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Il lato oscuro di TikTok

Il lato oscuro di TikTok

Sul social network cinese si moltiplicano le sfide estreme tra giovanissimi, che gareggiano in imprese sempre più pericolose. Molti si feriscono in modo grave, qualcuno perde anche la vita. Ecco perché lo fanno. E perché fermarli è difficile.


«Mia figlia si è ustionata nella sfida del deodorante su TikTok. Una cosa talmente cretina che mi vergogno a raccontarlo: se lo è spruzzato così a lungo sulla gamba da provocarsi un’ustione» racconta Elena T., romana, madre di due adolescenti. «Siamo dovuti andare in ospedale. L’hanno curata, ma le rimarrà una cicatrice gigantesca sul polpaccio».

La sua è una storia simile a quella di migliaia di genitori che hanno scoperto, loro malgrado, come il social network cinese non sia solo balletti e gattini, ma anche sfide pericolose. «Mio figlio si è tagliato in una “challenge”. In quel momento ho detto basta. Gli ho vietato l’accesso al social, ma è impossibile: mi ha detto che si sentiva fuori da ogni cosa perché a scuola non si parla d’altro, e mi ha promesso di mostrarmi quello che lo turbava. Al primo posto ovviamente c’erano le varie sfide che gli venivano invitate dagli amici» dice Giovanni Parmiggiani, due figli adolescenti molto popolari sui social.

Effettivamente i dati parlano chiaro: i video di TikTok vengono visualizzati più di un miliardo di volte al giorno. Oltre un miliardo sono anche gli utenti attivi a livello globale e l’app del colosso cinese è stata scaricata più di tre miliardi di volte. Gli italiani non mancano: si stima che siano 5,4 milioni, circa il 7,7 per cento della popolazione nazionale. Tutto concorre a creare un patrimonio incredibile: oltre 75 miliardi di dollari.

Quello che emerge è un vero e proprio mondo alternativo, virtuale appunto. Che rischia di sostituirsi al reale. «È un fenomeno molto più ampio di quello che si crede» spiega Ernesto Caffo, presidente e fondatore del Telefono Azzurro, che sul tema ha da poco lanciato uno studio. «Il problema è che non è prevedibile: sempre più minori, e sempre più piccoli, aderiscono alle challenge. E questo perché ci si riconosce in un gruppo che tuttavia è virtuale. Ciò spesso crea un’identità diversa e parallela da quella che si ha nel reale. Questa “sostituzione” porta a una percezione alterata del rischio quando si ritorna nella vita concreta».Una percezione spesso determinata anche dalla «politica del like». «Il like» continua Caffo «determina l’essere o non essere riconoscibile all’interno del gruppo virtuale. Per raccoglierlo si finisce con l’essere disposti a tutto».Ossia «proporre scommesse sempre più estreme, o accodarsi a chi già le ha lanciate sul web». Esattamente quello che ha scoperto Parmeggiani: «Scortato da mio figlio minore su TikTok, ho visto che lì dentro succede di tutto. Praticamente c’è un modo pericoloso, spesso idiota, di fare ogni cosa».

Il riferimento è proprio alle molteplici gare che coinvolgono migliaia di giovanissimi. «Ho scoperto» prosegue «l’Angel of Death, che incoraggia i partecipanti a piazzarsi in mezzo alla strada e aspettare l’arrivo di un camion per poi spostarsi all’ultimo momento; la Kia, che invita a rubare auto; la Fire Challenge, in cui vince chi emette la fiamma più ampia utilizzando alcol spray e un accendino. Ma non è tutto: ci sono gare che puntano a far vomitare i partecipanti come la Banana&sprite».

Popolare adesso (dopo il successo della serie di Netflix sul serial killer Jeffrey Dahmer) – la Dahmer Challenge, che consiste nel cercare le polaroid originali scattate da Dahmer e filmarsi mentre le si guarda, registrando le proprie reazioni, che ovviamente sono generalmente di disgusto, il tutto mentre in sottofondo si ascolta la canzone Psycho Killer dei Talking Heads.

Verrebbe da chiedersi il perché questo accada. Secondo Andrea Fagiolini, psichiatra e docente all’Università di Siena, «le sfide hanno successo tra gli adolescenti perché è una fase di esplorazione, sperimentazione, confronto, ricerca di emozioni intense e desiderio di mettersi alla prova. Vengono spesso considerate come prove, un metodo per dimostrare il proprio valore a sé stessi e agli altri. A volte sono un sistema per riempire il vuoto, per sentirsi forti e coraggiosi».

Ma in un mondo, quello del web, spesso denso di pericoli in mancanza di controlli. Lo dimostrano i dati. Dalla ricerca appena pubblicata dal Telefono Azzurro e Doxa, emerge che a quasi un ragazzo su due (il 48 per cento, percentuale che sale al 53 nel caso di ragazzi tra i 15 e i 18 anni) è capitato di finire in «contenuti poco appropriati», e nel 25 per cento dei casi sono rimasti turbati o impressionati. Il 19 per cento dei giovanissimi intervistati ha anche cercato di controllare e limitare i contenuti sui social, senza riuscirci.

Ma quali sono i video «inappropriati» in cui più facilmente si può incappare, secondo gli stessi ragazzi? Quelli violenti (68 per cento), seguiti dai pornografici (59 per cento), quelli riguardanti il suicidio e l’autolesionismo (40 per cento) o inneggianti l’anoressia e la bulimia (30 per cento). Un universo pericoloso da cui i genitori e gli educatori in generale rischiano di rimanere fuori, e nel quale l’asticella del pericolo è sempre più alta. «Alcune sfide» continua Fagiolini «finiscono per legittimare la voglia di riempire la vita di cose inutili e dannose, privilegiando attività che generino forti emozioni ma che spesso, quando non causano danni più gravi, non lasciano niente».

Qualcuno dirà che, in realtà, l’informazione al riguardo non manca. Ricercando oggi le competizioni più pericolose, tanto per dire, ci si imbatte in una schermata che invita a «valutare le sfide e i pericoli» e suggerisce di «considerare le sfide online e i pericoli tramite il processo in quattro fasi: Fermati, Pensa, Decidi e Agisci».

Una sorta di vademecum che in tempi arcaici si sarebbe definito di buon senso, e che in presenza di «qualcosa di preoccupante o angosciante» incoraggia a riflettere e a chiedersi: «Potrebbe essere andato storto qualcosa? La persona che sta svolgendo la sfida ha competenze speciali? Qualora provassi, hai la certezza di non ferire te stesso o altri intorno a te?». La conclusione: decidi tenendo ben presente che «non vale la pena mettere a rischio te stesso o gli altri».

Secondo i genitori e gli specialisti, è troppo poco. Per due motivi: non basta una schermata per fermare un ragazzo e, soprattutto, le stesse challenge spesso vengono ribattezzate per sfuggire ai controlli; motivo per cui difficilmente raggiungono la classifica di quelle più popolari, che sono monitorate con maggiore attenzione.

Tra buchi di sicurezza e nomi rinnovati, le sfide estreme proliferano, e non di rado si assiste a pericolose rinascite. È il caso della Blackout challenge – conosciuta anche come Choking challenge o Pass-out challenge – che incoraggia a togliersi il respiro, con l’ausilio di lacci e cinture, fino a perdere i sensi. Una sanguinosa competizione che dal suo esordio sul web, nel 2008, ha fatto oltre 80 vittime. Fra queste spicca Archie Battersbee, tanto che per un periodo la challenge venne così ribattezzata: il 12enne inglese finito in coma e poi al centro di un dibattito internazionale sul fine vita.

I veri drammi interessano anche il nostro Paese. Così, nel 2021, una bambina palermitana di 10 anni ha perso la vita soffocata da una cintura che aveva fissato al termosifone. L’ultima vittima è invece una 12enne argentina che a fine gennaio si sarebbe involontariamente impiccata durante una videochiamata con i suoi compagni di classe che la bullizzavano e dai quali – secondo le ricostruzioni – cercava di avere approvazione.

Intanto online si sta diffondendo un’altra tendenza: lo Scalp popping challenge, lo strapparsi rapidamente i capelli per emettere un suono «scoppiettante». Innocuo? Per niente. Almeno secondo i medici che già lanciano l’allarme. n

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