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Nemici di cuore

Nemici di cuore

Negli ultimi anni sono emersi fattori di rischio nuovi che minacciano – senza che ce ne rendiamo conto – il nostro muscolo più importante. Così cambia la mappa della prevenzione cardiaca. E il ruolo dei «soliti noti» (pressione, colesterolo, obesità…)? Quelli restano importanti, certo. ma spesso, ancora oggi, sono sottovalutati.


Ognuno di noi, in fatto di salute, ha un’aneddottica personale nella quale c’è sempre un cugino che è campato 90 anni pur con il colesterolo più alto di uno shuttle, una collega colpita da infarto mentre, snella e in invidiabile forma, faceva jogging, un vicino di casa obeso e fumatore che si vanta di non aver mai avuto bisogno di un medico. La scienza però, per quanto fallace e contraddittoria, insiste nell’ignorare la variopinta casistica del singolo. E, soprattutto nella prevenzione di malattie importanti come infarto e ictus, continua a basarsi sui fattori di rischio oggettivi e collettivi. Che nel tempo però possono modificarsi, ed è proprio questo che adesso andremo a raccontare.

Nella lotta contro ciò che minaccia il nostro cuore, l’elenco dei «cattivi» si è via via allungato: malattie o condizioni di salute che lo rendono più vulnerabile, comportamenti e abitudini che lo minacciano… Ad aggiornare la lista del rischio ci ha pensato in questi giorni The American Journal of Medicine, anche perché le malattie cardiovascolari e cardiache sono ancora oggi la principale causa di morte prematura e disabilità; e, secondo l’Oms, sono in aumento in tutto il mondo. Sappiamo, scrive la rivista, che fumo, ipertensione, diabete, obesità e vita sedentaria incidono in negativo. «Ma nonostante prevenzione, trattamenti e terapie, il tasso di mortalità resta elevato. E negli ultimi anni sono emersi nuovi fattori di rischio coronarico».

Insomma, ce n’è abbastanza per indagare più a fondo. Tra i nemici del cuore meno noti, per esempio, ci sono le malattie autoimmuni, dall’artrite reumatoide alla gotta, dalla psoriasi (in chi ne soffre il rischio coronarico sale fino al 50 per cento in più) al morbo di Crohn. Tutte legate al sistema immunitario. E dal momento che le malattie autoimmuni colpiscono maggiormente le donne (l’ipotiroidismo per esempio è tipico del sesso femminile), sono loro in questo caso a essere più vulnerabili sul côté cardiaco. Spiega Maria Grazia Modena, docente di cardiologia al Policlinico di Modena: «Le patologie autoimmuni hanno legami con gli estrogeni, e sono pro-infiammatorie. E la donna parte di base con uno stato infiammatorio più alto che nell’uomo. Nelle malattie autoimmuni aumentano le citochine, l’ossidazione protrombotica e la coagulazione, tutti fattori di rischio peculiari delle donne».

A confermare il ruolo dell’infiammazione nei problemi cardiaci è anche Daniele Andreini, responsabile dell’Unità operativa di Cardiologia universitaria presso l’IRCCS Ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio e docente di cardiologia alla Statale di Milano. «Uno dei fattori di rischio emergente è proprio l’infiammazione cronica: per esempio un organo o tessuto infiammato, come un fegato dolente con le transaminasi alte, una miocardite, cioè un’infiammazione del cuore di solito sostenuta da un’infezione. Le arterie infiammate possono accelerare la progressione di una placca che magari all’inizio ostruisce il 10 per cento di un’arteria ma può estendersi fino al 70 e oltre. L’infiammazione fa da evento scatenante che porta all’occlusione del vaso e all’infarto».

A complicare il destino del nostro instancabile muscolo (in media, il cuore batte 3 miliardi di volte nell’arco di un’esistenza) è anche il luogo dove viviamo, inserito nella nuova lista da tenere d’occhio: «Alcune stime ritengono che l’inquinamento nel 2019 abbia causato 9 milioni di morti in tutto il mondo» scrive The American Journal of Medicine «di cui il 62 per cento dovuto a malattie cardiovascolari. Gli aerosol ambientali contengono anche metalli tossici come piombo, mercurio, arsenico e cadmio. L’esposizione transitoria può innescare l’insorgenza di una sindrome coronarica acuta». Ecco, detto così suona spaventoso, ma la realtà più o meno è quella. Lo smog non è solo cancerogeno, ormai è chiaro che abbia un ruolo nelle malattie cardiovascolari. Conferma la professoressa Modena: «L’inquinamento supera diabete e ipertensione come rischio potenziale per il cuore. Respirare le microparticelle equivale a consumare 40 sigarette al giorno per una persona che non ha mai fumato».

Un altro aspetto cui spesso non si pensa è la stagionalità: nei mesi freddi, quando si sta poco al sole (e il sole stesso è poco) l’incidenza di infarto è assai maggiore. Anche perché d’inverno aumenta il traffico cittadino e la sua «tossicità». Tra i fattori ambientali, gli esperti americani sottolineano anche quelli sociali e culturali: «Lo stress psicosociale, le limitate opportunità educative ed economiche possono portare a un aumento della malattia coronarica». Chi ha scarsa cultura fa poca prevenzione, è meno attento agli stili di vita, a ciò che mangia. Che si ammali e muoia di più è quasi intuitivo. Così come predispongono a guai cardiaci gli orari di lavoro troppo prolungati, o i turni serali, quando diventano un fattore di stress cronico. Oltretutto lavorare la sera scombussola il ritmo circadiano e porta a nutrirsi in modo sbagliato. Ed eccoci al capitolo alimentazione: sorprende un po’, nell’individuare cosa nuoce alla salute del cuore, scoprire che fa male, e non poco, saltare la prima colazione: «È un’abitudine collegata a un aumento della mortalità cardiovascolare e per tutte le cause». Piuttosto tranchant.

Non si stupisce affatto, invece, Andreini: «La prima colazione è fondamentale, i diabetologi lo dicono sempre. È importante che sia un primo pasto, e non solo in caso di diabete: il profilo glicemico e insulinico sono molto alti al mattino, per poi degradare dopo le 16; consumare quindi zuccheri e carboidrati alla sera è quanto di più sbagliato, perché lo zucchero resta in circolo. Conviene concentrarli nella prima parte della giornata». Non a caso il consumo a lungo termine di bevande zuccherate è stato associato a un aumento di mortalità cardiovascolare. Se fin qui il discorso riguarda entrambi i sessi, nella donna i fattori di vulnerabilità cardiaca sono diversi, come puntualizza Modena: «Incidono un menarca e una menopausa precoci, l’ovaio policistico, così come l’ipertensione e il diabete insorti in gravidanza, soprattutto dopo i 40 anni: un fattore di rischio grave perché spesso permane uno stato iperglicemico anche dopo. E per la pressione alta mentre si aspetta un bambino i farmaci utilizzabili sono pochi perché tossici per il feto».

Anche i parti pretermine e gli aborti spontanei espongono a futuri problemi di cuore. I motivi? I primi favoriscono il passaggi di sostanze infiammatorie fra feto e placenta; mentre un aborto spontaneo pare essere una reazione immune della madre, una sorta di autodifesa contro il feto. «Probabilmente chi ha più aborti spontanei rischia di avere un infarto molto più spesso di altre donne» spiega Modena. Infine, se il cuore la donna fino alla menopausa è più protetto di quello dell’uomo (la malattia cardiaca si manifesta con un intervallo di circa 10 anni tra lui e lei), le cose cambiano quando viene meno lo «scudo» degli estrogeni, che tenevano a bada glicemia e colesterolo. «Si modifica il metabolismo e si ingrassa facilmente, mettendo su, come succede nel maschio, un grasso viscerale “cattivo” intorno all’addome e vicino al fegato».

Detto tutto ciò, i classici «colpevoli», ossia colesterolo Ldl, glicemia e trigliceridi elevati e pressione alta, restano saldi al loro posto. «La mortalità per infarto non cala nei Paesi occidentali perché questi fattori di rischio, per quanto noti, non vengono considerati in modo adeguato» sostiene Andreini. «Tutti sappiamo che l’ipertensione va curata, che il diabete causa danni, così come si sa che il fumo è nemico del cuore. E nonostante ciò, anche noi medici e cardiologi a volte non insistiamo abbastanza con i nostri pazienti» Chi è a rischio elevato, dicono gli studi, dovrebbe avere il colesterolo Ldl sotto la soglia di 70, chi è a rischio molto elevato addirittura sotto i 55. Eppure, da indagini europee, i pazienti che in queste due categorie raggiungono i target indicati dalle linee guida sono meno del 40 per cento. La pandemia ci ha messo poi il «carico da 90», almeno in Italia. In questi tre anni abbiamo ridotto l’attività fisica, le passeggiate fuori, l’abitudine di fare jogging, abbiamo mangiato di più (per noia o frustrazione). È successo soprattutto nei più giovani, bambini e adolescenti. E un ragazzino in sovrappeso si fa fatica a farlo dimagrire o farlo muovere di più, e facilmente diventerà un adulto obeso. A 40 o 50 anni avrà anche lui problemi di peso, di colesterolo, di glicemia, di pressione. E di cuore.

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