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L’altra Parigi

L’altra Parigi

Alberghi che custodiscono inaspettate memorie storiche, giardini segreti a un passo dalle folle dei turisti, bar très chic, biblioteche dove ancora regna un prezioso silenzio. Un itinerario nel lato quieto della capitale francese. Da esplorare con lentezza.


Torrenti di persone si mettono in fila per La Gioconda per non degnarla di uno sguardo: l’unico bottino che conta è un selfie accanto a Monna Lisa o, all’esterno del Louvre, la foto con l’illusione ottica di dare una pizzicata alla punta delle piramidi.

Il Marais è un ondeggiare di vite accaldate, mai quanto il dedalo di strade del Quartiere Latino, con le attese senza fine per bere un caffè, mentre nei bistrot scatta lo sfratto immediato se non si ordina del cibo prima di subito.

La sera, poi, ai piedi della vezzosa Tour Eiffel, sembra di essere finiti in un suq, tra bancarelle di borse false, paccottiglia sbrilluccicante, lucchetti per deturpare i ponti circostanti sigillando un amore eterno che non sopravviverà all’estate.

Tutti sono a Parigi in queste settimane o sognano di andarci. La capitale francese straripa, s’affatica, si lascia stordire dall’«overtourism», senza però arretrare di un millimetro dalla sua fierezza seducente, da quel provetto esperimento d’ipnosi collettiva orchestrato da boulevard e arrondissement.

Il Jardin du Luxembourg, con le sue sedie oblunghe e le barchette a noleggio, rimane un paradiso bucolico risparmiato dal cemento; la vista da Montmartre spalanca pennellate d’infinito, i macaron e i mont-blanc di Angelina (abbiate pietà di voi stessi, andateci lontano dalle ore dei pasti per non arrugginire in coda) sono il solito sublime peccato di gola.

Ma accanto all’ovvio, all’inevitabile, la Ville Lumière nasconde capolavori meno battuti, confinanti con il caos senza esserne travolti. Sfavilla nei lievi cambi di prospettiva, concede oasi di pace e silenzio, mentre intorno infuriano assembramenti, tempeste di corpi, greggi d’umanità.

Per dire, tutti entrano nel Centre Pompidou, si spingono ai piani superiori per le mostre, i cortili, le terrazze da cui il paesaggio è incantevole, nonostante una temperatura da serra tropicale per il sole che si accanisce sui vetri. Pochissimi si fermano alla biblioteca pubblica al secondo piano, aperta fino a tardi, dove il silenzio è sovrano e i parigini di ogni età leggono, studiano, sonnecchiano nel conforto dell’aria condizionata. È un tocco di normalità, di localismo, risparmiato dal turbine dei gitanti urbani, così come in un altro polo di cultura elegante ma non snob: la Biblioteca nazionale di Francia con saloni dai soffitti affrescati, vetrate da cui filtrano fazzoletti di cielo, scalinate sinuose, scaffali tracimanti di memoria.

È subito a nord di rue de Rivoli, così come le Jardin du Palais Royal, inaspettatamente disertato dalle masse. A Parigi il trucco, se così lo si può chiamare, è non muoversi con il pilota automatico, farsi coraggiosi, addentrarsi negli androni, spingersi tra i pertugi delle strade, spiare nelle feritoie tra i palazzi scarsamente censiti dalle mappe. Si scopriranno meraviglie.

L’emblema è Place des Vosges, assediata da ogni lato da costruzioni che l’abbracciano e la custodiscono, ritrovo di ragazzi, famiglie festaiole, musicisti improvvisati. Al tramonto è una poesia, ma anche un punto di partenza, oltre che d’approdo: abbandonando panchine e prati erbosi, vagando tra i porticati ricchi di gallerie d’arte, schivando la casa dello scrittore Victor Hugo (oggi un museo), cercate piuttosto due passaggi stretti. Uno vi porterà nel Cour et Jardin de l’Hôtel de Sully, palazzo barocco con un cortile lussureggiante; l’altro nella proprietà del Pavillon de la Reine, boutique hotel discreto quanto fascinoso, con un servizio impeccabile. Il ristorante, Anne, ha una manciata di coperti e una stella Michelin, ma a pranzo, dal mercoledì al venerdì, propone una formula a 49 euro per due piatti o 59 euro per tre. Poco, almeno considerando i prezzi folli dei pasti in tanti locali senza pretese. L’importante è prenotare con largo anticipo: parliamo di settimane. Per un drink il consiglio è il Ritz Bar, nell’omonimo sontuoso albergo in Place Vendôme, parte della collezione di lussuosi indirizzi di The Leading Hotels of the World. Qui la principessa Diana era di casa e Coco Chanel ha abitato per 34 anni. Le camere sono per abbienti eletti, invece un cocktail risulta decisamente più accessibile e restituisce le vibrazioni e l’eccellenza assoluta del luogo. Un consiglio: ordinate un arancino al tonno rosso o una terrina di foie gras, entrambi indimenticabili.

Per cena, a pochi passi dal Ritz, nel quieto cortile interno del Mandarin Oriental, il ristorante Camélia propone una cucina contemporanea che pesca suggestioni fino in Asia, senza perdere di vista le tipicità francesi. Tra un tavolo e l’altro ci sono arbusti e piccoli alberi: il concetto di giungla urbana prende una piega decisamente raffinata.

Per dormire, la scelta è sconfinata e per ogni tasca. Il Sofitel Le Scribe Paris Opéra, accanto al mitologico teatro e alla metropolitana, consente di raggiungere ogni luogo della capitale senza fatica. Le stanze sono ampie, gli arredi curatissimi, la sorpresa arriva a colazione: è servita negli ambienti dove, nel 1895, si tenne la prima proiezione a pagamento dei fratelli Auguste e Louis Lumière, gli inventori del cinema. È l’ennesimo inatteso incanto di una città-capolavoro. È Parigi, inesauribile macchina dei sogni.

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