C’è ancora magia? Torna il mondo di foreste di intrichi verdi e luminescenze, distese di acque e pesci volanti, Na’vi in simbiosi fisica e spirituale con una natura poderosa. Ma… come tre anni fa dopo Avatar – La via dell’acqua, dopo aver visto il terzo capitolo della saga mastodontica di James Cameron si rinnova quella sensazione di pacata delusione. La meraviglia è ridimensionata, lo sviluppo narrativo si è fatto paludoso.
Sulle ceneri di Avatar, il film clamoroso che ha diviso in due la storia del cinema – prima e dopo Avatar -, ecco Avatar: Fuoco e cenere, dal 17 dicembre al cinema. Con dedica a Jon Landau, il produttore cinematografico morto nel 2024 che ha lavorato con Cameron per quasi trent’anni, già ai tempi di Titanic (1997).

Ancora battaglie in un sequel con poca forza
Avatar uscì nel 2009 tra entusiasmi collettivi, portandoci nello spazio lontano, su Pandora, luogo immaginario stupefacente che ha rapito ogni scettico degli effetti speciali. È a tutt’oggi il film con il maggiore incasso della storia del cinema: oltre 2,9 miliardi di dollari in tutto il mondo.
Tredici anni dopo, nel 2022, Avatar – La via dell’acqua ha proseguito le avventure di Jake Sully (Sam Worthington), ex marine invalido che su Pandora, come Na’vi azzurrognolo e spilungone, ha iniziato una nuova vita. Oltre 2,3 miliardi di dollari al botteghino, terzo incasso migliore di sempre.
Ma già allora la narrazione, pur aprendo a nuovi scenari di indiscutibile bellezza visiva, tra barriere coralline e creature marine senzienti, aveva iniziato a svuotarsi di forza e impatto.
Ora torniamo dove eravamo rimasti, presso il clan Metkayina che aveva accolto la famiglia Sully, tra oceani e flutti. E già inforcare gli occhialetti 3D per la visione ha un sapore quasi anacronistico. Ed ecco che si aprono nuove ennesime battaglie che replicano il mood del secondo capitolo, con gli stessi e soliti cattivi, salvo qualche variazione (intrigante) sul tema. Il materiale narrativo sembra clonato, a mo’ di “avatar”.
Sia chiaro, il carrozzone di effetti visivi di Avatar: Fuoco e cenere è superlativo, questo è ineccepibile. Ma il complesso mix di recitazione, performance capture, plot immaginifici e mondi creati in FX risuona ripetitivo e un po’ datato. Forse perché le riprese del film risalgono a più di sei anni fa? Sia per il terzo che per il secondo episodio sono iniziate a settembre 2017 e si sono protratte per 18 mesi, lasciando poi spazio al gigantesco lavoro degli effetti speciali, per lo più ad opera della Wētā FX (che probabilmente si guadagnerà un altro Oscar).
Oggi che siamo bombardati da immagini su immagini, reali o generate che siano, forse la vera innovazione è la semplicità. Una semplicità che parli al cuore.

Avatar: Fuoco e cenere: la trama
Avatar: Fuoco e cenere si apre a poche settimane dagli avvenimenti di Avatar 2. La famiglia Sully vive ancora con il clan Metkayina nelle baie di scogli e mare. Sta imparando ad adattarsi alla vita senza il primogenito, ucciso in un brutale scontro contro la “Gente del cielo”. Jake (Worthington), Neytiri (Zoe Saldana), Lo’ak (Britain Dalton), Tuk (Trinity Jo-Li Bliss), Spider (Jack Champion) e Kiri (Sigourney Weaver) stanno affrontando il lutto ognuno a modo suo. Finché, preoccupati per le sorti di Spider, terrestre ormai membro della famiglia, decidono di recarsi ad Alto Campo, la roccaforte degli Omatikaya, il clan delle foreste in profonda connessione con l’entità divina Eywa.
Ovviamente ad attenderli c’è un assalto nemico feroce… Il colonnello Quaritch (Stephen Lang)? Lui non manca tra i villain.
«Questo è un film su una famiglia che elabora cosa significhi essere in guerra», dice nelle note stampa Cameron, regista, sceneggiatore e produttore. «Cosa significhi per i figli vivere la guerra, per i genitori lasciar andare i figli e fidarsi di loro abbastanza da credere che prenderanno le decisioni giuste».

Il ruolo centrale di Kiri, i nuovi personaggi
In Avatar: Fuoco e cenere assume un ruolo sempre più centrale Kiri, l’adolescente nata dal corpo avatar di Grace Augustine, l’ex responsabile del programma avatar della RDA, entrambe interpretate da Sigourney Weaver. Cresciuta da Jake e Neytiri come una di loro, dopo la morte di Neteyam è la figlia maggiore della famiglia Sully. Sorridente e soave, la sua presenza porta leggerezza e grazia al piglio guerrafondaio del film.
Diventa sempre più evidente e interessante il suo legame con Eywa, coscienza ancestrale che esiste in tutto il mondo naturale di Pandora.
Tra i nuovi personaggi, sono affascinanti i Mercanti del vento, popolo nomade che viaggia a bordo di spettacolari navi volanti con l’aiuto di grandi animali chiamati Medusoidi. «I Mercanti del vento seguono rotte commerciali che sono determinate dalla posizione dei centri abitati sul pianeta, dalla direzione del vento nel dato periodo dell’anno e da dove riescono a passare», afferma Cameron. «La loro filosofia di vita è il vento, il vento dà e il vento prende».
Tra le new entry, però, la più vorticosa e cupamente ammaliante è Varang, la leader del clan Mangkwan, il popolo della cenere. È una furia di distruzione predatoria che mai tentenna. La interpreta l’attrice spagnola Oona Chaplin, già Talisa Maegyr nella serie tv Il trono di spade. Le trasmette una fisicità carismatica, sempre tesa all’assalto. È così immutabile nella sua fierezza sterminatrice.
Usciti dalla sala, dopo 3 ore e 17 minuti di Avatar: Fuoco e cenere, ci si sente svuotati, come alla fine di un lungo viaggio senza soste. E il viaggio proseguirà ancora: Avatar 4 e Avatar 5 sono già in programma per il 2029 e il 2031. Oltre vent’anni dopo il primo amato Avatar, chissà se uno dei vari sequel saprà ripristinare l’originale meraviglia.
