Selfie, video e ritratti catturano le nostre emozioni e ci permettono di riviverle. Il ricordo e la sua condivisione ci fanno sentire vivi e protagonisti. Una metamorfosi sociale che ha trasformato il modo in cui comunichiamo. Viaggio negli occhi dei prossimi smartphone che hanno obiettivi così potenti da fare concorrenza alle fotocamere dei professionisti.
Durante il 2021 l’umanità scatterà circa 1.440 miliardi di foto, ancora poche rispetto al 2022, quando saranno almeno 1.560 miliardi. Contando quelle che non abbiamo cancellato dagli anni passati, ne conserveremo in tutto 8.300 miliardi, una spropositata enciclopedia globale dei ricordi: paesaggi e intimità, ricorrenze e altri appunti visivi.
La stima è della piattaforma di archiviazione di immagini Mylio, che rileva anche una tendenza evidente, una vittoria schiacciante: nel 91 per cento dei casi, l’origine di questi frammenti di vita sono gli occhi di vetro e i sensori di uno smartphone. La nostra finestra tascabile sul mondo, il collettore contemporaneo delle esperienze, l’aedo a batteria che immobilizza il presente nel futuro. Oggi più che mai: «Tentiamo di custodire le emozioni, specie in un’epoca storica complessa, in cui queste rischiano di scarseggiare. Proviamo a clonarle, riservandoci il diritto di riscoprirle dopo. Di riaccenderle con il dito, curiosando nel rullino del telefono» ragiona Grazia Attili, professore ordinario ed emerito di psicologia sociale alla Sapienza Università di Roma. Siamo una «photo society», una società cristallizzata in istanti. Non inautentica, per quanto filtrata e imbellettata da qualche effetto speciale. La descrizione di attimi fissati dallo schermo di un cellulare.
I costruttori di smartphone hanno intercettato il fenomeno, puntando forte su fotocamere sempre più performanti. Da elemento periferico, si sono trasformate nel fulcro della funzionalità e dell’estetica dei prodotti: «Li rendono riconoscibili, sono un tratto di carattere. Lo sforzo ingegneristico è notevole, perché va in parallelo con altre peculiarità come lo spessore dell’oggetto, che deve rimanere contenuto, e la durata della batteria, che deve arrivare a fine giornata» spiega Paolo Bagnoli, responsabile marketing della divisione telefonia di Samsung Electronics Italia. L’azienda coreana ha appena lanciato la linea Galaxy S21, in cui gli obiettivi, e l’intelligenza artificiale che li governa, sono i protagonisti assoluti. «L’esito» commenta Bagnoli «è una democratizzazione: anche i principianti, i meno esperti, riescono a raggiungere risultati incredibili, di qualità, senza sforzi. Basta inquadrare e scattare. Penso che la nostra non sia tanto una società connotata dal desiderio di apparire, ma dalla volontà di esprimersi. Allo stesso tempo, ci rivolgiamo ai professionisti che vogliono una camera sempre aggiornata per creare contenuti in linea con gli ultimi trend».
I telefonini di nuova generazione, infatti, non sono giusto un divertissement per neofiti. «Ho potuto fare quello che amo proprio su uno smartphone: creare, scattare, editare e produrre contenuti perfetti per i social, in un modo che mi ha permesso di innovare il mio lavoro a un livello che non credevo possibile» ha commentato il grande fotografo di moda Rankin, dopo aver provato il Galaxy S21 Ultra 5G, il top di gamma di Samsung, che esaspera il concetto con sensori di altissima qualità e uno zoom possente per avvicinare e tenere a fuoco i dettagli più distanti.
Tutti i grandi colossi tecnologici procedono nella medesima direzione: Apple, con l’iniziativa «Shot on iPhone 12», ha raccolto foto spettacolari da tutto il mondo realizzate proprio con l’ultimo modello della Mela.
Xiaomi ha appena lanciato Mi 11 5G, il cui sensore principale esagera nelle prestazioni, si spinge fino a 108 megapixel. Di più: a bordo ospita una serie di opzioni per modificare in un secondo le immagini: per esempio, basta toccare un soggetto presente in uno scatto, per cancellarlo in automatico dalla scena. Così, mai più passanti che rovinano il nostro ricordo davanti a un monumento: si ha un revisionismo facile, una censura comoda dei pezzi di realtà meno graditi.
OPPO, invece, propone funzioni evolute come «Portrait Super Night», per selfie convincenti e brillanti pure quando la luce è scarsa. Il buio non è più un limite, la promessa è di ulteriori passi in avanti lato software e hardware con il Find X3 Pro, il top di gamma in arrivo a breve.
Non sono minuzie, né variazioni sul tema o esercizi di stile, perché le immagini create da noi saranno ancora più centrali nel quotidiano. Non solo per una sovrabbondanza numerica, piuttosto per la loro profondità emozionale: «Le foto sono l’unica lingua parlata da tutti, sono gli stimolatori affettivi più innati e intuitivi. Aiutano le interazioni tra le persone, diventano i pilastri di arene digitali affollatissime come i social network» evidenzia Francesco Magagnini, Ceo di Kellify, società che sta lavorando per coniugare intelligenza artificiale e neuroscienza, per cogliere ciò che attrae l’occhio umano e orientarne percezione e desideri.
In un futuro prossimo, un algoritmo ci dirà quale scatto tra tanti simili otterrà, probabilmente, più like; riuscirà a mostrare, a una potenziale fiamma, le nostre istantanee in linea con i suoi gusti: «Per esempio, in un’applicazione di dating, se una ragazza ama la montagna e l’ha inserita nell’elenco delle sue passioni, scorrendo tra i profili vedrà per prima, nel nostro, un’immagine in cui stiamo sciando. Non è un modo per alterare la realtà, ma per favorire un’opportunità. Poi, se parte una conversazione, ognuno se la gioca come può. Come sempre».
Le foto scatenano colpi di fulmine, invidie, antipatie, tentativi d’imitazione. Sono messaggeri d’identità, veicoli di estro, trampolini di popolarità. «Sono anche una speranza di controllo» osserva Grazia Attili: «Un tentativo di sfuggire al mutamento, di illuderci che le cose non cambiano, restano per l’eternità nella forma in cui le vediamo in un momento». Le foto sono un premio di consolazione, un antidoto al tempo che corre. Una culla di colori per l’anima.

