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C’era una volta un Re

C’era una volta un Re

In campo era invincibile, fuori era una tragedia. A un anno dalla morte, sta per uscire una graphic novel che racconta Maradona a fumetti. Non è il solito libro sul «Pibe de oro». In queste pagine la sua storia e il campione prendono vita, come in un docufilm.

Nella via di Napoli c’è un uomo in canottiera, appoggiato a un motorino rosso, che ripete incredulo: «Ci abbiamo messo 60 anni». Lo osserva un cane dipinto di azzurro, materializzatosi da un divino nulla. È il 10 maggio 1987, il giorno del primo scudetto e della nascita del Re Scugnizzo. Si chiama Diego Armando, è uno di loro, anzi «uno che rischiava di essere preso a calci dalla vita. Ma i suoi calci erano così belli e precisi che anche la vita si sedette a guardarlo».

Comincia così la storia di Maradona a fumetti, una graphic novel da Oscar perché niente è forzato, niente è enfatizzato. Non era necessario. Non c’è impresa, non c’è follia, non c’è abisso più assoluto di quelli che hanno accompagnato il calciatore più famoso del mondo. Sceneggiato da Paolo Baron e illustrato da Ernesto Carbonetti, Il Re Scugnizzo (Solferino editore) ripercorre la vita di una leggenda dello sport con delicatezza e grinta, ispirato a un impressionismo emotivo che esplode nelle grandi tavole alla Enki Bilal e nei dialoghi taglienti stile Jean-Michel Charlier.

Maradona riempiva gli stadi da solo e se n’è andato un anno fa, il 25 novembre, portando via il pallone. Aveva 60 anni, un’età in cui ex terzini dal piede a piastrella pontificano in televisione con la cravatta settepieghe. Non sembrava umano ma lo era più di tutti, così spontaneo, imperfetto e lunare da far dire a Gabriel García Márquez: «È il mio Aureliano Buendía, le sue emozioni sono sempre più forti di lui». C’è molto Sudamerica nella graphic novel, e c’è molta verità raccontata senza paura. Diego è stato il più amato di tutti proprio per questa contraddizione: in campo era invincibile, fuori un disastro. Un personaggio letterario, scappato da un racconto di Osvaldo Soriano.

Il suo quadro clinico era definito «complesso». Come lui, per tutta la vita. Un complesso rock, i Rolling Stones riassunti in un corpo solo. C’era il Maradona immarcabile, il Maradona cocainomane, il Maradona peronista e guevarista (è morto lo stesso giorno di Fidel Castro, ma anche di George Best), il Maradona contraddittorio (moralista ed evasore fiscale, amico dei bambini e dei camorristi). Il Maradona assoluto, larger than life. Eppure il 30 ottobre 1960 nasce gracile e povero. Del predestinato ha tutto: il fango argentino di Lanus, le scarpe da calcio di secondo piede, la faccia sporca del monello di strada. Suo padre Diego fa il turno di notte in un mulino, mamma Tota si occupa dei sette figli. Quando muore un giornale scrive delirando: «Se n’è andata la madre di Dio». È solo il prologo perché nel giorno della scomparsa del Pibe de oro l’Équipe titola con ansia da prestazione (e scomodando pure Nietzsche): «Dio è morto».

Il Re Scugnizzo trova il regno ideale a Napoli. Dopo due anni mesti al Barcellona, Corrado Ferlaino fa il colpo del secolo: lo compra per 13,5 miliardi senza averli. Pagherà più avanti. Un uomo e una città: simbiosi assoluta. Un amore infinito, indissolubile. Due scudetti, una coppa Uefa, una Supercoppa italiana e nel frattempo il mondiale del Messico con l’Argentina.

Napoli è il posto delle magie e delle follie, delle vasche d’oro e della Ferrari gialla, delle sveglie a mezzogiorno e dell’aereo privato per portarlo a giocare. I compagni sanno che la pazienza vale la scocciatura, con Diego si vince e arrivano i premi partita. L’allenatore Ottavio Bianchi, bresciano scolpito nella roccia, per i giornalisti conia la frase: «Chi gioca? Maradona più altri dieci».

Nel fumetto c’è tutto questo e molto altro. Come il secondo tempo della guerra delle Falkland al mondiale di Messico ’86 quando lui segna due gol all’Inghilterra: quello più bello della storia e quello più brutto con «la mano de Dios». Ma senza quest’ultimo, l’altro sarebbe solo un gesto sportivo. Chiamando in correo la mano divina, il Re Scugnizzo evoca il dito della Cappella Sistina. Come se anche l’Altissimo, a tempo perso, giocasse a Subbuteo. n

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C’era una volta un Re
(Courtesy Solferino editore)
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(Courtesy Solferino editore)

Le tavole di Re Scugnizzo disegnate da Ernesto Carbonetti e sceneggiate da Paolo Baron

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(Courtesy Solferino editore)
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