La galleria d’arte più grande al mondo ha un catalogo speciale: quello composto dai capolavori rubati, è inedito e aggiornato in tempo reale dai carabinieri che indagano sui furti. Alcuni risolti proprio grazie alle foto degli originali confrontati con quelli trovati sul mercato. Così è stato recuperato anche un «dipinto dimezzato», ovvero la Carica dei bersaglieri di Michele Cammarano, allievo dei fratelli Palizzi e ammiratore di Gustave Courbet, riproposta in versione ridotta, purtroppo solo in pezzi, a partire dal 2014. È noto infatti che i quadri trafugati vengono modificati per essere rivenduti. Stavolta, però, i ricettatori hanno commesso un errore che non poteva sfuggire ai militari: nel tagliare il quadro, il comandante è stato disarmato. Senza sciabola, come avrebbe potuto far partire l’assalto? «L’interrogativo ha spinto i miei uomini a esaminare altri dettagli della battaglia messa all’asta con la tela di due metri per tre sottratta dai nazisti nel 1943» racconta orgoglioso il tenente colonnello Luigi Spadari, che ha selezionato in esclusiva per Panorama le 10 opere più importanti sparite nel nulla. «Most wanted», le chiama. Super-ricercate, al pari dei latitanti. La loro bellezza è consacrata dalle foto, sublimata dalla storia, ma nessuno può più ammirarle da vicino: racchiudono scandalo e mistero. Per gli investigatori, sono quasi un’ossessione: inafferrabili, preziosi e scomparsi. Come la Natività di Caravaggio, il furto più clamoroso: un caso irrisolto, come si sa, da oltre mezzo secolo in un continuo inseguirsi di dichiarazioni e smentite, suggestioni, ipotesi (la più inquietante, la distruzione del dipinto, vedi riquadro nelle pagine seguenti) e mezze verità.
Tutte al vaglio del comando Tutela patrimonio culturale (Tpc), il nucleo impegnato a scovare i 1.294.422 oggetti censiti; oltre 3 milioni recuperati in 50 anni, è il bilancio del comandante Roberto Riccardi. «Creato negli anni Ottanta, il nostro data base è il primo al mondo per quantità di informazioni» dice Spadari, capo della sezione che si occupa dell’elaborazione dei dati. Nell’elenco, c’è un Cézanne sottratto 30 anni fa a Roma, alla Galleria d’Arte Moderna: il Sentiero tra le rocce e paesaggio sul lago. A seguire Il pittore Giovanni Banti alla spinetta di Giovanni Boldini, sparito da Palazzo Pitti, a Firenze, nel 1995. E il San Giovanni Battista attribuito a Leonardo da Vinci. «Un disegno rubato nel 1974, forse il bozzetto preparatorio del dipinto esposto al Louvre» spiega l’esperto. L’Erma bifronte in bronzo risale, invece, al II secolo d.C.: era nel Museo nazionale romano fino alla scomparsa; 31 anni fa l’allarme non scattò, e non furono trovati segni di effrazione sulla teca.
Del furto di una tela di Alessandro Tiarini dalla Pinacoteca di Bologna, il San Simone Stock riceve lo scapolare dalla Vergine restaurato nel 1972, si seppe, invece, durante la revisione dell’inventario, nel 1998. Intempestiva fu pure la segnalazione che l’affresco Apollo e Admento, I secolo d.C., era stato sottratto dalla domus a Pompei: il saccheggio potrebbe essere avvenuto nel gennaio 1980, ma fu accertato nel dicembre 1990. Bottino mai ritrovato, come il Santo Bambino di Aracoeli, tra gli oggetti sacri più venerati: trafugato in modo rocambolesco da due ladri che, il primo febbraio 1994, si calarono dal tetto per penetrare nel convento dei francescani.
Il Caravaggio di inestimabile valore adornava, invece, l’oratorio di San Lorenzo a Palermo «in totale assenza di misure di sicurezza» (precisa l’informativa). Nella notte tra 17 e 18 ottobre 1969 fu sottratto dai malviventi che scardinarono l’imposta di un balconcino e tagliarono i bordi della tela. A oggi sono rimasti impuniti. L’inchiesta ha chiamato in causa la mafia, e l’intrigo è diventato internazionale, portando a una «pista svizzera» e documentari e scritti, da Leonardo Sciascia a Luca Scarlini e Michele Cuppone, e anche noir, come Una storia senza nome, lungometraggio di Roberto Andò.
Dalla fiction alla realtà, la caccia al dipinto prosegue su scala globale. Sono 11 o 12 i faldoni degli atti di indagine, occupano il pavimento di un’intera stanza in caserma. «Difficile che un’opera così famosa sia commercializzata su internet» dice Spadari, spiegando che gran parte del lavoro dei suoi 007 consiste nel verificare i siti web, di annunci, musei e aste. Più spesso, i mediatori fanno affari con professionisti e insospettabili («In tanti ignari della provenienza illecita», precisa). E le inchieste si intrecciano con la lotta alla criminalità organizzata: le più recenti si riferiscono a una copia del Salvator Mundi sparita a Napoli, ritrovata prima che prendesse il volo per Dubai. Non in questo caso, ma i camorristi figurano tra gli acquirenti: lo considerano un modo per accreditarsi, ostentare potere, riciclare denaro.
Tra i super-ricercati, resta l’olio su tela di Antonello da Messina Ecce Homo, portato via il 24 luglio 1974 dal Museo del Broletto a Novara. Senza difficoltà: i «soliti ignoti» entrarono da una porta aperta. I ladri si arrampicarono, invece, sulle impalcature usate dagli operai per i restauri, per impossessarsi della Madonna dell’orto nell’omonima chiesa di Venezia. E il 1° marzo 1993 avvolsero la tempera su tavola di Giovanni Bellini in una tovaglia sistemata sull’altare.
Perduta per sempre? «Quanto trafugato viene considerato solo in ostaggio» è il mantra dei carabinieri. L’attività criminale può essere contrastata anche consultando i bollettini dell’Arma che riepilogano le denunce, a cui possono contribuire addetti ai lavori, mercanti d’arte, antiquari. Nell’ultimo, online: un anello del IV-III secolo a.C., una testa di Hermes del I, la Santa Maria della Luce attribuita a Luca Giordano, una viola, persino lo stallo di un coro.
La app iTpc ideata dai carabinieri nel 2015 (si carica l’immagine di un’opera d’arte e la incrocia con la banca dati) è un altro strumento per allargare le verifiche e, nel contempo, scongiurare un investimento sbagliato; oppure si può mandare una richiesta al Comando, come già fanno oltre 100 commercianti e collezionisti all’anno. Anche perché la legge 22 del 9 marzo 2022 ha modificato il Codice penale, introducendo reati specifici (il furto di un iPhone non è come quello di un Caravaggio), e ha inasprito le pene, ora superiori ai 5 anni, facilitando intercettazioni ambientali e telefoniche e indagini sotto copertura. La prossima mossa: creare siti civetta per agganciare i rivenditori e coglierli in flagrante





Gaspare Mutolo: «Ho visto quel Caravaggio dal “Papa” di Cosa nostra»
Su uno dei furti d’arte più misteriosi (e di valore) parla il famoso ex mafioso collaboratore di giustizia.
di Simone Di Meo
«Il Caravaggio rubato a Palermo? Io so che fine ha fatto. Io l’ho visto. Purtroppo è andato distrutto. Peccato». Gaspare Mutolo, ex mafioso di rango di Cosa nostra siciliana, oggi collaboratore di giustizia con la passione per l’arte, è sicuro di quel che dice? Parliamo di uno dei tesori della pittura mondiale di cui sono sparite le tracce da mezzo secolo. «Ripeto: è stato distrutto. Non ascoltate quelli che dicono: “Forse sta qui, forse sta lì”. Io quel quadro me lo ricordo perfettamente».
Quando lo ha incrociato?
Il Caravaggio l’ho visto in una tenuta di Michele Greco (boss di Cosa nostra, ndr). Era una tenuta enorme con tanti magazzini. In Sicilia. E ricordo che c’erano giovani donne che lavoravano alla raccolta degli agrumi: arance, mandarini. Andavano avanti e indietro con queste ceste. Il quadro era bello grosso e, dopo averlo srotolato, era stato appoggiato a terra.
A terra nel magazzino?
Sì, nel magazzino. Già all’epoca era malridotto.
In che periodo siamo?
Intorno al 1976 o’77, o giù di lì.
E che cosa pensò quando vide il quadro? Sapeva che era trafugato dall’Oratorio di San Lorenzo?
La prima cosa che notai fu che aveva sofferto per l’umidità. I colori si staccavano dalla tela. Se c’è una cosa che danneggia un quadro è l’umidità. Dipingo da tanti anni ormai, queste cose le conosco. Se butti un secchio d’acqua su un quadro fai meno danni rispetto a quelli che provoca lasciarlo in un posto umido. Sì, sapevo che era il Caravaggio. Infatti, dissi subito: «Che disastro». Ciò che ignoravo, invece, era il fatto che valesse tutti quei soldi.
Che cosa le dissero poi?
So che lo dovevano mandare in America. Non so in quale città, ma si parlava di una spedizione negli Stati Uniti. Comunque conciato così non poteva certo partire.
Quindi il Caravaggio è stato gettato nella spazzatura?
Non tutto. Mi è stato detto che sono sopravvissute alcune parti. Dei pezzettini, chiamiamoli così, sono stati tagliati perché si potevano recuperare.
Quali parti sono sopravvissute?
Non lo so. Mi pare una testa…
Perché fu rubato?
Quando si ruba un quadro, non lo si fa per capriccio. C’è qualcuno che lo vuole e, non essendo nelle condizioni di prenderselo da solo, si affida ad altri. Un quadro del genere si ruba per interesse.
Lei sa chi ci fosse dietro quel furto?
Io l’ho visto da Michele Greco, ma non credo che il Papa (soprannome del vecchio padrino, ndr) fosse implicato in una cosa del genere. Più facile fosse coinvolto Scarpuzzedda (Pino Greco, feroce killer al servizio di Totò Riina, ndr).
Oggi che cosa fa, Mutolo?
Ho imparato ad amare la pittura in carcere. E la passione si è trasformata in un lavoro. Vendo le mie tele in America, Svizzera, Italia, Francia, Danimarca. Ci sono appassionati e mercanti d’arte che le cercano. Ma non sono un avaro. Se a qualcuno piace un mio quadro, e non può permetterselo, glielo regalo. Per questo, ripensando al Caravaggio rubato posso dire solo: «Che peccato».