Mentre i sostenitori di Donald Trump lasciano in massa i tradizionali Twitter e Facebook, in Italia crescono gli utenti che vogliono sistemi meno invasivi.
«Il primo atto di Joe Biden sarà abolire le differenze fra i due sessi per garantire il pieno riconoscimento dei transgender nei bagni e nello sport» è uno dei messaggi firmato dai trumpisti che circola sul social Telegram e che commenta l’effettiva entrata alla Casa Bianca del neopresidente. In 72 ore, dopo la chiusura da parte di Amazon e Google di Parler, il social dell’estrema destra Usa, il sistema di messaggistica fondato dall’«italo» russo Pavel Durov, ha registrato 25 milioni di nuovi utenti facendo schizzare Telegram oltre il mezzo miliardo di iscritti.
Qui le milizie super «patriottiche» americane ne sparano di tutti i colori: dai video che «svelano le relazioni segrete fra gli ebrei (Israele, ndr) e la Cina» ai «documenti» hackerati all’Agenzia del farmaco europea che dimostrerebbero come il vaccino Pfizer «ha un’efficacia molto minore del 90%. Un recente studio conferma che è solo del 19%».
Dopo l’assalto al Campidoglio di Washington e l’espulsione del presidente Donald Trump e di 70.000 sostenitori da Twitter, Facebook, Instagram e YouTube, l’arcipelago social è in caotico movimento anche in Italia. «Rumble, Sfero, MeWe sono alcuni dei nomi dei nuovi social network sempre più usati dagli utenti italiani che vogliono diffondere video e informazioni senza sottostare al controllo e agli algoritmi dei colossi del settore» è l’analisi di Visionari no profit. L’associazione specializzata in tecnologia ha monitorato la crescita nel nostro Paese di social alternativi ai grandi, quali appunto Instagram, Facebook o Twitter. Sfero è il «primo social network senza cookies» e ospita contributi in forma lunga, sia articoli che video. Fra gli utenti spiccano i no-mask e no-vax. E si possono trovare annunci di questo tenore: «Risvegliamo il corpo, e il virus non ci colpirà. Meditate ed esercitatevi con il respiro ed è fatta».
Nell’arcipelago comunicativo con i timori – infondati – sul cambio di passo in Europa di WhatsApp sulla privacy, arrivano al pubblico italiano messaggi del genere: «Ciao, sono un utente di MeWe, un social network senza pubblicità e spyware. Ecco un invito per te» con allegato link. MeWe è un social americano, che piace ai conservatori moderati e si è fatto conoscere durante le rivolte di Hong Kong. «A differenza di Google, YouTube, Instagram queste piattaforme alternative non svolgono adeguati controlli sui contenuti diffusi dai propri utenti, e adottano una politica più permissiva» dice Dario Piermattei, segretario generale di Visionari no profit. «Il rischio concreto è una diffusione incontrollata di disinformazione e fake news. E di video e contenuti pericolosi che possono incrementare abusi, illeciti e violenza, come dimostrato dai recenti fatti degli Stati Uniti».
L’annunciato e temuto aggiornamento delle politiche sulla privacy di WhatsApp, che però riguardano poco l’Europa, almeno per ora, sta facendo migrare molti utenti italiani oltre che su Telegram, anche verso Signal. Un’app che promette estrema protezione sui dati personali grazie a un avanzato sistema di crittografia nello scambio di messaggi. Signal raccoglie meno informazioni sugli utenti rispetto alla concorrenza. Non a caso viene usato da giornalisti d’assalto e ha ottenuto il sostegno dell’imprenditore dello spazio Elon Musk. «Il potere dei Big tech (i colossi dell’arcipelago social, ndr) va oltre il Grande fratello orwelliano» riflette Luigi Gabriele, presidente di Visionari no profit. «I social network possono decidere la “morte” virtuale di chiunque, da un privato cittadino al presidente Usa, come è capitato a Trump».
L’ultimo a farne le spese, anche se per «errore», è stato Osho, al secolo Federico Palmaroli, autore di battute al vetriolo. La sua pagina social, Le più belle frasi di Osho è sparita, ma Facebook ha fatto sapere che «l’ha rimossa e poi ripristinata» per una segnalazione sul marchio. In passato, però, Osho è stato censurato e non ha postato sul social Renata Polverini, soccorritrice del governo Conte, che fa il saluto romano gridando «All’armi, all’armi siam responsabili». Osho sapeva che l’algoritmo l’avrebbe bannata.
In Italia è finito sotto la «ghigliottina» di Facebook pure Marco Rizzo, segretario del Partito comunista. All’inizio il social lo aveva bannato per un mese. Poi Rizzo ha subìto «solo» un parziale oscuramento e la «rimozione di un post di elevatissimo consenso» con la minaccia di cancellare per sempre la sua pagina se apparissero altre frasi politicamente scorrette. La «colpa» di quest’ultimo comunista è aver scritto il 12 gennaio: «Davvero fantastici i servi dell’informazione nostrana, quando fu costruito il golpe in Ucraina (piazza Maidan nel 2014, ndr) era il popolo che si ribellava a una dittatura, ora che tocca agli americani li chiamano eversivi».
I colossi social hanno pure silenziato, in parte, il quotidiano Libero e bloccato per tre giorni l’app di abbonamenti al Manifesto. Rizzo osserva con Panorama, che «l’Associazione nazionale partigiani, quando lancia il manifesto per l’antifascismo e la democrazia, più che preoccuparsi per qualche cretino che fa il saluto romano farebbe bene a occuparsi dei Big tech e del loro potere incontrastato che un domani potrebbe sfociare in tirannia».
A dar manforte a Rizzo ci pensa, dall’opposto schieramento, la pasionaria della Lega all’Europarlamento: Mara Bizzotto con un’interrogazione alla Commissione Ue chiede di «fermare lo strapotere dei social che violano i diritti e la libertà di opinione. L’oligarchia digitale è un pericolo per la democrazia». Sui social, però, vengono veicolati e alimentati i complotti più astrusi. I fan di Trump, quando imperversavano su Parler ancora online, sono riusciti addirittura a far girare un video che accusava il presidente della Repubblica Sergio Mattarella di essere un agente dell’intelligence britannica e di avere favorito la «falsa» vittoria di Biden.
Twitter, dopo aver cancellato Trump con i suoi 88 milioni di follower, ha dato un dispiacere anche al nuovo presidente Usa. Per la prima volta Biden ha dovuto ricominciare da zero perdendo tutti i follower conquistati in anni di attività politica. Il risultato è stato che a 24 ore dall’insediamento, il neo presidente non aveva neppure raggiunto un milione di seguaci su Twitter. Nell’arcipelago social non mancano poi i cacciatori virtuali «dei filo nazisti passati da Parler a Telegram. Siamo sulle vostre tracce. Potete scappare, ma non nascondervi. La Coalizione per un web più sicuro». E nello Stato Usa dell’Idaho dove le milizie pro Trump sono forti, il provider locale di internet ha oscurato per rappresaglia Facebook e Twitter.
Il paradosso del caos nella rete è la linea anti Big tech della Cina rispetto alla censura dell’ex presidente Usa. Pechino ha creato un mondo social totalmente controllato come Weibo e bloccato Twitter, Facebook e YouTube. Proprio su Weibo ha avuto successo la difesa di Trump dopo la censura social: «Legalmente è ancora il presidente. È un golpe».
Altri utenti hanno invitato Trump a utilizzare Weibo. Global Times, il quotidiano del partito comunista in lingua inglese rivolto alle cancellerie occidentali, ha furbescamente sottolineato che la censura dell’inquilino della Casa Bianca «va contro la libertà di parola che le élite politiche statunitensi hanno (sempre) sostenuto». E ha aggiunto, per far capire che la Cina non può venire criticata per il suo sistema di controllo: «La sospensione dell’account di Trump da parte di Twitter mostra che la libertà di parola ha dei confini in ogni società».
