La Disney sta vivendo un periodo di remake-mania senza freni. Un live action dopo l’altro, in una catena di montaggio che sembra alimentata più dalla nostalgia che dall’originalità. Perché rischiare con storie nuove quando si può cavalcare l’onda dell’effetto amarcord? I personaggi ci sono già, li conosciamo a memoria, ci abbiamo fatto merenda davanti. È tutto lì, pronto. Ma la formula negli ultimi anni ha cominciato a scricchiolare.
Da Mulan, che ha provato a vestirsi da film epico e ha perso per strada l’anima, fino a Biancaneve, che sembra più una dichiarazione d’intenti che un film. E La Sirenetta? Il film è passato alla storia più per le polemiche sulla scelta dell’attrice protagonista che per la trama. Halle Bailey ha retto bene, ma il pubblico era già stanco prima ancora che il film uscisse. Morale della favola: tanti meme, pochi biglietti venduti.
Sembrava la fine per Disney. Poi è arrivato Lilo & Stitch, e il mostriciattolo blu ha fatto il miracolo.
Uscito quasi in sordina, tra un po’ di diffidenza e zero aspettative, il live action di Lilo & Stitch ha ribaltato tutto: 7,1 milioni di euro nel weekend in Italia, 8,4 milioni considerando anche il mercoledì d’uscita. Negli USA ha già superato i 183 milioni, quasi 400 milioni worldwide. E in un solo weekend ha portato il box office italiano a un +259% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Roba da far stappare lo spumante nei corridoi di Burbank.
Il segreto? La semplicità. O meglio: la fedeltà. Niente stravolgimenti, niente inclusione forzata o messaggi cuciti addosso a forza. Solo una bambina hawaiana un po’ sola e un alieno che sembra uscito da un peluche mutante. Un’amicizia buffa, tenera e autentica. Una storia che non ha bisogno di effetti speciali per commuovere. E soprattutto: emozioni vere, non pensate per diventare virali sui social, ma per toccare il cuore di chi guarda.
E funziona. Funziona perché è sincero, perché si respira amore per l’originale e rispetto per il pubblico. Funziona perché ti riporta indietro nel tempo e ti fa sentire di nuovo bambino, a quando si sceglieva il film della serata rovistando tra le VHS.
Anche il doppiaggio – per una volta – fa la sua parte. Basta influencer messi lì tanto per far notizia: questa volta ci sono professionisti veri, e si sente. Le voci sono credibili, ben dosate, perfette per i personaggi. E anche la CGI è fatta con buon gusto: Stitch è strano, peloso al punto giusto, ma non scivola mai nel “troppo”. Anzi, sembra quasi vero.
Il finale? Commovente. Un piccolo pugno nello stomaco condito di tenerezza e Ohana (che significa Famiglia). Il rapporto tra Lilo e sua sorella Nani – amore, sacrificio, incomprensioni, responsabilità – è raccontato con quella delicatezza che non ha bisogno di proclami. Nessuna lezione da imparare, solo un grande promemoria su cosa significhi famiglia.
E così, mentre le principesse inciampano tra revisionismi e Twitter storm, è proprio lui – Stitch, l’alieno sghembo dal cuore grande – a riportare la Disney in carreggiata. Forse il messaggio più potente che questo film lancia è proprio questo: l’autenticità vince ancora. E magari la Casa del Topo stavolta ha imparato la lezione.
