Tutti gli ultimi studi, basati anche su video caricati su youtube, indicano che i pachidermi manifestano dolore per i compagni deceduti e adottano comportamenti «di lutto». Sanno anche di dover morire?
Uno dei più noti esperti di elefanti, lo zoologo inglese Iain Douglas-Hamilton, racconta che una volta, attraversando la savana africana, s’imbatté in un gruppo di questi animali il cui comportamento lo sbalordì. Se fino a quel momento aveva visto mandrie i cui individui tenevano alte testa, orecchie e coda esprimendo un senso di benessere e contentezza, ora si trovava inaspettatamente davanti esemplari che camminavano qua e là senza uno scopo preciso tenendo le orecchie basse e la coda penzolante.
«Il loro dolore per la morte dell’elefantessa matriarca, avvenuta nei giorni precedenti, come apprendemmo di lì a poco, era tangibile. Era un’emozione che si sentiva nell’aria, si poteva percepire» rivelò un etologo che era con Douglas-Hamilton in quel viaggio, citato nel libro How animals grieve (Come gli animali soffrono per un lutto) della divulgatrice scientifica Barbara King.
Tra gli elefanti le reazioni alla morte hanno talvolta dell’incredibile: cambiamenti nella postura, lunghe veglie vicino a una carcassa, emissione di suoni simili a vocalizzazioni, trascinamento di piccoli appena morti da parte delle madri, tentativi di rimettere in piedi un membro del gruppo appena deceduto o di seppellirlo, gettandogli sopra della terra. Alcuni comportamenti ricordano perfino un rito funebre umano: deporre rami strappati dagli alberi sopra le spoglie di un esemplare, e tornare molte volte su quel luogo. Tutte osservazioni che hanno portato a ritenere che questi animali, estremamente intelligenti, provino emozioni simili alle nostre. La frase di Charles Darwin «si dice che a volte l’elefante indiano pianga» è la perfetta sintesi di questa visione.
Tuttavia, gli scienziati sono stati spesso riluttanti a prendere sul serio episodi che ritenevano troppo aneddotici e a rischio di «antropocentrismo», ossia la tendenza a proiettare caratteristiche umane su altre specie. Davvero questi mammiferi sperimentano il lutto? Tre biologi indiani hanno tentato di dare una risposta più rigorosa e meno soggettiva di quelle fornite in passato. La loro ricerca «non convenzionale», pubblicata sulla rivista accademica Royal Society Open Science è consistita nell’analizzare tra maggio 2020 e giugno 2021 filmati caricati su YouTube di elefanti di fronte alla morte di un membro del gruppo. Facendo scorrere a velocità ridotta i video, girati non solo da esperti ma anche da turisti e appassionati, i ricercatori hanno esaminato e catalogato le diverse reazioni. Poi hanno fatto una statistica: risultava alta la frequenza di eventi quali esplorare l’animale deceduto e tentare di rimetterlo in piedi, l’atteggiamento vigile di guardia accanto alla carcassa (in linguaggio umano potremmo definirlo di veglia), sfiorare con la proboscide i resti, anche quando erano ossa, emettere suoni di lamento o forse di annuncio, il trasporto di un cucciolo morto da parte della madre. «Per quanto l’uso dei video su YouTube sia insolito nella ricerca, ci ha permesso di ottenere informazioni su quali comportamenti sono diffusi tra gli elefanti» conferma via email Nachiketha Sharma, prima autrice dello studio.
«Ce ne sono alcuni che non erano così ben conosciuti e documentati, quali il trasporto di piccoli deceduti attraverso la foresta per settimane. La maniera di sfiorarli, di prendersi cura dei corpi, e il fatto stesso di portarli via, nonostante il dispendio di energia, testimonia una consapevolezza della morte». Questo nuovo genere di ricerche basato su filmati raccolti dagli utenti e caricati su archivi digitali prende il nome di iEcology e ha già al suo attivo interessanti ricerche sul comportamento animale, dalle reazioni degli uccelli all’uso sempre più diffuso di droni alle differenze tra gli scoiattoli di città e quelli selvatici.
«Analizzando i video ci siamo sempre più convinti dell’importanza della comunicazione tattile nella vita sociale degli elefanti. Sapevamo che aveva un ruolo in certi contesti, come dopo il parto, quando l’elefantessa cerca di rinvigorire il cucciolo; ma ora abbiamo capito che esistono vari modi di usare la proboscide per sfiorare la bocca o la testa di altri membri del gruppo a scopo consolatorio. Significa che esiste una chiara percezione di un’emozione in un altro individuo e un’emozione in risposta». Dai filmati emerge anche che gli elefanti tornano ripetutamente presso i resti dei morti della stessa famiglia, accarezzandone le ossa e muovendole avanti e indietro come per cullarle. Il lutto non è un’esperienza esclusiva in questi animali, ma tra loro è presente in maniera spiccata. Più una specie è sociale e intelligente più manifesta comportamenti che possono essere descritti come una reazione al dolore per la morte.
Sono documentati casi di primati che hanno trascinato scimmiotti fino a che non si sono decomposti; di orche e i delfini che hanno nuotato per giorni spingendo e tenendo a galla i loro piccoli morti; di decine di giraffe che hanno vegliato sulle ossa di un membro della mandria. Altre osservazioni analoghe riguardano foche, cavalli, cani, gatti, perfino anatre. Il semplice fatto che in queste specie certi individui smettano di mangiare e dormire e veglino sul corpo del compagno morto conferma l’emozione negativa di un lutto. Ma restano questioni su cui gli scienziati dibattono ancora. Prima di tutto, è in dubbio quanta consapevolezza gli elefanti abbiano davvero di cosa vuol dire morire. Gli psicologi dello sviluppo sanno che un bambino ci mette tempo a capirne il concetto, definito da quattro componenti: irreversibilità (non si torna in vita); non funzionalità (il morto non può reagire); causalità (la morte ha una causa biologica); universalità (tutti muoiono). Non solo resta da chiarire se un elefante possieda una o più di queste componenti, ma non si sa nemmeno con certezza quando e in che ordine le acquisisca un bambino.
Un altro aspetto poco chiaro è come si spieghi il lutto negli animali in rapporto con la teoria dell’evoluzione, visto che porta a un dispendio di energie e perfino a non nutrirsi. Un’ipotesi è che, per fronteggiare uno degli eventi più terribili in una specie altamente sociale, sia necessario rafforzare i legami con gli altri individui. Da qui gli atteggiamenti volti a privilegiare la coesione piuttosto che la ricerca di cibo. Se in una mandria di elefanti questo sforzo si manifesta con un ritorno ripetuto al luogo dove ci sono i resti di un membro del gruppo, nella specie umana ha dato origine a una gamma multiforme di riti funebri complessi che risalgono alle più antiche civiltà.
