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Fenomenologia della scarpa sinistra

Fenomenologia della scarpa sinistra

Ora persino Barbie porta le calzature più comode. Ma il complicato rapporto della parte progressista con suole fatte a mano e zatteroni, sneakers e décolleté, è comprovato dalle cronache di decenni. Simboliche ed esilaranti…


Non chiamatele «ciabatte», men che mai «sandali». Trattasi di Birkenstock, le calzature dal plantare anatomico, al di là di qualsiasi classificazione di stile, alternative in modo provocatorio a qualsiasi canone di eleganza e, diciamolo, innegabilmente sgraziate, ma diventate al tempo stesso sia oggetto di culto sia di largo consumo.

Quando, nel 1974, l’imprenditore altoatesino Ewald Pitschl le introdusse in Italia, la risposta del mercato fu violenta. Unanime la reazione dei distributori: «Non si venderanno mai. Passi la Germania… Solo un pazzo può proporre scarpe così brutte in Italia». Eppure ora il brand tedesco pensa addirittura a quotarsi in Borsa, dopo aver messo a segno una escalation di vendite, grazie a un marketing vincente capace di trasformare i punti deboli di queste calzature in un motore macina-soldi.

Fino agli anni Novanta viste soprattutto ai piedi dei turisti «calzino bianco-muniti» del Nord Europa, si sono poi affermate come emblema di insofferenza ai dettami delle maison di moda, espressione di un lifestyle rilassato e sostenibile. I materiali per produrle sono «naturali» e per tenerle insieme si utilizzano colle ecologiche. Insomma, fanno bene all’ambiente, la coscienza è a posto e chi se ne importa se non sono il massimo dell’estetica… Anche quest’ultimo pregiudizio, però, è archiviato. Con un colpo magistrale, Birkenstock ha messo le scarpe ai piedi dell’attrice Margot Robbie, in una scena del film Barbie. Già, la bambola-icona ha sdoganato il sandalo ortopedico, che oltre a essere ecologicamente corretto è ora anche un must del neo-stile. E il mercato ha risposto. Secondo Lyst, la piattaforma di shopping online che serve anche a monitorare le preferenze dei consumatori, le ricerche per le Birkenstock, modello Arizona, sono salite del 110 per cento. L’anno scorso le vendite sono cresciute del 29 per cento, con affari per 1,2 miliardi di euro (circa 1,3 miliardi di dollari), con 394 milioni di utile. Ora, scrive Bloomberg, il fondo L. Catterton che controlla il marchio tedesco sarebbe pronto a lanciare già entro fine estate un’offerta pubblica da 8 miliardi di dollari… Va bene il look, ma il business resta business.

In Italia, intanto, da circa un ventennio sono pure un elemento politico identitario. Sì, perché la politica si fa per simboli più che pensose piattaforme e programmi, e le Birkenstock, così «anti-sistema moda», hanno subito ben calzato a una sinistra in cerca, anche nei dettagli d’abbigliamento, di marcare distanza e differenza dal centrodestra. È il luglio 2006, l’Italia vince i Mondiali di calcio in Germania, ed ecco che Giovanna Melandri, ministro dello Sport e delle Politiche giovanili, sfoggia un paio di classiche Birkenstock. Sono gli anni di Silvio Berlusconi e delle parlamentari azzurre che a Montecitorio sfilano in rigoroso «tacco 12». Il sandalo con le dita belle in mostra e l’infradito erano state adottate a sinistra già anni prima, nonostante l’accorato appello con conseguenze codazzo di polemiche del presidente della CameraPierferdinando Casini, che richiamava a un abbigliamento meno balneare. Lo stesso richiamo al decoro ripetuto poche settimana fa, sempre a Montecitorio, per iniziativa di Fratelli d’Italia, con una mozione che ha scatenato le reazioni dei più «descamisados» dei Cinque stelle.

D’altronde, facendo appello alla memoria, le scarpe risultano da sempre «una sinistra ossessione». Indimenticabile il duello a colpi di Clarks e di Tod’s tra sinistra e centrodestra con Gad Lerner che, riposte per un attimo le amate scarpe da deserto inglesi, ostenta alla trasmissione L’Infedele su La7 un paio di mocassini Tod’s, mentre il direttore del Tg5, Carlo Rossella, dismesse le note scarpe con i gommini, adotta le Clarks, adducendo un’ironica giustificazione: «Avevo una fastidiosa infezione a un mignolo». Spiegazione: è il 2006 e tra Berlusconi premier e l’imprenditore Diego Della Valle è scontro ad alzo zero. Lerner rincara la dose e scrive, provocatorio, al media online Dagospia perché si sappia in giro: «Forse che le Tod’s non sono altrettanto comode?». Nel frattempo, sul sito di Forza Italia impazzano i messaggi a boicottare le scarpe dell’imprenditore marchigiano…

In questo periodo il mocassino «gomminato» spopola tra i cenacoli di Capalbio e sotto il tendone di Cortina Incontra, tradizionale appuntamento estivo con la politica, ambito dalla platea di sinistra. Tale complesso rapporto estetico-politico con le calzature non è stato comunque esente da scivoloni. L’episodio di Massimo D’Alema, che spende un milione e mezzo di vecchie lire per un una tomaia fatta a mano da un calzolaio calabrese segnalatogli dal compagno di Marco Minniti, è entrato nella storia del partito e gli è costato non pochi consensi nelle fabbriche (quasi quanto la recente evocazione dell’armocromista incautamente fatta da Elly Schlein…). Restiamo però al «líder Maximo»: è il 2011, in uno degli scontri con Berlusconi, D’Alema risponde piccato all’ironia del Cavaliere che lo ha definito un «comunista in cachemire», puntualizzando che il maglione indossato è di poco prezzo e le scarpe «di Decathlon» comprate a 29 euro. Ma ormai la definizione radical chic è tatuata su di lui come sulla «pelle» del Pd.

Anche i pochi tentativi di liberarsi da questo stigma sono stati a dir poco controproducenti. Come quando la presidente della Camera, Laura Boldrini, si presenta all’udienza di Papa Bergoglio con un paio di zatteroni, nel 2017. «Ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo» aveva sentenziato Nanni Morettiin chiusura del film Bianca, con un monologo sugli zoccoli olandesi. D’altronde, il regista è sempre stato un esegeta di modi e mode della sua parte politica. Ad archiviare il pauperismo fasullo dei compagni dirigenti ci pensa Matteo Renzi. L’ingresso a Montecitorio della sua ministra di punta, Maria Elena Boschi, che incede in Transatlantico strizzata in un «tubino» e issata su tacchi 12 color rosso, è stato un messaggio più che esplicito: meno fritture alle Feste dell’Unità e più tartine ai gamberi in compagnia di amministratori delegati di Confindustria.

«L’attenzione ai dettagli non mi stupisce. Come la voglia di mostrarsi che domina ovunque, politica compresa. E le scarpe contribuiscono a dare identità a un personaggio» riflette Umberto Pizzi, celebre fotografo dei vip che tanti scatti ha dedicato a immortalare le estremità di uomini e donne di potere. Gli fa eco Roberto D’Agostino, fondatore di Dagospia, già «lookologo»: «Non c’è più una netta divisione identitaria tra destra e sinistra. Senza più ideologie, ideali e neanche idee, ognuno rappresenta una sorta di “avatar” di sé stesso. Non si può affermare in modo definitivo che un abito sia di sinistra o di destra, come quando rispettivamente si optava per eskimo o parka. È tutto fluido. Anche le Birkenstock sono cambiate: ieri austeri calzari da monaco, oggi persino ai piedi di Barbie. Come dire: “È la postmodernità, bellezza…”». Sarà per questo che, in mancanza di più certezze ideologiche, ci si accapiglia se alla Camera le sneakers debbano avere o no libero accesso.

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