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Vamos a la playa per sempre

Vamos a la playa per sempre

Stefano Righi, a distanza di 40 anni, rilancia il suo brano di culto e di maggior successo in un’inedita versione originale. E a Panorama rivela: «Con la mia nuova casa discografica, andrò a caccia di altri tormentoni».


Aveva due vite incompatibili tra loro Johnson Righeira quando, nel 1983, Vamos a la playa diventò all’improvviso la canzone dell’estate italiana: «Mi trovavo in un centro addestramento reclute, vicino a Novara, e stavo letteralmente sclerando. Uscivo solo per andare al Festivalbar dove io e Michael (l’altro Righeira, ndr ) venivamo accolti come superstar. Bagni di folla, ovazioni, ragazze e poi di nuovo, di corsa, in caserma» racconta alla vigilia dei 60 anni, mentre la sua neonata casa discografica, la Kottolengo Recordings, sta per pubblicare la prima e inedita versione del tormentone che gli ha cambiato la vita. «Le note e il testo erano gli stessi, ma aveva un’atmosfera cupa, new wave. Furono i nostri produttori, i Fratelli La Bionda (i maestri della via italiana alla disco music, ndr) a intervenire su quel mood un po’ plumbeo» spiega Johnson, che le modifiche alla sua canzone le ascoltava in caserma dove gli venivano recapitate le audiocassette.



«Mi guardavano tutti come un povero demente che si illudeva di combinare qualcosa nella musica. Poi, dopo tre settimane, contro ogni previsione, mi ritrovai al primo posto in classifica. A quel punto scattò l’invidia. Ma il vero problema era la mia insofferenza. Mi feci mandare dal cappellano militare alla Neuro di Baggio, a Milano, e lì raccontai che ero uno studente depresso, che dovevo per forza tornare a studiare… Ovviamente, non funzionò. Un istante prima di essere rispedito in caserma, riuscii a intercettare lo psicologo civile: “Posso dirle una cosa? Lei conosce Vamos a la playa? Ecco, io sono uno dei due che l’ha registrata. Ho bisogno di tempo per finire di incidere l’album e partecipare alla finale del Festivalbar”. Alla fine, mi diedero 20 giorni di licenza. Poi, una volta concluso il servizio militare, capii quanto la mia esistenza fosse cambiata».

Nel frattempo, l’inno dell’estate era diventata una hit internazionale da tre milioni di copie. Lo stesso avvenne poco dopo con L’estate sta finendo, uno dei pezzi cult degli anni Ottanta. Dalla scena underground di Torino al mondo: tanta fama e tanti soldi, alla faccia di uno dei loro successi più noti, ironicamente intitolato No tengo dinero: «Ne entravano davvero tanti, ma non ho mai badato a spese. Quello che incassavo spendevo, vivevo con quell’entusiasmo adolescenziale che, in fondo, è da sempre la mia cifra stilistica. Ancora oggi, quasi 40 anni dopo, i diritti d’autore di quei brani mi permettono di vivere bene. Senza strafare, però» spiega, aggiungendo che nel 2015 l’avventura artistica con Michael Righeira si è conclusa. «Non ci siamo lasciati benissimo, non lo sento più da anni».

Erano numeri da star internazionali quelli dei Righeira, premiati dal pubblico, ma mai dalla critica, sempre ostile nei confronti del pop italiano da esportazione degli Ottanta, etichettato senza troppi riguardi come la musica degli yuppies. «La cultura snob di sinistra non ammetteva deroghe: o seguivi la religione dell’impegno politico e sociale a tutti i costi, oppure non esistevi. Lo affermo da uomo di sinistra che andava in piazza a manifestare. Detto questo, non ho mai rinunciato a essere un indipendente, a rivendicare il diritto di vivere con warholiana leggerezza, svincolato da ogni dogma. Da giovane ho curato una fanzine punk e, al liceo, mi sono inventato una lista situazionista, la Lista Banana, che si proponeva di prendere in giro la politica giovanile nelle scuole che replicava in scala minore la stesse identiche logiche della politica adulta. Come ultimo atto, il giorno prima delle elezioni, distribuimmo 27 chili di banane acquistate con una colletta. Negli ultimi tempi, grazie alla Kottolengo Recordings, ho ritrovato l’entusiasmo dei miei anni liceali» sottolinea, prima di addentrarsi nei ricordi della partecipazione al Festival di Sanremo nel 1986: «Ci presentammo con Innamoratissimo, ma non andammo oltre il quindicesimo posto. Ogni volta che entravamo in sala stampa i giornalisti ci applaudivano, ma poi in pubblico non riuscivano ad ammettere che in fondo gli piacevamo».

Il bagliore del successo, il divertimento senza limiti, la leggerezza, e poi il buio, nel 1993, quando Johnson Righeira (all’anagrafe Stefano Righi) si ritrova in carcere a Padova con l’accusa di spaccio di stupefacenti: «Cinque mesi durissimi: ho sentito il mondo che mi crollava addosso. Conducevo una vita molto rock and roll, ma non avevo mai venduto nulla a nessuno e, alla fine, sono stato assolto».

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