Negli anni ’70, rasato e dipinto d’argento, è stato il leader della band francese Rockets. Oggi Fabrice Quagliotti , torna come solista con il disco Parallel Worlds.
Da un giorno all’altro ci siamo trovati senza capelli e vestiti da extraterrestri. L’idea venne al nostro produttore, Claude Lemoine, convinto che senza una trovata rivoluzionaria saremmo rimasti a suonare blues rock in Francia» racconta Fabrice Quagliotti, 59 anni, una delle colonne portanti dei Rockets, la band che ha sbancato le classifiche italiane alla fine degli anni Settanta con una manciata di canzoni che sono state e sono la colonna sonora di una generazione. Tre su tutte: Galactica, Electric delight e On the road again, tutte nel segno della fusione tra rock, elettronica, disco music e sonorità spaziali. La formula che alla fine dei Novanta ha permesso ai parigini Daft Punk di diventare una delle band più popolari del mondo.
«Il loro primo produttore veniva spesso a trovarci in studio di registrazione…» ricorda Quagliotti con Panorama. «Quando li ascolto mi viene da dire che noi eravamo troppo in anticipo sui tempi, mentre loro, oltre ad essere molto bravi, sono arrivati al momento giusto» sottolinea: «Ogni volta che penso ai nostri inizi, mi rivedo su una sedia da barbiere mentre il cantante del gruppo, Christian Le Bartz, mi taglia i capelli a zero con un ghigno sadico. Lui rasava e io gli dicevo: “lo sai che sei un bastardo?” Fu uno choc!» ricorda a due settimane dall’uscita del suo primo album solista, Parallel Worlds.
Il volto e le mani color argento e il resto del corpo imbrigliato in tute da viaggiatori dello spazio: era questo il brand Rockets: «I costumi li abbiamo disegnati noi, mentre per l’effetto argento metallizzato ci siamo affidati ad una crema realizzata da un’azienda che si occupava di effetti teatrali. Il problema non era applicarla ma toglierla. Era così resistente che tre mesi dopo la fine del tour c’erano ancora granelli di polvere argentata nelle orecchie…» ricorda, prima di addentrarsi tra le decine di aneddoti degli anni d’oro del gruppo.
«Era consuetudine che nell’ultima data del tour i tecnici organizzassero scherzi. Una sera, entro in scena, e dalle mie 12 tastiere esce solo un rumore sordo. In pratica, avevano bloccato tutti i tasti con lo scotch da pacco. Mi arrabbiai moltissimo. Così come si incazzò il cantante, Christian, quando un tecnico, per errore, scambiò la sua bottiglia d’acqua con quella che conteneva un olio profumato che veniva versato ogni sera nella macchina del fumo. Ne bevve un sorso e iniziò a sputare e a tossire selvaggiamente» rievoca.
Inconvenienti a parte, fu trionfale l’accoglienza riservata ai Rockets dal pubblico italiano: fan in delirio e centinaia di concerti sold out, tra laser, fumi e navicelle spaziali. Tutto perfetto se non fosse che alla fine degli anni Settanta, in Italia, nessuno era al riparo dall’estremismo politico.
«Al Palalido di Milano successe il finimondo. Dei gruppi di autonomi ci lanciarono addosso di tutto: dai bulloni alle travi di legno. Erano assurdamente convinti che fossimo dei nazisti perché eravamo rasati e il chitarrista aveva una chitarra a forma di croce del sole che per alcuni ricordava una svastica. Ovviamente non c’entrava nulla, ma… Mi sono accorto di quello che stava succedendo perché all’improvviso il batterista ha iniziato ad andare fuori tempo. Un attimo dopo, un pezzo di legno è atterrato sulla mia tastiera. Ho continuato a suonare con due tecnici al mio fianco che mi riparavano dagli oggetti con le custodie vuote degli strumenti. Un caos infernale dentro il Palalido, ma anche fuori. Scontri, lacrimogeni, una Ferrari ribaltata nel mezzo del parcheggio… Una follia» ricorda oggi il musicista che è il titolare del marchio Rockets, oltre che l’unico superstite della formazione originale francese. «Due settimane fa abbiamo suonato all’International Motor Days di Civitanova Marche ed è andata benissimo. Per non parlare di quando andiamo in Russia dove oggi siamo popolari come in Italia all’inizio degli anni Ottanta».
Il 23 ottobre Quagliotti pubblica Parallel Worlds, un album interamente strumentale scritto e pensato con un approccio visionario e cinematografico come se le 14 canzoni (tra le migliori, Princess, Alchemy e Japanese Tattoo) fossero destinate a fare da colonna sonora ad altrettante pellicole.
«Mi fa piacere che la versione in vinile sia già sold out in pre-order. L’ho realizzato quasi interamente durante i mesi del lockdown ed è dedicato a Ennio Morricone» racconta, prima di aggiungere: «La musica è vita, io non posso stare un giorno senza suonare. Senza musica il mondo diventa grigio: provate a immaginare una giornata senza canzoni negli spot, nei film, con le radio spente. Che tristezza…».
