsson, islandese, e Maksim Palijenko, lituano. Loro accompagneranno la gente dei ghiacci a Roma, Michele aspetta gli italiani a Reykjavik. «Abbiamo aperto il 28 gennaio, giorno del mio trentesimo compleanno. Sono bastate la mia patente da autista, l’inglese di noi tre, la passione, e senza tanti timbri, pagando il 18 per cento di tasse, siamo partiti. Da marzo» spiega ancora «dovremmo avere la licenza per diventare un’agenzia turistica a tutti gli effetti: potremo offrire dall’autonoleggio, all’affitto di strutture, così come anche tour da diversi giorni itineranti per l’Islanda e in Italia». Ti manca la carbonara? «A Reykjavik trovo tutto; c’è un italiano che fa qui un ottimo guanciale, gli spaghetti arrivano di buona qualità. E vedo pure le partite della Roma. Quando torno in Italia sono felice; è perché so che qui ho una vita».
