Intesa Sanpaolo ha varato un piano per supportare le attività produttive della città più colpita dalla pandemia. «Vogliamo restituire fiducia nel futuro e prenderci cura del territorio» dice a Panorama Raffaello Ruggieri, a capo del credito della banca.
Il 17 febbraio di quest’anno Intesa Sanpaolo ha riaperto il risiko bancario e lanciato un’offerta pubblica di scambio su Ubi Banca che porterà alla fusione dei due istituti a integrazione avvenuta. Bce, Bankitalia, Consob e Ivass hanno già dato il loro via libera all’operazione, mentre la proposta è stata respinta dal cda dell’istituto bresciano-bergamasco.
Lo scorso 6 luglio l’offerta è arrivata sul mercato. Passando la parola agli azionisti di Ubi, che hanno tempo fino al 28 luglio per decidere se aderire. In quei centoquaranta giorni è scoppiata una pandemia, l’Italia è stata messa in quarantena e Bergamo è diventata il simbolo della sofferenza di questo Paese. Ma anche quello della rinascita di un territorio che con il motto «mola mia» (non mollare) ha ripreso a vivere e a lavorare. È a questo territorio che la stessa Intesa ha teso la mano lanciando il progetto Rinascimento: con il Comune guidato da Giorgio Gori la banca ha infatti varato un programma per aiutare le micro imprese, i piccoli esercizi commerciali e artigianali, il mondo delle start-up. «Stiamo supportando la rinascita di una comunità, per restituire fiducia nel futuro e prenderci cura del territorio», spiega a Panorama Raffaello Ruggieri, chief lending officer di Intesa Sanpaolo ovvero il responsabile del credito dell’intero gruppo guidato da Carlo Messina.
Come risponde ai sospetti di chi ha visto in questo progetto un modo per convincere la base degli azionisti di Ubi, fatta di tanti imprenditori, ad accettare la vostra offerta?
Rispondo con i numeri. Intesa a giugno esprime un livello di impieghi verso la clientela di 423 miliardi. Parliamo di un quarto del Pil italiano 2019. Il contributo che dà Intesa al mondo dei territori e delle imprese si quantifica in circa 60 miliardi di misure già varate a sostegno della liquidità e altri 13 miliardi in lavorazione. Ci sono le moratorie, i finanziamenti al fondo delle Pmi, le iniziative con la garanzia della Sace, e tutta una serie di strumenti messi in campo ben prima che il governo varasse questi decreti. Siamo storicamente la prima banca dei territori italiana. Che in un anno normale viaggiava al ritmo di quasi
un milione di operazioni creditizie deliberate e nei primi sei mesi di quest’anno è già arrivata a quota 800 mila. L’idea originaria dei prestiti di impatto nasce già a gennaio, all’inizio del mio mandato per rispondere agli stimoli del nostro ceo, Carlo Messina, su come rafforzare il senso di fare banca, prendendosi cura di tutti gli stakeholders e mettendo a disposizione strumenti innovativi che restituiscano fiducia anche a chi è in difficoltà. Un senso di fare banca capace di attivare quella concretezza del possibile che richiamava Adriano Olivetti quando ricordava che «In noi non c’è che futuro»; una visione che mi ha ispirato sin da studente e che è cresciuta con me. Quando si è trattato di declinare con la squadra del sindaco Gori la ripartenza della città, che più di tutte ha sofferto, i prestiti di impatto si sono rivelati lo strumento più innovativo nel pieno spirito di Intesa che è una banca d’impatto, ma nell’emergenza è diventato ancor più innovativo grazie alla capacità di fare squadra con la partnership tra pubblico e privato, i rappresentanti del mondo professionale della città, di università come la Bocconi, la Cesvi. Abbiamo dunque trasformato il prestito di impatto in struttura di capitale permanente al servizio dei territori, la crisi ha accelerato lo sviluppo di questa idea originale. Basata sulla restituzione della fiducia e sul mettere al servizio dei territori un nuovo modo di fare credito.
Il modello, quindi, si può replicare per altri territori?
Possiamo fare un progetto Paese che, da Sud a Nord, faccia da scintilla alla ripresa sfruttando l’esperienza di Intesa lungo alcune direttrici strategiche: le infrastrutture e la mobilità, le filiere di sviluppo internazionali, l’industria 4.0 e l’IoT, l’immobiliare attraverso il social housing, la scuola e la formazione, l’agricoltura e l’artigianato, settori fondamentali in cui stiamo sostenendo processi di trasformazione, l’innovazione, la ricerca e sviluppo, e le start-up dove paghiamo uno spread Paese altissimo. Poi c’è la logistica integrata: dopo il lockdown Bergamo assume una rilevanza ancora più strategica, è al centro della filiera logistica italiana ed europea, soprattutto nell’ottica di un collegamento con l’area metropolitana di Milano. Senza dimenticare il turismo, l’arte, la cultura, lo sport, la ricerca e l’assistenza alla persona.
Nonostante la pandemia, i ricorsi all’Antitrust e alla magistratura, l’opposizione del management e di alcuni azionisti, l’offerta su Ubi è partita. Fiducioso che vada in porto?
Come ha recentemente ribadito Messina, Intesa va avanti. Ora la parola spetta ai soci, a loro è rivolta ogni nostra attenzione. Se l’Ops andrà in porto, hanno la garanzia che il sostegno al territorio aumenterà.
Ritiene che l’offerta sia vantaggiosa anche per i piccoli risparmiatori?
Chi ha in mano azioni Ubi ha già un premio di circa il 30 per cento rispetto a chi aveva la stessa azione in mano a febbraio. E quel rendimento è ragionevole che resti. Poi c’è il tema della liquidità: avere 17 azioni di Intesa rispetto a 10 azioni di Ubi significa avere in portafoglio uno dei titoli più liquidi e ad alta redditività d’Europa. Aggiungo che Intesa ha distribuito, dal 2014 ad oggi, oltre 14 miliardi di dividendi, senza considerare quello attualmente sospeso.
Intesa non corre il rischio di essere vista come una banca troppo grande, distante da dinamiche più locali?
Abbiamo 10 miliardi di credito aggiuntivo nel periodo 2021-2023, tutti a sostegno dell’economia reale. Con forti deleghe sul territorio: non è prevista alcuna variazione a quelli che sono i cumuli derivanti dal fatto di avere un cliente su entrambe le banche. L’imprenditore bresciano e bergamasco sa che Intesa gli offre di crescere a livello internazionale, un’opportunità per i suoi figli e nipoti, visto che un quarto dei nostri impieghi è con gruppi esteri. Ma abbiamo anche quattro nuove direzioni regionali con forti deleghe creditizie, a Bergamo, Brescia, Cuneo, e Bari in modo da assicurare velocità di trasmissione alle risorse necessarie per i territori. Vede, Bergamo ha nella sua squadra, l’Atalanta, società guidata da imprenditori coraggiosi e legati al territorio come Antonio Percassi, un simbolo di rinascita. Un esempio di metodo, disciplina, ma anche di audacia; qualità necessarie per alzare la testa in un momento così difficile che può e deve trasformarsi in un’occasione straordinaria di rinascita. Non possiamo infatti pretendere che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo, a partire proprio dal credito. Come dimostra il progetto Rinascimento, che avrà sempre più un’importanza strategica negli anni a venire per l’economia reale e il progresso del Paese.
