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Sanremo 2013: un’inviata dentro il frullatore

Sanremo 2013: un’inviata dentro il frullatore

Il diario di una delle nostre collaboratrici, immersa, per la prima volta, nella baraonda sanremese – Lo Speciale

Finalmente a casa, di fronte al mio computer e con il lusso di poter mangiare e andare a fare la pipì tutte le volte che voglio.

Non ho tre telefoni che squillano contemporaneamente, interviste da organizzare o discografici con cui fissare appuntamenti al volo.

Il Festival è finito ed stato tutto così frenetico che mi sembra di aver vissuto in un sogno. Ora che sono sveglia mettere i ricordi uno in fila all’altro è un’impresa davvero ardua e, se non avessi di fronte le scalette dei programmi che ho seguito, penso che non ne sarei in grado.
Era la mia prima volta.
In sala stampa i novellini del festival vengono guardati nello stesso modo di una suora al MiSex.

“Non sei mai stata a Sanremo? No?” E giù risatina mefistofelica.
Io, all’inizio, non capivo. Ma devo dire che ci ho messo ben poco ad arrivarci.
La prima cosa che ho imparato è che a Sanremo devi imparare in fretta, perché il tempo scorre velocissimo e non ne hai mai abbastanza.
La seconda è che ci sono tante categorie di lavoratori e che ognuna di queste ha un caratteristico marchio distintivo: il pass.

Il colore di questo pezzettino di plastica è di fondamentale importanza nel microcosmo sanremese e da origine ad una vera e propria gerarchia che viene rigidamente fatta rispettare.
Innanzi tutto ci sono quelli che il Festival lo creano: gli autori, la redazione, i costumisti, i truccatori, i macchinisti, i tecnici luce, la sicurezza… Loro hanno il pass più ambito, quello che ti consente di andare dietro le quinte. E vi assicuro che, durante la settimana, chi possiede questo oggetto del desiderio viene considerato più importante di un Papa dimissionario.
Poi, viene la mandria di giornalisti che il festival lo deve raccontare.

Loro non si allontanano mai dalla sala stampa se non per correre in redazione ad uploadare quello che hanno scritto o filmato. Non si lavano nemmeno e posso assicurare che l’aroma caratteristico del quarto giorno non è una leggenda.

Passeggiando tra le postazioni si sente gente che bisbiglia con fierezza “Questo è il mio trentesimo Festival”…

Ho addirittura intercettato le parole di una cronista, visibilmente ritoccata qui e là, che confessava di trovarsi a Sanremo per la quarantaduesima volta. In quel momento ho capito che, per un critico musicale, è più importante esibire le medaglie conquistate in battaglia che nascondere l’età che avanza.
Però, al Festival, i giornalisti si suddividono in due categorie ben distinte: quelli dal pass verde e quelli dal pass viola.

Il primo è consegnato a chi lavora nella tivù e nella carta stampata e consente di andare a vedere le prove il pomeriggio e di accedere alla sala stampa interna all’Ariston. Questa, tra i giornalisti, è la più ambita perché è quella dove si fanno le conferenze coi vincitori, dove c’è il super maxi schermo galattico e il rinfresco gratis delle sette.

Chi ha il pass viola, invece, è del web o della radio, la sua sala stampa si trova al Pala Fiori e l’Ariston non lo vede nemmeno in fotografia.
Quindi, chi ha il pass verde se lo mette in bella vista anche quando non serve e chi ha il pass viola lo tiene girato al rovescio nel tentativo di mimetizzarsi come un camaleonte su un albero.
E poi ci sono quelli come me, che nella settimana della follia continuano a fare il loro lavoro, ma  si spostano a Sanremo.
In molti mi hanno chiesto che senso abbia trasmettere da lì.
Io non lo sapevo prima di andarci, ma adesso ho la certezza che un senso ce l’ha, e anche grande.

A Sanremo si vive la musica, la si respira, la si sente in ogni angolo. Vivi l’attesa, l’emozione, vedi le facce dei cantati e i loro sogni in fondo agli occhi.

Capisci chi c’è e chi ci fa, comprendi chi è un artista vero e chi un paraculo costruito.
Le radio sparano decibel per le vie mentre la Cuccarini corre per le strade seguita da uno stuolo di assistenti.
Ma tu, che devi organizzare venti interviste, recuperare più informazioni possibili e intercettare qualche scoop, non ci fai nemmeno caso.
Nella via che unisce il teatro Ariston all’Hotel Royal (cinque stelle super lusso) in quei cinque giorni passano proprio tutti e ora posso dire di esserci passata anche io, sempre di corsa e sempre con un telefono incollato all’orecchio.

Sfrecciavo fra attori, direttori d’orchestra e modelle, ma la stanchezza era così tanta che cercavo di mantenere l’attenzione fissa sul mio interlocutore concedendomi solo qualche sorriso compiaciuto per la magica follia che anche io stavo contribuendo a creare.
A Sanremo ho fatto una delle poche cose che mi riesce decentemente: la radio.

Ma, mentre durante l’anno i cantanti vengono a trovarci una volta ogni tanto, e quasi sempre quando sono in promozione del disco nuovo, lì arrivano tutti, uno infilato all’altro e con almeno cinque persone al seguito.

C’è quello dell’ufficio stampa, che fa la faccia carina e ti chiede un tweet e un post su Facebook, il discografico, che in genere ringhia e ti precisa che “solo un intervento e poi passate la canzone, vero?”, l’accompagnatore incoraggiatore (Chiara aveva la sorella, bella come il sole) e lo schiavo che si occupa di mantenere sveglio e idratato l’artista (ma il caffè e l’acqua li offri tu, e al Royal costano la bellezza di 14 euro).

Il quinto dipende dal cantante in questione. C’è chi ha il truccatore, chi il fotografo, chi l’amico del cugino. In pratica è un imbucato che si sta facendo la vacanza gratis.
Io, che non ero mai stata a Sanremo, anche se ci ho vissuto per quasi una settimana, la città non l’ho vista per niente.

Il mare lo incrociavo mentre mi spostavo da una postazione all’altra… ma ci sono gli scogli? La spiaggia? Boh… Alla fine, nel bilancio della settimana, questi sono dettagli del tutto irrilevanti.
In quei momenti ti godi Asaf Avidan cantare una canzone improvvisata alla chitarra a meno di due metri da te e ti perdi nei racconti di Caterina Caselli sui suoi esordi.

Cadono meteoriti sulla Russia? Che importanza ha quando ti passa in mezzo alle gambe Max Gazzè che si muove come un ragno intento a provare una nuova applicazione video dello smartphone…
Sanremo è un circo, un baraccone, una bolla spaziotemporale che ti esclude dalla realtà.
Quando torni ti colpisce la possibilità di ascoltare il silenzio e non hai né la voglia né la forza per guardare un telegiornale dall’inizio alla fine.
Alla realtà ci tornerò con calma domani.
Ah, per la cronaca, io avevo il pass verde.

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