Dal doppiaggio alla sceneggiatura, dalla manipolazione digitale degli attori fino alla previsione sui gusti del pubblico. L’intelligenza artificiale cambia i connotati all’industria cinematografica. Con intere categorie professionali che però rischiano il posto.
Se un regista e sceneggiatore dell’importanza di Giovanni Veronesi ha sbottato con la battuta «se vedo un algoritmo, lo gonfio» non è un caso. Vuol dire che il mondo del cinema si sente davvero sotto attacco. L’Intelligenza Artificiale (AI) sta occupando il mercato dell’audiovisivo e le professionalità, nessuna esclusa, dell’industria cinematografica si sentono minacciate.
È in atto una rivoluzione e perfino i colossi di Hollywood, che macinano un business da oltre 30 miliardi di dollari l’anno, sono preoccupati. Copioni scritti da un algoritmo, voci clonate, attori ricostruiti digitalmente, casting dettati dalle previsioni di software in grado di stimare il potenziale successo di un attore e l’impatto al botteghino di un film; non è fantascienza, è ciò che accade oggi anche se per gran parte ancora a livello sperimentale. Intere categorie professionali rischiano di saltare, sostituite dalle macchine, con la prospettiva che solo i più qualificati e creativi riusciranno a sopravvivere, perché dietro a un algoritmo ci deve essere sempre l’intelligenza umana. Almeno fino a ora.
Ci si è accorti che la diffusione dell’AI costituisce un problema per l’industria cinematografica quando i doppiatori hanno indetto uno sciopero tra fine febbraio e inizio marzo scorsi, non solo per il rinnovo del contratto ma anche perché costretti, in certi casi, a firmare cessioni di diritti all’uso della propria voce ad aziende che lavorano con l’intelligenza artificiale e, quindi, potrebbero riprodurne i dialoghi. Si stanno gettando le basi per creare un esercito di doppiatori artificiali. «Il settore conta 1.500 lavoratori che rischiano di finire per strada e non riusciranno a riciclarsi» afferma Daniele Giuliani, presidente dell’Anad, l’Associazione attori doppiatori. «In passato è successo un fatto preoccupante: alcuni colleghi hanno trovato la loro voce replicata in farmacie di Lugano sui nastri per chiamare gli utenti agli sportelli. A breve sarà una giungla. Le normative non riescono a stare al passo con la tecnologia. In Europa, per esempio, manca una legislazione sul diritto d’autore per produzioni con l’AI».
Il Copyright office degli Stati Uniti è intervenuto sul tema affermando che in alcuni casi è possibile far appello alla protezione dei diritti anche per prodotti in cui l’intelligenza artificiale risulti co-autrice. Se c’è una persona che comanda l’algoritmo, è la sua tesi, l’originalità del testo prodotto sarebbe salva e con essa la proprietà intellettuale. Il confine però è molto labile. E lanciare un allarme è tutt’altro che esagerato.
Le sperimentazioni sull’impiego degli algoritmi si stanno moltiplicando e le loro applicazioni sono sempre più diffuse. Spotify, il servizio musicale digitale che consente di accedere a milioni di brani, ha avviato negli Stati Uniti e in Canada un progetto, per ora riservato alla clientela Premium, che prevede la creazione un «AI Dj». Si tratta di un conduttore virtuale specifico per ogni utente, in grado di fornire informazioni sui brani prescelti e (in prospettiva) suggerirne altri attraverso algoritmi di intelligenza artificiale sviluppati in collaborazione con OpenAI, l’azienda che ha creato ChatGpt. Il passaggio da queste piattaforme al cinema può essere veloce. Sempre negli Stati Uniti, il sindacato degli sceneggiatori, il Writers Guild of America, si è detto favorevole alla possibilità di farsi aiutare dagli algoritmi nella stesura delle scene.
Il quotidiano inglese The Guardian ha fatto una prova. Ha interrogato ChatGpt su «come cambierà il cinema con l’intelligenza artificiale» e la risposta è stata strabiliante: ha previsto che l’AI potrà essere utilizzata per creare sceneggiature inedite e facilmente realizzabili, per semplificare le fasi del casting degli attori, per la ricerca delle location, per creare effetti visivi. Inoltre per analizzare le reazioni e le preferenze del pubblico e fornire dati agli studios guidandone le decisioni produttive. Alcune di queste potenzialità sono già realtà. Harrison Ford è stato «ringiovanito» digitalmente di 35 anni per il quinto film della saga di Indy, Indiana Jones e la ruota del destino, in uscita in estate. C’è un flashback ambientato nel 1944, quando il personaggio aveva 45 anni, e non sembra passato un giorno. Questa tecnologia definita «deepfake», che consente di far coincidere le caratteristiche del volto nuovo su quello originale, ha entusiasmato l’attore: «È fantastico» ha commentato con i media «questa è la mia vera faccia a quell’età».
Gli studios stanno studiando la tecnica per soluzioni di vario tipo. Oltre a ringiovanire interpreti vecchi, per resuscitare attori defunti. Come nel caso del clone digitale di Carrie Fisher, la principessa Leila di Star Wars, creato dopo la sua scomparsa. La LucasFilm ha rivelato di avere a disposizione le copie virtuali di tutti i personaggi della saga spaziale. D’altronde la grafica computerizzata è stata sempre molto usata in questi film. Nel «prequel» Rogue One del 2016, per esempio, era ricomparso Peter Cushing, vent’anni dopo la sua morte, nel ruolo del governatore Tarkin. Il suo volto era stato creato digitalmente e applicato su un attore in carne e ossa.
L’industria cinematografica ha scoperto che l’intelligenza artificiale può essere usata per prevedere la risposta del botteghino e quindi evitare flop. Warner Bros si è affidata alla californiana Cynelitic, che si occupa di previsioni a Wall Street, per stimare il potenziale incasso di un nuovo film. La major 20th Century Fox ha studiato insieme a Google un algoritmo che consente di analizzare i contenuti di un trailer e confrontarli con quelli di altri film per capire quali sono gli elementi comuni che possono attrarre lo stesso tipo di pubblico. Ci sono poi società come l’israeliana Vault AI, la svizzera Largo e la belga Scriptbook che con un software, sulla base di una banca dati di migliaia di sceneggiature con i relativi risultati al botteghino, possono capire se un film ha le caratteristiche per avere successo.
Se i doppiatori rischiano il posto, anche gli agenti del cinema non possono dormire sonni tranquilli. Un gruppo di ricercatori della Queen Mary University di Londra ha elaborato un algoritmo che attingendo all’International Movie Database, una banca online di informazioni su film, programmi televisivi e home video, è in grado di prevedere con un’affidabilità dell’85 per cento se un attore sfonderà o no. Francesco Grisi, fondatore della EDI Effetti visivi ed esperto di tecnologie, non è pessimista sugli effetti dell’intelligenza artificiale nel cinema: «Gli algoritmi possono semplificare e accelerare alcune operazioni ma la creatività è dell’uomo. Fino a qualche anno fa per “scontornare” un’immagine occorrevano anche quattro giorni di elaborazione, ora basta mezz’ora. Per ringiovanire un attore, in passato bisognava lavorare manualmente su ogni singolo fotogramma, ora fa tutto il computer». Grisi ammette che alcune professionalità dovranno reinventarsi. Ma è il costo del futuro.
