C‘è il video di un uomo che si arrampica su una gru, per un attimo vacilla e poi si lascia cadere: il cellulare di qualche curioso ne segue il volo fino all’impatto con il suolo. C’è un altro video che mostra un motociclista investito da un furgone troppo veloce e il suo corpo carambola in aria come un pupazzo. Poi quello del cane che scivola in acqua e viene sbranato da un coccodrillo. Poi la scena del teenager che in preda alla rabbia stringe il collo di una coetanea minuta, la solleva a mezzo metro da terra e ne sbatte con tutte le forze la testa sul marciapiede, tra le risate dei compagni. Neanche il tempo di chiedersi se l’ha ammazzata che già possiamo essere intrattenuti con un altro video. E un altro, e un altro ancora. Perché su Instagram, ovvero l’app del momento (un miliardo di utenti nel mondo, in forte crescita) conosciuta dai più come il social «carino» per vedere i selfie dell’amico in vacanza, ha un vastissimo lato oscuro che si trova a disposizione di tutti, anche e soprattutto di chi l’età giusta per fruire di certi contenuti proprio non ce l’ha: ufficialmente l’app può essere scaricata con il permesso e il controllo del genitore solo da chi ha già compiuto 13 anni, ma nella realtà in prima media ce l’hanno già in tanti, tantissimi, e con una supervisione non verificata.
Sono infiniti i profili dedicati a chi cerca emozioni forti da vivere nel chiuso del proprio cellulare, tra filmati di sesso, sangue, droga e sopraffazioni che per lo più si interrompono un attimo prima del climax: la ragazza nell’istante in cui si abbassa le mutandine, l’uomo quando si appoggia la pistola alla tempia ma prima di premere il grilletto. mo che si appoggia la pistola alla tempia ma prima di premere il grilletto.
E nella promessa di adrenalina voyeuristica, appare un messaggio: «Per il video completo entrate in quest’altro canale (segue nome)». Oppure: «Per contenuti proibiti entra nel nostro canale Telegram». Basta schiacciare il link e ci si ritrova direttamente sull’altro social che, come ha raccontato Panorama alcuni numeri fa, è un salto in un mondo impossibile da controllare e su cui il peggio sgorga dal «deep web». Queste organizzazioni/persone usano Instagram come specchietto per le allodole mostrando solo in parte i contenuti proibiti, in modo da evitare la flebile censura dell’app e rimandando a Telegram il lavoro sporco.
Il riferimento è soprattutto a contenuti cosiddetti «gore», cioè macabri. Se ne trovano molti nei profili privati ma dall’accesso automatico: basta cliccare su «Segui». In un attimo ti appaiono contenuti totalmente inadatti a menti giovani senza nessuno che ti chieda – per naïf che sia la domanda – quanti anni hai.
Canali come Gorey, come Flappey, come Rutznutez e Ozu_content2020, come Swampynards e Gore_xtreme, Brutalcarcrashes e Justfight2020 (pochi esempi casuali), scrivono spesso «Educational purposes only» pensando così di essere in regola con le direttive della applicazione che in rarissimi casi ammette immagini forti per motivi scientifici ed educativi. Ma cosa c’è di educativo nel video di una donna che calpesta e sbatte contro il muro un bambino non più grande di due anni, o nella disgraziata esecuzione di un uomo a cui il colpo di fucile ravvicinato disintegra il cranio mentre la pressione gli fa saltare fuori gli occhi? Su Instagram si vedono cose che all’incauto spettatore possono togliere il sonno, invece sono canali a cui si iscrive un visibilio di persone.
Lo «Standard della community», come si chiamano le regole imposte da Instagram, è molto elevato. E la definizione dell’impubblicabile è diventata ancora più dettagliata in agosto, dopo un’ennesima stretta sui contenuti. Ogni anno sono decine di milioni (in crescita costante) quelli rimossi soprattutto grazie all’uso di intelligenza artificiale che rintraccia immagini di presunte violazioni, ma anche grazie all’aiuto dei privati che cliccando sul tasto «Segnala» attenzionano alla società i profili che non dovrebbero essere attivi. Ciò detto, la quantità di materiale inadatto rimane altissima.
Prendiamo l’emulazione. Si vedono ragazzi darsi fuoco per la Fire challenge, sfida a chi si cosparge il corpo di liquido infiammabile per essere all’altezza degli amici e fare un video spassoso da postare sui social. Invece strillano cercando di strapparsi di dosso i vestiti, ma continuando a bruciare perché il liquido ha bagnato anche la pelle. Ma le visualizzazioni social hanno un’attrattiva troppo forte. Per questo si filmano le risse, decisamente di tendenza. Ragazzini che si spaccano la faccia a pugni e a calci. Uno contro uno. Tutti contro uno. Ragazze che picchiano come fabbri. Adulti che infieriscono sul nemico privo di sensi. Forse davvero il brodo di coltura della violenza di cui si parla tanto in questi giorni sta nella banalità social del male. Emulazione e adrenalina.
Un altro grande filone è il sesso. Molti profili lo dichiarano: «Pagina a sfondo sessuale. Solo maggiorenni». Come se per un ragazzino fosse un deterrente. Dentro, immagini di belle ragazze coperte dal minimo indispensabile. Poi il rimando a canali Telegram zeppi di video che chiameremmo porno, se una parte non fosse di sesso amatoriale che fa pensare più al revenge porn che a professionismo. Ai limiti imposti dallo «Standard della community» ci si attiene a fatica. I capezzoli, specificamente vietati, spuntano dalle trasparenze e scappano alle maglie di una canottiera a rete. I primi piani di fondoschiena nudi debordano. Gli atti sessuali sono rappresentati con disegni, mentre la fellatio è eseguita su facsimile di varia natura e materia. Niente di sconvolgente, ma basta avere un figlio piccolo per rimanerne infastiditi.
Tema delicato, quello dei ragazzini. Non è raro imbattersi in feticisti dei piedi infantili: si vedono adulti che li leccano. Ma è una pedofilia conclamata e rapidamente espulsa dal social. Ci sono invece profili (non ne faremo il nome per evitare la loro visibilità) che contengono una selezione di video presi da Tik Tok con bambini e bambine tra i 9 e i 13 anni. Le femmine spesso sono truccate e ballano o «twerkano» per imitare quel che si vede in giro. I maschi fanno i duri, magari a torso nudo. Tra i commenti ai video si legge: «Non dico cosa le farei sennò finisco in galera», «Le ragazze sono come il vino: le migliori hanno 12 anni e stanno in cantina», «Che bei piedini», oppure «Che bella bambina, vuoi venire con me? Ti do delle caramelle buonissime». Ma anche il più brutale «Lei si chiama Carola, ama fare i TikTok e vorrebbe diventare famosa. Tagga un amico che se la scoperebbe». Molti i riferimenti a don Gino, presumibilmente don Gino Flaim, collaboratore pastorale della chiesa di San Pio X a Trento che nel 2015 disse «Io la pedofilia posso capirla, l’omosessualità non lo so».
Pochi mesi fa la youtuber specializzata sull’argomento, Ready to Glare (vero nome Giulia Cristina: italiana di nascita e americana di fatto), ha riscosso centinaia di migliaia di visualizzazioni con un video in cui esasperata denunciava la presenza di profili Instagram con immagini attraenti per i pedofili. Bambini in pose provocanti, o in costume, «e nessuno fa nulla». Titolo: Il dark side di Instagram. «Se la priorità delle organizzazioni e della società non è tutelare i bambini, dovremmo davvero riflettere su dove siamo andati a finire» commenta la youtuber a Panorama. «Sì, Instagram ha un dark side molto accessibile a chiunque perché non serve neanche cercarlo, come si fa con il deep web. È semplicemente lì».
Ma su un miliardo di iscritti nel mondo, i contenuti sono un mare magno davvero difficile da contenere. «Instagram è molto collaborativa, ma non è che possiamo intervenire in mancanza di segnalazioni, denunce, o indagini sotto copertura» spiega Alessandra Belardini, direttore della sezione investigativa della Polizia postale. Che ricorda quanto il problema si stia complicando: «La preoccupazione è che si sta abbassando molto l’età di chi usa questo e altri social. Bambini di 10 o 11 anni, più fragili di fronte al rischio di adescamento online non dovrebbero avere un loro profilo. Se inviano una fotografia nuda in cambio di quella del cantante preferito, come è accaduto, c’è qualcosa che non quadra». Sì, qualcosa non quadra.
«Non possiamo scaricare sulle piattaforme come Instagram la nostra responsabilità genitoriale» commenta Marisa Marraffino, avvocato difensore d’ufficio al Tribunale per i minorenni di Milano ed esperta di reati informatici. «I genitori devono studiare i mezzi tecnologici che ormai mettono qualunque cosa a disposizione di chiunque, e parlare con i figli, anche dei profili che seguono. La curiosità è la cifra dei giovani. La presa di coscienza quella degli adulti». n
© riproduzione riservata


