Sono arrivati gli occhiali con le fotocamere inserite nella montatura. Da oggi catturare l’attimo fuggente della vita quotidiana diventa facilissimo. Come anche invadere la privacy degli altri.
Nelle ultime pagine delle riviste per ragazzi degli anni Ottanta trovavano spazio pubblicità dalle promesse miracolose: occhiali straordinari, pressoché soprannaturali, in grado di vedere dentro le cose, sotto la pelle, attraverso i vestiti. Di mostrare il mondo da un’altra prospettiva parecchio più intrusiva. Oggi quell’illusione, in parte, si avvera: sono arrivate sul mercato soluzioni altrettanto prodigiose. Hanno due fotocamere incastrate nella montatura, dalle quali registrano brevi filmati o scattano immagini. Lo fanno ubbidendo a un comando vocale o a una pressione lieve su una stanghetta, poi trasferiscono tutto al telefonino consentendo di conservare i contenuti o pubblicarli sui social. Di tenerli per sé o liberarli in rete, a caccia di like e cuoricini.
Il meccanismo replica quanto è alla portata di qualsiasi smartphone, però in maniera più immediata, discreta, pratica. Non occorre estrarre un dispositivo ingombrante ed evidente dalla tasca, giostrarsi tra i menu, toccare un pulsantone su un display: gli occhi elettronici sono lì ad altezza fronte, sempre svegli, pronti ad attivarsi. È il preludio, anzi la strada spianata verso una nuova era del «lifelogging»: la volontà e la capacità di documentare gli istanti della propria vita, per salvare dall’oblio quelli rilevanti. Ingabbiare l’attimo fuggente, che diventa permanente. Catturare l’inconsueto, il curioso, il banale che ci capita davanti durante le nostre giornate. A rendere sensata la prospettiva è la pluralità e lo spessore degli attori in campo: i principali colossi tecnologici, da Microsoft a Xiaomi, fino ai social network più affollati, come Snapchat e Facebook. Tutti forti di una lezione appresa dal passato: non ripetere l’errore fatto da Google 10 anni fa con i suoi Glass, pionieristici ma bruttini (per usare un eufemismo), costosi al punto da attrarre solo nerd e inossidabili avanguardisti.
Per i suoi Stories, Facebook si è alleato con uno specialista del design indossabile, l’italiana Luxottica. I Ray-Ban con occhi elettronici incorporati hanno un look accattivante, desiderabile, all’altezza di un uso quotidiano e una clientela dall’età trasversale. Risultano leggeri e facili da usare, persino per gli incalliti tecno-reticenti. Hanno il bonus di far ascoltare la musica (ma occhio a non esagerare con il volume per non rendersi molesti), rispondere alle chiamate e chiacchierare al telefono a mani libere, senza l’impiego di auricolari. «Possono replicare il successo dell’Apple Watch» titolava pochi giorni fa, sbilanciandosi, il magazine economico Fortune. Mentre il quotato blog d’innovazione TechCrunch sentenziava: «Possono riuscire dove i Google Glass hanno fallito».
I bene informati giurano che il numero uno di Apple Tim Cook lascerà l’azienda soltanto dopo aver lanciato gli occhiali smart con il logo della mela, ma la consacrazione definitiva coinciderà con lo sbarco della realtà aumentata su questi prodotti: elementi di bit sovrapposti alla visione del reale. L’esempio più felice è la navigazione: dobbiamo raggiungere una meta, piccole frecce compaiono sulle lenti indicandoci dove andare mentre stiamo guardando la strada. Oppure, riceviamo un messaggio e possiamo visualizzarlo continuando a camminare, di nuovo senza estrarre il telefonino.
Intanto, nell’attesa che il mondo virtuale prenda possesso del nostro sguardo, questi prodotti sollevano preoccupazioni inedite sul piano della privacy. Il «lifelogging», il diario per immagini e video del proprio esistere, giocoforza include e ingloba chi ci gravita intorno. Per caso o per nostra scelta. Se siamo al parco o in bicicletta, registreremo chiunque ci passi accanto, uomo e donna, adulto o bambino. Probabilmente, senza che se ne accorga. Un conto è brandire uno smartphone, un altro è notare il piccolo led che si accende tutte le volte che gli occhiali stanno catturando contenuti. È visibile pure a distanza e sotto il sole, bisogna riconoscerlo, però in un contesto affollato è un puntino di luce diluito in uno spazio immenso. Dovremo forse maturare la consapevolezza che in qualunque luogo pubblico qualcuno possa filmarci.
Durante la nostra prova, al ristorante come in un impianto sportivo, camerieri, clienti e presenti si sono dimostrati più infastiditi che stupiti quando abbiamo mostrato loro le lenti elettroniche nella montatura. Il punto resta controverso, ma apre risvolti interessanti: in futuro, gli occhiali si potrebbero usare per chiamare con un tocco o una parola chiave un contatto d’emergenza, mostrandogli cosa sta succedendo in quel momento, se siamo caduti o ci stanno rapinando. Finendo per scoraggiare un malintenzionato con la consapevolezza che la sua aggressione sarà trasmessa a un potenziale testimone.
E se oggi i video durano al massimo 30 secondi, domani, con il consolidamento delle reti mobili, si potranno trasmettere le immagini sui social in tempo reale. Da racconto in differita, il «lifelogging» evolverà in cronaca diretta. Ammesso che a qualcuno interessi davvero guardare le vite degli altri attraverso i loro occhi.