È nata nell’ottobre del 1972 con il brano Superstition di Stevie Wonder. Quel giorno è cominciata «la febbre» per le piste da ballo. Una rivoluzione che non si è più fermata e continua a influenzare le popstar di oggi.
Una pallina impazzita nel grande flipper della musica: 50 anni fa la Disco music ha cambiato le regole del gioco, modificando per sempre il music business, mandando in tilt le certezze delle case discografiche e le regole della programmazione radiofonica. Come un’onda anomala, la Disco ha inventato dal nulla un nuovo mondo sonoro, un modo di partecipare alla musica lontano anni luce da quello che aveva stregato la generazione rock di Woodstock alla fine degli anni Sessanta. L’immaginario è quello del dance floor, del ballo come mezzo di espressione e liberazione, del deejay come creatore inimitabile di colonne sonore per notti danzanti, come scopritore di talenti e brani sconosciuti pronti a irrompere nelle classifiche e nell’immaginario collettivo.
Senza la Disco non ci sarebbe quella che oggi viene chiamata Dance, non sarebbero mai nati i deejay superstar e traiettorie sonore come quelle dei Chemical Brothers o di Bob Sinclair. E oggi che se n’è appena andata un’icona come Olivia Newton-John, protagonista indimenticabile di Grease, si comprende perché un’intera generazione sia rimasta così legata a quelle immagini e a quella colonna sonora.
Non sorprende poi trovare l’ispirazione disco in Future Nostalgia, il best seller di Dua Lipa, così come non sorprende il tributo ai Bee Gees messo in scena da Bruce Springsteen in un leggendario concerto a Brisbane, in Australia, aperto con una formidabile versione di Stayin’ Alive, il brano simbolo della colonna sonora di La febbre del sabato sera: il film che fece nascere il mito di John Travolta/Tony Manero, una pellicola low budget girata interamente a Brooklyn tra il ponte di Verrazzano, Sunset Park e la discoteca 2001 Odissey, e che adesso fa parte a pieno titolo del National Film Registry conservato nella biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. E sempre ai Bee Gees è dedicato l’omaggio più clamoroso degli ultimi anni, quello dei Foo Fighters, la rock band più importante e amata dal 2000 ad oggi, che l’anno scorso ha inciso, in occasione del Record store day, l’intera facciata di un album con cinque cover (tra cui Night fever e You should be dancing) dei fratelli Gibb. Per non parlare di Madonna che nel suo singolo di maggior successo degli anni Duemila, Hung Up, campiona Gimme! Gimme! Gimme! (A man after midnight) degli Abba, o degli svedesi Alcazar, diventati famosi in tutto il mondo grazie al sample di Spacer, un inno disco music composto dagli Chic di Nile Rodgers e interpretato nel 1979 dalla cantante francese Sheila.
Tutto questo per dire che, da quando è apparsa all’inizio degli anni Settanta (basta ascoltare Superstition di Stevie Wonder, pubblicata nell’ottobre 1972), la disco non se ne è mai andata nonostante gli svariati tentativi di classificarla come musica di serie B. In un evento sconcertante, passato alla storia come la «Disco Demolition Night», nell’intervallo di una partita di Major League Baseball al Comisey Park di Chicago il conduttore radiofonico Steve Dahl con alcuni complici fece letteralmente esplodere una cassa zeppa di album e 45 giri disco music all’urlo «Disco Sucks». Era il 1979 e quell’episodio fu l’ultima reazione al dilagare di un genere che aveva oscurato l’egemonia culturale del rock, che era partito dal basso e aveva conquistato il mondo.
Un genere praticato da italo-americani, latini, neri e ispanici (vedi alla voce Village People), diventato icona di un modo di fare musica fuori dagli schemi: cassa in battere, archi, fiati, linee prorompenti di basso, ritornelli memorabili, ma anche gli orgasmi simulati da Donna Summer nei 17 minuti di Love to love you baby prodotta a Monaco di Baviera dall’italianissimo Giorgio Moroder «il Godfather dell’Eurodisco». La disco music, dicevamo, cambia le regole del gioco del music business, e modifica addirittura i formati dell’ascolto: i 45 giri si espandono e diventano più grandi (da 7 a 10 o 12 pollici) per contenere le versioni extended dei brani che fanno ballare il mondo. Lo Studio 54 nel cuore di Manhattan è il cuore pulsante della «disco fever», il tempio della stravaganza, della libertà sessuale, il nirvana del popolo della notte che tra i suoi frequentatori annovera divi di Hollywood, rockstar di tutte le età e persino Salvador Dalì, Andy Warhol e Karl Lagerfeld. La notte prima del loro arresto per evasione fiscale i due fondatori del «tempio», Ian Schrager e Steve Rubell, diedero l’addio alla libertà con un party epocale. Diana Ross e Liza Minnelli intonarono una serenata per loro circondati da Richard Gere, Jack Nicholson, Farrah Fawcett e Sylvester Stallone.
Nessuno è uscito immune dalla «disco fever», nemmeno i Rolling Stones che si cimentarono nel genere con il brano Emotional Rescue, nemmeno i Kiss che cavalcarono l’onda con I was made for lovin’ you. Dagli Stati Uniti all’Europa la Disco music ha pervaso le carriere di tutti, quelle di ieri e dei campioni dance di oggi come i Daft Punk, e persino Bruno Mars. Al grande mare del suono che arrivava da New York hanno attinto a piene mani anche gli Abba (Dancing Queen), la band che ha venduto più dischi al mondo dopo i Beatles, tornata in auge da pochi mesi con un nuovo album e un tour in cui va in scena i in formato avatar digitali. In Italia, Madame di Renato Zero e Una donna per amico di Lucio Battisti si sono ispirate a quel mood.
Insomma, la Disco è stata ed è tra noi, come sostengono Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano autori del best seller La storia della Disco Music (Hoepli). Snobbata radicalmente dai critici, è la storia di una musica che si è imposta senza lo star system, partendo da un appartamento newyorkese tra Broadway e Bleecker Street, passato alla storia come The Loft, ovvero la casa del primo deejay di sempre, David Mancuso, che nei suoi party privati da 200 invitati a sera faceva ballare al ritmo di un sound mai ascoltato prima, e che dalle vetrate del suo attico si è propagato nel mondo cinquant’anni fa. Come un’onda anomala che niente e nessuno potrà mai fermare.
