L’app di messaggistica nata per garantire zero controlli da parte delle autorità, sotto sotto è una cloaca delle peggio nefandezze. Un pozzo senza regole frequentato da terroristi, pedofili, e tanti ragazzini. Ma la polizia c’è.
Una giungla fitta che si richiude alle tue spalle e, là in fondo, l’orrore. Prima di affrontare il viaggio nei telefoni dei ragazzini si dovrebbe rileggerlo, Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Preparerebbe almeno un po’ a immergersi in quegli schermi e a scoprire l’indicibile digitale: immagini pornografiche e pedopornografiche, soprattutto, ma anche file cosiddetti «gore», estremi, con bambini e bambine legati e frustati, piccoli violentati a due-tre anni o costretti a far sesso con animali; adulti che si suicidano, oppure spaccati a bastonate, menomati, decapitati; cani e gatti torturati e lasciati morire con sadismo. Lunga, penosissima lista che un uomo degno di questo nome considererà l’inferno dei vivi, ma che per altri è il sollazzo di una sera. Curiosità morbosa da concedersi, cellulare alla mano, appena il resto della famiglia se n’è andata a dormire. Si entra sull’applicazione di messaggistica Telegram (una specie di Whatsapp scaricato da 400 milioni di persone nel mondo) e grazie ai giusti «amici» e a chat fidate, si accede alla cloaca. L’anonimato è garantito dalla tecnologia blindatissima dell’app, creata dalle brillanti menti dei fratelli russi Pavel e Nikolaj Durov per inseguire un ideale di libertà e privacy assolute (nonché il profitto, visto il loro patrimonio di svariati miliardi di dollari). Peccato che accanto agli ideali, il male venga a galla sempre più spesso.
È successo di nuovo il 22 luglio: oltre cento investigatori del Centro nazionale di protezione dei minori del Servizio Polizia postale di Roma, Bari e Foggia hanno eseguito perquisizioni e sequestri in 12 regioni e 17 province italiane nell’operazione «Pay to see», partita grazie alla segnalazione di due genitori insospettiti dai comportamenti della figlia quattordicenne. Hanno scoperto un giro di immagini e video pornografici e pedopornografici prodotti da adolescenti e maggiorenni inviati in cambio di pagamenti su conti online. Ventidue gli indagati, tra cui due minorenni. Su Telegram si forniva un vero e proprio listino prezzi: la sexchat da 45 minuti in cui la ragazzina fa da schiava, 30 euro; per 20 euro «10 foto a scelta + video masturbazione. In omaggio audio in cui dico porcate». E così via.
Il 10 luglio, l’Operazione «Dangerous images» della Polizia postale insieme al Cncpo (Centro nazionale contrasto alla pedopornografia online), aveva scoperchiato una chat dell’orrore con suicidi, mutilazioni, squartamenti e decapitazioni di persone, in qualche caso di animali, in seguito alla denuncia di una madre lucchese. Dopo oltre cinque mesi d’indagine e perquisizioni in 20 province è stato identificato chi deteneva o scambiava immagini e video: 20 minorenni, tra cui sette tredicenni. E ancora prima era partita da Torino una complessa operazione con 50 indagati: tra il materiale sequestrato, definito «raccapricciante» dagli stessi poliziotti, anche foto e video di pratiche sadomaso su bambini di pochissimi mesi.
Ma cosa sta succedendo? «La pedopornografia ormai è diventato un prodotto commerciale» spiega a Panorama Alessandra Belardini, direttore della Sezione investigativa della Polizia postale. «Gli stessi pedofili quando confezionano i loro prodotti non lo fanno più per sé, ma per denaro. Così si recuperano queste immagini dal dark web, o se ne producono di proprie, e poi si inviano in base alle ordinazioni ricevute. I trasferimenti di denaro si fanno su ricariche intestate ad altri nomi. Un giro in cui le associazioni criminali che fanno riciclaggio si sono inserite facilmente».
La Polizia postale combatte tutti i giorni per debellare queste realtà ma sembra una lotta impari. Intercettare il contenuto dei messaggi scambiati è impossibile, e anche se si investiga «sotto copertura» e si blocca una pagina con contenuti illegali, subito dopo ne viene creata un’altra in cui migrano sia i partecipanti sia i file. Un’Idra di Lerna a cui ricrescono le teste tagliate. «Bibbia 5.0., Stupro tua sorella 2.0, Il vangelo del pelo… tutti nomi veri di pagine Telegram che abbiamo chiuso e che proseguono chiamate in altro modo, e sono tantissime» continua Belardini. «Parliamo di gruppi che possono avere fino a 200 mila partecipanti, mentre su Whatsapp il massimo è 256». Ma i vantaggi nell’usare questa app sono anche altri. «Garantisce l’anonimato, nel senso che si può entrare con un nome qualsiasi e senza numero di telefono visibile agli altri; usa la crittografia, cioè nessuno si può interporre tra due persone che si scrivono; si possono distruggere messaggi e contenuti dopo un tempo stabilito. Inoltre dalla sede di Telegram, passata dalla Russia a Dubai, quando si segnalano attività illecite non si riescono ad avere risposte, nessuna».
Con questa massima tutela Telegram è diventata l’applicazione principe per qualsiasi attività illegale. Dalla pirateria di giochi, abbonamenti tv e giornali, all’acquisto di armi, ai viaggi dei clandestini che poi arrivano anche in Italia, alla rete di gruppi neonazisti negli Stati Uniti, in Polonia e in Germania. Su Telegram l’Isis fa propaganda e in passato ha organizzato attentati, mentre al Qaeda lo usa per diffondere informazioni.
«È usato regolarmente per smerciare droga. A me è capitato di trovarne listini e cataloghi fotografici con prezzo e addirittura il bugiardino di somministrazione» racconta Luigi Innocenti, consulente informatico di procure e tribunali. «Altre attività illecite? Ci si spostano titoli, per esempio: una volta negli aeroporti sequestravano chiavette usb magari nascoste in ovuli deglutiti, oggi le certificazioni di denaro viaggiano su Telegram in formato digitale e non sono intercettabili. C’è poi il giro delle fatture false con l’estero, dove la fatturazione elettronica non è prevista e si possono trasmettere documenti in paradisi fiscali senza essere controllati. Ricordo anche una truffa ai danni dell’erario in cui 30-40 soggetti utilizzavano questa app. Si sentivano tranquilli, ma recuperando uno dei cellulari da cui non era stato cancellato niente è stato possibile ricostruire le loro operazioni».
«A Telegram non interessa cosa si fa con l’app: la loro policy è libertà e segretezza, basta» spiega ancora Belardini. «Il fatto che si trascenda sull’abuso di bambini o su pianificazioni di attentati, o altro, non li riguarda. Conta solo avere uno strumento sempre più libero, smart e accessibile a tutti». Ma possibile che il massimo della libertà, ovvero della civiltà, coincida con uno stato primordiale dove gli istinti più bassi prevalgono e le regole morali sono annullate? «Una tecnologia che può far tutto crea anche obbrobri, infatti tanti Paesi stanno capendo come limitare i danni. Servono limiti deontologici. Bisognerebbe imporre a questi grandissimi gestori di attenersi alle regole dello Stato se vogliono utilizzare le loro app. E se un Paese chiede certi dati, li deve dare. Per ora però si voltano dall’altra parte».
Così torniamo alle immagini illecite che sotto al nostro naso stanno invadendo il Telegram italiano. In passato hanno fatto scandalo le migliaia di utenti che affollano i gruppi di revenge porn con foto di ex fidanzate nude o riprese durante un atto sessuale. Oggi si parla anche di «ciukinismo»: qualcuno utilizza Telegram per incitare alla violenza sessuale sulle donne, con l’amministratore della chat che mostra i profili Instagram di alcune ragazze e lancia sondaggi: «Quale de queste troiette vorreste stupra’?».
La vera banalità del male, però, sono i ragazzini che ritengono normale scambiare certe foto di se stessi o di altri. Non è un caso se una recente ricerca della Comunità Exodus ha rivelato che un ragazzo di 13-19 anni su quattro conosce chi manda agli altri foto intime, mentre l’87 per cento guarda foto osé. «È una cosa più comune di quanto si creda: c’è un’erotizzazione precoce, a 11 anni già cercano materiale pornografico sul cellulare ricevuto per la cresima e, per loro, il sexting è quasi una forma di saluto» racconta Marisa Marraffino, avvocato difensore d’ufficio al Tribunale per i minori di Milano ed esperta di reati informatici. «Io sento cose violentissime. Un ragazzo a 15 anni scaricava foto e video con tali cattiverie che non ho parole per descriverle. Bambine di tre anni legate con cinture e seviziate sessualmente da adulti. Le senti piangere. Il ragazzo diceva che guardava per curiosità. Di non sapere fosse vietato, che lo fanno tutti».
«Il tema è devastante» chiosa il capo degli investigatori della Postale. «La settimana scorsa una bambina di dieci anni, adescata, si è scattata dei selfie nuda e li ha mandati pur di ricevere foto del suo cantante preferito. A 12-13 anni entrano consapevoli, con sfrontatezza anzi, in un mondo che sanno essere degli adulti».
«Telegram avrà le sue colpe ma è un mezzo. Non possiamo scaricare sulla tecnologia le nostre responsabilità genitoriali, oppure chiamare “mostri” i ragazzi che ne sono attratti» conclude Marraffino. «Lo vogliamo fare uno sforzo per capire il loro mondo, anche se è un linguaggio che non ci appartiene e ci costa fatica? E la scuola, questo sforzo, vuole decidersi a farlo?». Ma per ora, di luci in fondo alla giungla non se ne vedono.
