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Il mio violino rock per Bolle

Il mio violino rock per Bolle

Il look non convenzionale, i brani scritti per il ballerino più famoso del mondo, gli assoli con Carlos Santana e il suo «strumento» del Settecento realizzato da un allievo di Stradivari. Il compositore e musicista Alessandro Quarta si racconta a Panorama.


«Il violino va posseduto, per me ogni esibizione è come un amplesso». Ha un rapporto fisico e carnale con la musica Alessandro Quarta, «musical genius made in Italy» come lo ha definito la Cnn. Lo sa bene chi lo ha visto esibirsi sul palcoscenico senza frac e imbellettamenti vari, in jeans e maglietta, da solo o insieme a Roberto Bolle, un’accoppiata «elettrica»di quelle che fanno venire giù i teatri. «È un’emozione indescrivibile assistere in scena al miracolo di una mia composizione che prende vita attraverso le movenze di Roberto. Perché questo è ciò che succede: io eseguo un brano e lui lo fa suo “suonandolo” con il corpo. Siamo in perfetta sintonia, ma soprattutto complici all’interno di una consapevolezza comune: nelle collaborazioni tra artisti l’individualità deve essere perfetta. L’armonia nasce dalla perfezione individuale» racconta Quarta. «Con il talento e basta non si va da nessuna parte, il talento è la ciliegina sulla torta, non la torta, fatta di dedizione, sacrificio e rinunce. A cinque anni studiavo due ore e mezzo al giorno, a sette ho scritto il mio primo brano, un regalo di Natale per mamma e papà. Poi le ore di esercizio sono diventate otto o nove tutti i giorni. Non bisogna dimenticare che il violinista è un atleta, deve allenarsi con costanza. Al pubblico bisogna dare il massimo, anche se hai suonato 10 volte negli ultimi 15 giorni» dice, entrando poi nelle pieghe di una battaglia personale che lo ha messo alla prova senza sconti.

«Dopo aver avuto due tumori al collo sono stato costretto a cambiare la posizione con cui da sempre reggevo il violino. Non avevo alternative: o imparavo a suonare con una postura diversa, oppure smettevo di suonare. Per questo obiettivo difficilissimo ho dato tutto me stesso. Dormivo sei, sette ore e tutto il resto della giornata era dedicato all’allenamento. L’obiettivo era grandioso: uno spettacolo sold out all’arena di Verona insieme a Roberto. Per lui ho scritto due assolo, Dorian Gray e Etere. Il primo è nato in una notte, ispirato dalle visione online di decine di sue esibizioni, il secondo lo definirei una composizione sartoriale, scritta su misura per lui».

Le dita che corrono sullo strumento e il corpo che si muove nel solco di un ritmo sono due facce della stessa medaglia: forme d’espressione diverse ma indissolubilmente legate e non da ora. «La musica, fin dai tempi degli antichi Greci, è nata per la danza, al servizio della danza. Il barocco ce lo insegna: tutte le arie erano in realtà danze. Quando si compone un brano è essenziale avere dentro un tempo e un ritmo di riferimento. Il suono evoca sempre un movimento. Quando ascolto o eseguo i Brandeburghesi di Bach vedo una foglia che si è staccata dall’albero, trasportata dolcemente dal vento, che vola senza mai cadere a terra. Anche questa è una danza» sottolinea il violinista e compositore. Tra le perle della sua carriera, un’improvvisazione sul palco con Carlos Santana, icona di un modo di suonare la chitarra che privilegia il pathos e l’emozione rispetto alla tecnica. «È stato bellissimo andare a ruota libera su due brani cult della sua storia come Europa e Oye como va. Cercavo di ricreare un’atmosfera e un suono alla Jimi Hendrix, ma senza distorsioni e senza usare violini elettrici che non mi piacciono» ricorda, aggiungendo che viaggiare per il mondo con il suo strumento «è un po’ come andare in giro con un Giotto nella valigia. Il mio violino ha compiuto 300 anni. È del 1723. Lo sto acquistando da una famiglia italiana che mi vuole molto bene e mi ha dato la possibilità di pagarlo un po’ alla volta. C’è chi si compra ville e castelli con quelle cifre e chi si porta a casa uno strumento. Quello che mi accompagna è un rarissimo e integro Alessandro Gagliano (allievo di Stradivari, ndr) con verniciatura Stradivari. Un pezzo di storia. Che suona così com’è, senza bisogno di interventi al mixer».

In quest’era di musica digitale l’arte del violino rimane quel che è sempre stata, un’ esperienza analogica a tutto tondo, fatta di movimenti delle mani e del corpo. La forza di gravità, l’intensità del tocco con l’archetto sono fattori non replicabili. E infatti non esistono due performance uguali dello stesso brano. È il fattore umano quello che fa sì che ogni esecuzione sia differente dall’altra. «Una cosa è un computer che ogni sera fa risuonare in teatro la stessa immutabile base musicale, un’ altra è un’orchestra di 70 musicisti in carne e ossa che ti devasta l’anima. L’autotune permette al cantante di essere sempre uguale a se stesso, ma è un trucco. I concerti di Tina Turner o Ella Fitzgerald erano costellati di piccole imperfezioni vocali, essenziali per creare emozione, per lasciare un segno indelebile in ogni spettacolo. Viviamo in un periodo di bassa cultura musicale, ma credo che l’arte con la a minuscola sia destinata a finire in tempi brevi».

La sua ultima composizione, I Cinque Elementi, è figlia di un approccio passionale alla musica, intesa come flusso travolgente di emozioni e sensazioni che non possono lasciare indifferenti: «I Cinque elementi sono parte di me: il fuoco che mi pervade quando suono, l’acqua, fluida come la musica, la terra che ho necessità di sentire, attraverso il palco, sotto i piedi. L’aria delle note, lo spazio tra loro. E, poi, ogni volta che apro gli occhi, li rivolgo al cielo, all’Etere». Nel suo modo di stare in scena Alessandro Quarta ha tagliato i ponti con la tradizione dell’eleganza formale, una scelta complessa ma irreversibile: «Io l’ambiente del “classico” l’ho sofferto molto. Dal punto di vista umano, non musicale. Poi, ho deciso di essere me stesso fino in fondo. Certo non è stato facile far accettare l’immagine di un violinista che si presenta in scena in jeans e t-shirt, magari la stessa che indossava durante le prove. Oggi questa scelta è diventata un mio tratto distintivo, ma anche un modo per far intendere che se uno vuole vedere una persona che indossa un bell’abito può tranquillamente andare a una sfilata di moda. A me interessa che la gente venga a teatro, chiuda gli occhi e si faccia un meraviglioso viaggio nella bellezza del suono. Posso garantire che il frac non migliora la performance di nessun musicista».

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