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«Cantiamo la periferia che scoppia»

«Cantiamo la periferia che scoppia»

Storie di strada, amori tossici, incontri pericolosi. I testi del nuovo disco «17» di Emis Killa e Jake La Furia sono una chiave per interpretare la gioventù problematica di oggi. Una riflessione sulla vita e sul potere di riscatto sociale del rap.


Cronache di vita in rima, storie di strada, epopee criminali e amori tossici: c’è questo nei brani di 17, l’album firmato da Emis Killa e Jake La Furia, un disco che contiene 15 anni di suoni e strofe nate tra le pieghe di una scena, quella rap, diventata l’idioma di riferimento di almeno tre generazioni di teenager. «L’unico punto fermo è che il disco uscirà. Tutto il resto, causa Covid, è avvolto nell’incertezza più totale. Per chi fa questo lavoro il lockdown non si è mai concluso» spiega Jake. «Non sappiamo se potremo incontrare i fan negli eventi instore e men che meno se potremo mai far ascoltare questi brani in concerto» sottolinea Emis.



17 è un disco di contenuti forti, che non concede nulla alle contaminazioni con il pop che hanno addolcito e annacquato i pezzi dei rapper più giovani: un viaggio lungo 17 canzoni che inizia sulle note di Malandrino, fotografia nitida della fervida passione adolescenziale per la vita borderline e i suoi protagonisti. Nella stessa scia anche Renè & Francis, ispirata al mondo criminale di Renato Vallanzasca e Francis Turatello, protagonisti indiscussi della mala milanese degli anni Settanta.

«Nella mia periferia, ai confini di Milano» racconta Emis «c’erano i lavoratori onesti e i balordi che facevano la bella vita con donne, auto e soldi. Per me erano loro le vere rockstar, l’esempio più vicino di quello che da ragazzino consideravo un uomo arrivato, che faceva quel che voleva, quando voleva, senza rendere conto a nessuno. Poi, sono cresciuto come persona e artista, e certe cazzate le ho abbandonate. Restano però i ricordi e le facce delle persone che hai incontrato, quelle facce e quei ricordi che poi rendono credibili le storie che raccontiamo nelle canzoni del disco».

«Ovviamente si trattava di una fascinazione per il crimine da spettatore» gli fa eco Jake. «Ascoltare da adolescente i racconti dei banditi che campavano con le rapine in banca era un po’ come vedere i Soprano. Bisogna poi considerare che nel mondo rap, da sempre, una delle narrazioni più attraenti e gettonate è proprio quella del perdente che viene dalla strada e si riscatta a modo suo».

Ricordi di un’altra epoca, quando diventare padri non era un tema all’ordine del giorno. «Spero che i miei due figli non replichino nulla della mia adolescenza. Certo, a giudicare dal temperamento, si avviano a essere dei discreti casinisti… Mi rendo conto che con il passare degli anni mi rivolgo a loro esattamente come mio padre faceva con me. Allora non lo sopportavo, lo odiavo, adesso lo capisco» dice Jake.

«Io ho una bambina» racconta Emis. «Mi auguro che stia lontana da quelli che diventeranno com’ero io da giovane (ride, ndr). E spero anche che tutta la fatica che ho fatto per darle quel che non ho mai avuto da ragazzino sia servita a qualcosa. Ogni tanto mi diverte pensare alla musica che ascolterà da adolescente, magari adorerà un caso umano oppure uno di quei “rapperini” contemporanei che a me fanno tanto ridere. Immagino la scena: «Papà senti questo come spacca».

Il rap come mestiere, ma anche come piano ideale per evadere: «Non ce l’avrei fatta a vivere una vita semplice e priva di stimoli forti, avevo bisogno di stravolgere tutto e il rap è stato la forma d’arte che mi ha permesso di farlo. Per me la libidine di aver racimolato qualche soldo con la musica sta ancora oggi nelle piccole cose, nel frigobar dell’albergo bello, nella possibilità di comprarmi le scarpe che desidero. Io me le ricordo bene le vacanze in pensione a Igea Marina con mia madre…» racconta Emis.

«Diciamo la verità: il rap mi ha salvato la vita. La mia generazione (è nato nel 1979, ndr) è cresciuta senza stimoli, senza cultura, senza interesse per lo studio e anche senza grandi opportunità di lavoro» sottolinea Jake. «La musica è stata ed è passione, ma anche una straordinaria chance di avere un’occupazione. E non di quelle stagionali… Per me il piacere di scrivere canzoni è diventato il miglior antidoto a un’esistenza da ricco annoiato. Grazie al rap ho battuto anche la timidezza. Ricordo ancora la mia prima esibizione in rima in una scuola milanese occupata: partì all’improvviso una jam session e io, per non fare la figura del completo inetto, dovetti alzarmi e iniziare a rappare. Fu un trauma, ma da quel momento non ho più avuto vergogna di nulla».
Parola di Jake.

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