Fu battezzata «Monte Verità», l’altura Monescia sopra Ascona, in Svizzera, dove nel 1900 si stabilì un gruppo di giovani intellettuali e idealisti, rendendo questo luogo la culla di molte ideologie che sono venute in seguito. Un libro ne ricostruisce oggi il fascino e i richiami. Così come le luci e le ombre.
La luce della sera si diffonde attraverso la porta aperta nella stanza rivestita di legno. Nell’angolo c’è un vecchio pianoforte a coda. Mary Wigman danza. Il corto abito verde le si trasforma addosso. Pare avvolta dalle rigide vesti nere di una suora. Supplica il Redentore, vuole trarlo con la preghiera tra le sue braccia, che la nostalgia spalanca e che poi ricadono supplichevoli lungo il corpo solitario. Il muto lamento delle mani è impotente a far scendere l’amato celeste. L’inane preghiera si spegne, gli archi del convento opprimono la pallida fronte. Il pianoforte tace. La piccola signorina che ha suonato si toglie gli occhiali di corno. Noi siamo appoggiati alla parete, in silenzio». Così, in un libretto intitolato Dada, Ascona e altri ricordi, lo scrittore svizzero Friedrich Glauser (1896-1938) immortalava il suo incontro con la ballerina Mary Wigman (1886-1973), avvenuto su una collina nei pressi di Ascona, radioso borgo acciambellato sul Lago Maggiore: una strana oasi mediterranea tra i monti della Svizzera.
Non si trattava di un semplice incontro fra due artisti: lo scrittore appariva piuttosto un comune mortale al cospetto di una potenza tellurica. E forse erano proprio le forze primordiali della natura che la danzatrice andava cercando quando, nel 1913, arrivò sulla collina Monescia, già allora nota fra gli artisti e gli «alternativi» di mezza Europa con il suo nome d’elezione: Monte Verità. Nel 1900 si era stabilito lì un piccolo gruppo di giovani nordici: il danaroso Henry Oedenkoven da Anversa; i due fratelli Karl e Gusto Graser, dalla Transilvania. E poi Ida Hofmann, inizialmente accompagnata dalla sorella Jenny, pure lei benestante e appassionata pianista. Infine Lotte Hattemer, la più stravagante e sfortunata del gruppo. Si erano conosciuti a Monaco di Baviera, città di bohème pulsante di sogni da realizzare. Mentre nel Vecchio Continente l’industrializzazione guadagnava terrano sbuffando e razionalizzando, questi giovani un po’ idealisti e un po’ annoiati s’erano messi in testa di ritagliarsi uno stile di vita diverso. Come tanti della loro generazione credevano nella Lebensreform (la «riforma dello stile di vita»).
Si erano spinti dalla Germania in Svizzera, e più per destino che per caso piombarono ad Ascona. Finì che – con i soldi della famiglia Oedenkoven (industriali belgi) – acquistarono la collina Monescia, e la ribattezzarono «Monte Verità» rendendola un luogo di culto per i decenni a venire. La loro epopea è stata celebrata da una splendida mostra a Firenze di cui dà conto un bel libro – ricco di storie e immagini – intitolato Monte Verità. Back to nature (Lindau), curato da Nicoletta Mongini, Chiara Gatti e Sergio Risaliti. Tradurre in pratica le fantasticherie non fu semplice, ma nel giro di un decennio Monte Verità era già divenuta la collina delle utopie, il luogo in cui hanno preso forma i baccelli di quasi tutte le ideologie politiche oggi più diffuse. Da lì sono transitati alcuni dei più grandi artisti, politici, psicologi, scrittori e intellettuali del Novecento. Senza quel posto magico (nel senso vero del termine) non ci sarebbero state l’ondata hippie e la rivoluzione sessuale; non si sarebbe preparata l’età dell’Acquario; oggi non discuteremmo di ecologismo e veganesimo; e la gran parte delle idee progressiste non esisterebbe.
Qualcuno ha sostenuto che antiche potenze magnetiche covassero sotto quei rilievi. Altri si sono divertiti a ricordare che grazie ai proto-fricchettoni di Monte Verità nacque il termine «balabiott», balla-nudi, che i contadini s’inventarono osservando quei giovani dai capelli lunghi spogliarsi e «prendere bagni di sole» o dedicarsi agli esercizi euritmici cari a Rudolf Steiner, uno dei numi tutelari della zona con Carl Gustav Jung, in onore del quale vicino al Monte s’organizzano i convegni di Eranos. E Jung avrebbe concordato sul fatto che, come di ogni cosa, anche Ascona ha un lato in luce e uno in ombra. Gli aspetti luminosi molti li conoscono, e sono ben illustrati da numerosi libri (spiccano quelli di Stefan Bollmann e Kaj Nochs), dalla mostra capitale organizzata tanto tempo fa da Harald Szeemann e da un film del 2021.
Per addentrarci nell’ombra, dobbiamo ripartire da lì, dalle movenze inaudite di Mary Wigman. Pochi anni dopo il suo arrivo al Monte Verità, avrebbe cambiato per sempre l’universo della danza, incidendo nelle menti e negli occhi degli spettatori la sua splendida e terribile Hexentanz, la danza della strega: uno scatenamento di potenze ctonie, un rito in onore della dea Cibele, Madre Terra nera e inquietante. La Wigman la creò intorno al 1914, provandone le prime movenze ad Ascona. Era giunta lì per seguire i corsi del più fascinoso coreografo dell’epoca, Rudolf von Laban, che a Monte Verità non era uno di passaggio: aveva addirittura deciso di stabilirvi la sua scuola estiva multidisciplinare. Anche lui, famoso e adulato, aveva dimestichezza con i culti ancestrali e oscuri. Se la Wigman si faceva strega richiamando le forze delle profondità terrestri, Von Laban scatenò l’ebbrezza dionisiaca mettendo in scena (con la stessa Mary) una Festa del Sole sfrenata e pagana.
Luce e ombra, di nuovo. Prima la luce: quello spettacolo contribuì, con altri esperimenti sul Monte, a far nascere la danza contemporanea. Vi assistettero dadaisti e avanguardisti, e la vitalità che promanava dalla Svizzera generò onde di creatività giunte fino a oggi. Ma ecco l’ombra. Von Laban era segretario dell’organizzazione massonica Ordo Templi Orientis (OTO) che si proponeva di raccogliere l’eredità dei templari, soprattutto sulla magia sessuale, che furono accusati di praticare.
L’OTO fu fondato a inizi Novecento da ambigui personaggi germanici: il danaroso industriale Karl Kellner e gli occultisti Theodor Reuss e Franz Hartmann. Il primo, anni dopo, avrebbe ammesso nell’Ordine nientemeno che Aleister Crowley, il più noto esoterista del Novecento, mettendolo a capo della sezione britannica dell’organizzazione. Quanto ad Hartmann, non è sbagliato attribuirgli un ruolo nella nascita di Monte Verità. Affascinato dai mitici Rosacroce, Hartmann fu uno dei collaboratori di Madame Blavatsky, fondatrice della società teosofica. La Teosofia – di cui sarebbe troppo lungo ripercorrere qui la storia – nella seconda metà dell’Ottocento compì una fusione tra l’esoterismo occidentale e il pensiero indiano, di cui importò in Europa una versione banalizzata, scorretta ma di grande effetto. Fu tramite i teosofi che la «moda orientale» si diffuse dalle nostre parti, e non è difficile notare come ancora oggi perduri.
Franz Hartmann – evidentemente molto bravo a influenzare e affascinare personalità dotate di prestigio e soprattutto di soldi – si legò per un periodo all’importante politico ticinese Alfredo Pioda (1848-1909), a suo volta affiliato alla società teosofica viennese. Assieme progettarono la creazione di un tempio teosofico proprio sulla collina Monescia, che Pioda aveva provveduto ad acquistare. Non riuscirono a concludere l’opera, ma Pioda nel 1900 cedette il terreno ad alcuni volonterosi acquirenti: i creatori del Monte Verità, anche loro intrisi di teosofia fino alle radici dei capelli. Potremmo continuare a lungo a raccontare storie suggestive e a ricostruire legami sotterranei. Ed è vero che la vicenda di Ascona è troppo ampia e complessa per essere sintetizzata in poche righe. È altrettanto vero, però, che tutti i sussulti che l’hanno attraversata – dalle teorie ultralibertarie dello psicanalista Otto Gross ai vagabondaggi spirituali di Hermann Hesse – presentano caratteristiche comuni, almeno nella prima fase (tra il 1900 e il 1920).
Lì esplodono le idee sulla «liberazione sessuale» (e in parte vi si praticano). Lì si dà il via alla «riscoperta del corpo» e contemporaneamente ci si getta a capofitto nell’adorazione della Natura. Progressismo e ritorno alla terra convivono e si alimentano a vicenda. Anarchismo (Ascona è terra bakuniana, tra le altre cose) e antiche tradizioni s’abbracciano. Passato e futuro si fondono, esattamente come accade oggi. La razionalità estrema di chi negava ogni trascendenza e l’afflato mistico di chi cercava una gnosi ancestrale si tenevano per mano, in una danza inebriante. Già allora, quel monte mostrava la verità sulle ideologie contemporanee, il cui volto luminoso non brilla abbastanza per celarne l’oscurità.
