Anticorpi che si sperimentano come terapia contro il coronavirus. Globuli rossi artificiali per veicolare ossigeno. Biopsie liquide che predicono guai futuri e persino plasma come elisir di giovinezza… Alcune miracolose promesse della nostra linfa vitale potranno diventare realtà.
Vederlo definito, come si legge nel dizionario, «fluido biologico circolante nei vertebrati» fa quasi ridere, nonostante il rigore della descrizione. Noi preferiamo di gran lunga «la roba che schizza fuori quando le cose non vanno bene», per citare un primario inglese del NHS Blood and Transplant (il centro nazionale di trasfusioni britannico). In effetti, nessuno di noi vorrebbe mai assistere alla fuoriuscita del proprio sangue, tranne quando lo si dona. In questo caso, mentre il vostro «fluido biologico di vertebrato» scorre nella cannula, dovreste guardarlo con infinita ammirazione.
Ciò che state offrendo è un prodotto di alta ingegneria molecolare, uno degli «organi» più complessi del corpo umano, quasi come il cervello. Al centro, oggi più che mai, di ricerche mediche che puntano a: utilizzarlo come una delle armi anti-Covid grazie al plasma degli immuni e agli anticorpi monoclonali; realizzare quello che viene spesso chiamato il «sacro Graal della medicina», ossia il sangue artificiale. E testarlo come terapia anti-aging in spericolate e controverse sperimentazioni.
Obiettivi tutti ambiziosi, del resto ciò che fa questo viscoso liquido rosso cupo è roba piuttosto complicata, come spiega il saggio appena uscito Breve storia del sangue della giornalista inglese Rose George (Codice edizioni): ogni secondo il midollo osseo, la fabbrica del sangue, produce due milioni di globuli rossi, e ogni giorno 30 mila miliardi di questi fanno il giro completo del corpo, per circa 20 mila chilometri. E, per tutta la vita, il nostro cuore, a riposo, pompa un litro di sangue ogni 10 secondi.
Oltre a trasportare ossigeno in ogni angolo dell’organismo, fornisce i soldati (globuli bianchi e linfociti) per combattere malattie e infezioni. Oggi si è scoperto che chi vanta il gruppo 0 sembra più protetto nei confronti del coronavirus, mentre i gruppi A e AB sarebbero più soggetti a forme gravi della malattia. Intanto, gli anticorpi prelevati da chi è guarito dal Covid, per quanto non facciano miracoli, sono una delle terapie possibili. Non a caso l’Avis, Associazione volontari italiani del sangue, ha messo a disposizione i propri donatori (fra coloro che hanno sviluppato anticorpi contro il coronavirus) per offrire il plasma iperimmune. Spiega Gianpietro Briola, presidente nazionale Avis: «Donarlo non è facilissimo: oltre ad avere superato la malattia, occorre avere un certo tipo di anticorpi neutralizzanti, quelli protettivi, e in quantità abbastanza elevata. Un passo avanti potrebbe venire dalla loro produzione industriale, ancora in sperimentazione: si prende il plasma, lo si lavora, si ricavano anticorpi poi somministrati in flaconcini, come fossero un farmaco».
Ci stanno provando la Kedrion (italiana), la giapponese Takeda (con una sede a Rieti) e l’australiana CSL Behring. Il futuro è ancora oltre: anticorpi monoclonali, ossia prodotti in modo sintetico, capaci di mimare ciò che fanno quelli naturali.
In attesa del domani, l’invito è continuare a donare oggi. A una nazione è necessario che tra l’1 e il 3 per cento della popolazione doni il sangue per averne una scorta sufficiente. Noi come siamo messi? «In Italia i donatori sono quasi due milioni, tra iscritti nel Registro e occasionali. Come percentuale, siamo intorno all’1 per cento. E a parte un calo durante il periodo del lockdown, siamo tornati a coprire il nostro fabbisogno in globuli rossi. Servono però donatori per raggiungere l’autosufficienza nel plasma e produrre farmaci altrettanto essenziali» risponde Briola.
Se gli scienziati riuscissero a fabbricare sangue artificiale, molti problemi (trasfusioni, emorragie, imprevisti in sala operatoria…) sarebbero risolti. In fondo, si potrebbe pensare, i globuli rossi, ovvero la parte che si tenta di riprodurre in laboratorio, fanno un cosa apparentemente semplice, trasportare ossigeno qua e là. «Semplice? In realtà prendere una molecola dall’aria e veicolarla in ogni distretto del corpo è uno dei processi più finemente regolati dell’organismo umano» afferma Matteo Della Porta, responsabile della sezione leucemie e mielodisplasie di Humanitas e docente di Humanitas University. «I globuli rossi devono assicurare che ogni cellula abbia la giusta quantità di ossigeno nel momento giusto. L’infarto o l’ictus altro non sono che l’interruzione patologica di ossigeno alle cellule del cuore o del cervello, che così muoiono».
Il globulo rosso, insomma, non è un carretto che sposta roba qua e là, piuttosto un taxista molecolare «che ragiona». Ottima notizia per noi, ma che complica la vita agli scienziati che vogliono riprodurre tale meraviglia biologica in laboratorio. «Creare un cuore artificiale è più semplice» spiega Della Porta. «Di fatto si deve creare una pompa che funzioni con i principi della meccanica. Un globulo rosso è invece una cellula molto complessa e molto plastica, che non solo trasporta ossigeno alle cellule ma ne elimina anche i prodotti di scarto, come l’anidride carbonica. Sostituire una cellula del sangue è come sostituire un neurone».
Nel libro di Rose George, si scopre che i tentativi risalgono al passato remoto: «Cercare di imitare il sangue è un antico vezzo degli esseri umani. Alla fine del XIX secolo due medici canadesi decisero di tentare con il latte di mucca. La base scientifica di quella scelta era piuttosto instabile: un medico credeva che l’olio e i grassi contenuti nel latte venissero trasformati in corpuscoli sanguigni bianchi, e il sangue bianco poi diventasse rosso. Una mucca fu condotta all’ospedale e munta, il latte filtrato attraverso una garza e poi iniettato. Altri medici in America e nel Regno Unito tentarono con il latte di capra. La maggior parte dei pazienti reagì male, ossia morendo».
Qualcosa di meglio, per fortuna, hanno fatto la scorsa primavera Wei Zhu e C. Jeffrey Brinker dell’Università del New Mexico: prima hanno ricoperto globuli rossi donati con un sottile strato di silice; poi hanno stratificato i polimeri sui globuli rossi di silice, e hanno rimosso quest’ultima producendo repliche flessibili come i globuli veri. Infine, il team ha rivestito la superficie delle repliche con membrane naturali. Le cellule artificiali erano simili per dimensioni, forma, carica e proteine ai globuli rossi. Nei topi di laboratorio sono durate per oltre due giorni. L’idea, dovesse andare tutto bene, è utilizzarle in futuro anche per trasportare farmaci.
Negli ultimi anni ci sono stati altri tentativi, per lo più veicoli per il trasporto di emoglobine: prodotti chiamati PolyHeme, Hemopure, ErythroMer, Sanguinate (il nome migliore, secondo noi). Tutti in attesa di ottenere l’approvazione dell’Fda, l’agenzia del farmaco americana. Più semplice è ottenere sangue partendo da cellule staminali ematopoietiche (quelle che danno origine a globuli rossi, bianchi e piastrine), come hanno fatto scienziati dell’Università americana di Bristol, rendendo immortali la manciata di cellule così ricavate.
Sul sangue e sulle «biopsie liquide» si concentrano poi molte aspettative: la possibilità di individuare, dopo una terapia anti-tumore, i segnali che la malattia possa ricomparire permetterebbe anni di vita in più o, quanto meno, la possibilità di trattamenti personalizzati ed efficaci. «Lo si fa già per i tumori del sangue, per esempio nelle leucemie» precisa Della Porta. «Trovare in circolo cellule maligne residue, anche minime, è molto importante per capire se i trattamenti funzionano e se ci saranno recidive. In futuro le biopsie liquide saranno uno strumento prezioso anche per i tumori solidi».
Infine, la promessa più grande di tutte: spostare indietro le lancette del tempo agendo sul sangue. L’idea non è così balzana come pare. In passato alcuni studi (apparsi su Science e Nature) suggerivano che la parabiasi, ossia la pratica di connettere due sistemi circolatori, ringiovaniva l’organismo di topi vecchi cui veniva infuso sangue di topi giovani.
I roditori avranno forse apprezzato i risultati, che questi siano validi, e privi di effetti nocivi, anche negli esseri umani è ancora da dimostrare. Ma c’è chi non intende aspettare i tempi della scienza. In California, dove la medicina anti-aging è un business colossale, l’assai discussa start-up Ambrosia, fondata dal ricercatore Jesse Karmazin, pratica su clienti danarosi e anziani trasfusioni di plasma ricavato da sangue giovane (dai 16 ai 25 anni) per rinnovarne corpo e funzioni. Addirittura, così affermano, per combattere la demenza senile.
Capricci isolati? Tutt’altro. Dopo un breve stop cautelativo all’inizio del 2019 (la Fda ne aveva smentito i benefici), Ambrosia ha ripreso in pieno la sua lucrosa attività, e a San Francisco le richieste sono ormai oltre cento. Il costo: ottomila euro un litro, 12 mila due litri. E per chi non può recarsi in California, Ambrosia invia il plasma a cliniche private che ne fanno richiesta.
Nella serie tv Silicon Valley (l’ultima puntata è andata in onda lo scorso 9 dicembre) un magnate americano si serve di un «blood boy», giovane e biondo, da cui estrae regolarmente il sangue che gli serve per rallentare il tempo. Per ora si tratta di fiction. Ma non dovremo aspettare a lungo.
