In due libri dedicati al grande cantautore scomparso a maggio ritroviamo le sue riflessioni sui temi tabù della nostra epoca: il dolore e la morte. La presenza del primo va accettata, ricordava l’artista. E la seconda è un «cambio di esistenza».
Piccoli gioielli della tv italiana. Nel 2004, sul canale Rai Doc, va in onda una trasmissione piuttosto diversa da quelle che siamo abituati a vedere sul piccolo schermo. Si chiama Bitte, keine Réclame (Per cortesia, niente pubblicità) e i conduttori sono l’attrice Sonia Bergamasco e Franco Battiato. L’artista catanese, morto nel maggio 2021, ha ideato personalmente il programma e si propone al pubblico nelle vesti inedite di presentatore. Un presentatore molto sui generis, va detto. Battiato si cimenta nel complicato genere dell’intervista, ma sostanzialmente non parla. Si limita per lo più ad ascoltare. La sua sola presenza, assieme a qualche piccolo tocco utile a indirizzare la conversazione, suscita agli ospiti profonde riflessioni, risposte ampie e suggestive.
Alcuni di questi colloqui, i più intensi, sono stati trascritti e pubblicati in un bel libro con un titolo perfetto: Il silenzio e l’ascolto, curato da Giuseppe Pollicelli, giornalista e cineasta, che nel 2013 diresse assieme a Mario Tani il film documentario Temporary Road. (Una) Vita di Franco Battiato.
Il volume è appena ricomparso in libreria, edito da Castelvecchi, e sfogliarlo oggi risulta particolarmente coinvolgente. Comprende, come spiega la stesso Pollicelli, colloqui con il sacerdote e teologo cattolico Raimon Panikkar, grande fautore dell’incontro tra le diverse confessioni; con il regista e scrittore cileno Alejandro Jodorowsky (che nel 2006 interpretò Beethoven nel film Musikanten); con l’intellettuale sufi Gabriele Mandel; con i musicisti Claudio Rocchi e Juri Camisasca (entrambi amici e collaboratori di vecchia data di Battiato); con la pianista francese Michelle Thomasson, vedova di Henri Thomasson, allievo di Georges I.
Georges Ivanovič Gurdjieff è a sua volta assertore della filosofia gurdjieffiana; con l’ingegnere e designer giapponese Isao Hosoe.
Scorrendo le pagine, si trovano passaggi strabilianti, persino molto divertenti. Per esempio quello in cui, nel dialogo con Jodorowsky, emerge uno stravagante elogio della femminilità: «L’uomo è molto semplice: ha un organo esterno e un’erezione» dice Jodorowsky. «La vagina non è un organo, è viscere perché è interna. La forma maschile è chiara, quella femminile tende invece all’adattamento, si adatta ad altre forme. Si tratta quindi di due modalità – anche di pensiero – totalmente diverse. Io vorrei rinascere con una vagina! Questa cosa così incredibile, meravigliosa, ricettiva, umida… Così misteriosa, così ricca, così artistica… Viva la vagina!». Battiato, di fronte a tale exploit, ride e commenta: «È fantastico!».
L’idea che una cosa del genere sia andata in onda sulla Rai è quasi inconcepibile: se non di volgarità, oggi i due verrebbero accusati di sessismo per aver parlato della differenza fondamentale fra maschile e femminile. Ciò che più colpisce in Il silenzio e l’ascolto, tuttavia, è il modo in cui Battiato affronta i due grandi temi di questi giorni, le ossessioni che martellano ogni secondo della nostra quotidianità e in tempi di Covid sono esplose travolgendo la nostra esistenza. Si tratta del dolore e della morte, che sono ovviamente legati e rappresentano il grande rimosso della nostra era.
La coltre di buonismo e di (pur limitato) benessere che ci avvolge agisce come da isolante, attutisce gli urti e, soprattutto, ci impedisce di fare i conti con il male. Che invece Battiato intende fronteggiare direttamente nella conversazione con Panikkar. Lo chiede con semplicità: «Che idea ha del male?». La risposta è semplice ma fondamentale: «L’esistenza del male va accettata. Io non pretende di capirlo, il male» spiega Panikkar. «Ne accetto l’esistenza, poiché è una cosa reale e svolge anche una straordinaria funzione rivelatrice. Per comprendere il male potrei andare da uno psicanalista, ma non lo capirei davvero neppure così. Cosa sia precisamente il male non posso spiegarlo, eppure esso è reale. E ci impartisce una grande lezione di realismo, di umiltà. Ci fa capire che non è possibile spiegare tutto».
Ecco, qui si coglie il senso profondo del dolore e anche della morte. Ricordarci il limite, quella finitezza che ci rende uomini e non dei, non singoli onnipotenti ma parti di un più ampio organismo, un creato che ci abbraccia e ci trascende. Proprio alla morte è dedicato un altro libro, firmato dallo stesso Battiato con Gianluca Magi, appena arrivato in libreria per le edizioni Piano B. Si intitola Lo stato intermedio, e che esca adesso non è una coincidenza.
Come ha scritto il filosofo Byung-Chul Han, l’Occidente s’illude di vivere in una «società senza dolore». L’unico sogno che coltiva è vincere la sofferenza fisica e la morte: quella del corpo, però, non quella dell’anima. Siamo ossessionati dalla sopravvivenza fisica perché il nostro spirito sembra essere disidratato. Battiato, ancora una volta, tocca il cuore del problema. Lo stadio intermedio, non per nulla, nasce assieme al film Attraversando il Bardo, che è un viaggio attorno al libro dei morti tibetano.
«Il passaggio dalla vita a quella che chiamiamo morte è l’argomento rimosso dei nostri tempi» scrive Battiato. «Ma in realtà la morte non è fine, non è inizio, ma passaggio: dopo fai i conti con quel che hai fatto. Non è un lavoro facile per argomento e struttura. Ma quando in un’epoca di abbassamento spirituale spaventoso hai la possibilità di contribuire nel cominciare a diventare esseri umani, allora non puoi sottrarti».
Come è evidente, Battiato non ha un approccio cristiano alla materia, tuttavia – pur da un’altra prospettiva – cerca di riportare i suoi lettori nell’alveo della dimensione tradizionale. «C’è stata un’attrazione centrale di figure di grande rilievo – personalità religiose, legate a più dottrine, scienziati, fisici quantistici, asceti, psicologi e filosofi d’ogni tendenza – che fanno riflettere sul fatto che niente finisce per sempre con la morte. Perché l’energia di cui siamo costituiti ha le caratteristiche spirituali dell’eternità. Perciò morire è solo trasformarsi in un passaggio da una dimensione a un’altra. Tutti dobbiamo passare attraverso questo cambio di esistenza. Anche chi non studia assolutamente questo passaggio» scrive Battiato. Tra una citazione di Stanislav Grof e un incontro proficuo in Tibet, il discorso sulla morte viene portato avanti con coraggio, e insieme con grande semplicità.
Battiato lo affronta seguendo la sua strada, artistica e spirituale. E lascia, qua e là, briciole che possiamo raccogliere: «Nulla è come sembra. Siamo infiniti ed eterni quanto il cosmo. In realtà siamo prigionieri delle nostre abitudini, paure e potenti illusioni. Dunque non riusciamo a considerare consapevolmente di essere parte del tutto universale». Ecco che cosa ci spaventa di più: perdere le nostre abitudini e le nostre illusioni. Provare sulla pelle – tramite il dolore – la finitezza del nostro corpo. Per conservarlo, siamo pronti a tutto, anche a venderci l’anima. Cioè la sola parte di noi che, davvero, può farci sentire parte del creato. L’unica parte che ci trascende e che può sperare di vincere la morte.
